di Tommaso Esposito
Franco Pepe primo a 50 Top Pizza. La consacrazione a Castel dell’Ovo, dove è nata Napoli. Una esperienza indimenticabile, inimmaginabile, il risultato di una Lunga Marcia.
La storia comincia nel 1931 quando Ciccio Pepe apre a Caiazzo il suo panificio con annessa piccola cantina e cucina. Suo figlio Stefano nel 1961 pensò di trasformare tutto in una pizzeria. E così, un poco alla volta, i suoi figli, e nipoti di Ciccio, Nio Antonio, Franco e Massimiliano si ritrovarono eredi di una tradizione familiare che li rese subito famosi ben oltre i confini del paese. Franco, che poi era un insegnante e perciò veniva chiamato il professore, cominciò ben presto a maturare le sue idee: l’alveo della tradizione va seguito, ma bisogna sempre cogliere i segnali della modernità e dell’innovazione. Cosicché nel 2011 decise di lasciare i fratelli nell’ Antica Osteria e di aprire una pizzeria tutta sua. La scelta cadde su un palazzotto del centro di Caiazzo. Lo ristrutturò pensando a un luogo dove pizza, accoglienza, ricerca e formazione fossero un contesto unico. Nacque così Pepe in Grani. Insieme a Sabino Berardino, era fine settembre 2012, ebbi il piacere di fare una visita in anteprima.
Si colse subito il senso delle grandi novità e delle differenze. Piano terra con il forno, la grande sala, il dehors e l’orto delle essenze. Poi il piano superiore con il laboratorio di ricerca, un altro forno e il terrazzino delle delizie: un solo tavolo a due posti riservato a clienti che volessero sperimentare gli assaggi guardando la bellezza del Caiatina. Novantadue coperti. Arredi e rifiniture, rispettosi del passato, in pietra di tufo grigio, marmo e legno. Grande suggestione. Cinque camere allestite per offrire il piacere dell’ospitalità. Come in famiglia. E poi le regole immutate del lavoro di pizzaiolo figlio e nipote di panificatori: impasto a mano nella madia, ore e ore di lievitazione. Maturazione nelle tavole di legno nella totale assenza di tecnologia. Regole e movimenti antichi in libere combinazioni di farine studiate giorno per giorno in base alla loro natura, all’umidità e alla temperatura dell’ambiente. Menu sobrio e legato alle eccellenze del territorio, dagli oli al pomodoro. Una bella carta dei vini e delle birre.
La riscoperta della pizza a libretto, ripiegata su se stessa, e conservata nella stufa di acciaio, per intrattenere gli ospiti in attesa di sedersi a tavola. La riproposizione della pizza Mastu Nicola variata con il Conciato Romano e con i fichi, così come l’aveva già realizzata insieme ad Alfonso Iaccarino a Sant’Agata sui Due Golfi in un’indimenticabile jam session. Poi nel 2016 una svolta ulteriore. Nasce la nuova sala che Franco Pepe ha immaginato come un luogo in cui sedersi per ascoltare, direttamente dal protagonista, il racconto, la storia di un artigiano del cibo che riesce a intuire e tracciare nel presente la via dritta che porterà la pizza sulla tavola del futuro.
Proprio per questo a Franco Pepe il ruolo di patriarca glielo si deve riconoscere. Non c’è stato un trend innovativo nel mondo della pizza che lui non abbia avuto la capacità di cogliere prima degli altri, senza mai trascurare l’essenza di un artigianato non disumano, che si rivela sin dal momento della creazione dell’impasto, del pane per la pizza. Poi vengono i prodotti che nascono dal recupero di antichi semi locali del frumento, il grano tenero chiamato Autonomia in epoca fascista o del pomodoro riccio o del fagiolo quarantino. È la filiera corta a cui per primo Franco Pepe, ed ora un po’ tutti guardano per vivere il presente e garantire il futuro. A tutti, non solo in pizzeria.
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