di Alfonso Sarno
Con i suoi baffi alla d’Artagnan, i tatuaggi sapientemente sparsi sul possente corpo di ex rugbista Gabriele Rubini, in arte Chef Rubio, si è imposto nell’affollata cucina catodica come il sexy simbol per eccellenza.
Oggi i mustacchi sono scomparsi, tatuaggi ed alone erotico resistono. Fama, quest’ultima, che il trentunenne cuoco frascatano, icona dalla popolarità trasversale, respinge senz’appello: «Dicono che sono sexy? Non mi interessa….E’ una cosa che mi fa sorridere….Vuol dire che siamo veramente messi male». Così, con una fulminante battuta liquida annose e calde discussioni fiorite in rete e sui giornali dopo il successo ottenuto con «Unti e Bisunti». Successo che spera di bissare con il cooking talent «I re della griglia» (in onda tutti i lunedì, alle 21,10 su DMax – DTT Canale 52), dove con Paolo Parisi e con Cristiano Tomei, patron de «L’imbuto» di Lucca dovrà incoronare il Paganini del barbecue.
Anche se, sotto sotto, non si sente tanto a suo agio nelle vesti di giudice: «Mi sento più un complice pronto a dare un consiglio, a correggere senza offendere, il concorrente che sta sbagliando». Ed allora la veemenza che metteva nella gara con i cuochi di «Unti e bisunti»? «Tutto uno scherzo. Mi atteggiavo così per tirare fuori il meglio di chi sfidavo. In quelle cucine non esisteva competizione ma la voglia di fare conoscere delle ricette che raccontano alla grande una città, la vita. Quella vera. Non sopporto la definizione di street food. Non significa niente. Sono cibi da strada da mangiare con tranquillità, seduti all’aperto guardando il mare, i giardini, la gente che passa. Le friggitorie e i chioschi che, per fortuna, ci sono ancora in Italia svelano profumi, sapori, sensazioni forti, storie millenarie». C’è passione, la stessa che Chef Rubio ha prima portato nella sua attività sportiva in giro per il mondo ed ora in quella culinaria: «Già, io mi racconto. Sempre. E mi racconto con furore, totalmente anche perché penso soltanto a lavorare. Non mi interessa altro. Non mi vedo in televisione anche perche non la posseggo – continua – Mi manca la percezione del successo e, spero, che questo mio essere così, senza infingimenti e sovrastrutture venga colto dal pubblico. No, non mi piace bleffare». Una autenticità che colpì i dirigenti della piccola casa di produzione romana «Pesci combattenti» tanto da spingerli a costruire intorno a lui la fortunata serie dedicata a polpette, supplì e calzoni e che lo tiene ancorato ad una dimensione artigianale del lavoro: «Non credo che uno chef possa aprire ristoranti in diverse città mantenendo alta, inalterata la qualità. A meno che non sia così bravo da dare ai suoi collaboratori una linea tale che anche quando è assente non sorgano problemi. Io per ora non ho in mente di iniziare questo discorso: sono soddisfatto delle cose che faccio, non inseguo nuove avventure e credo di dovere ancora sperimentare». Anche perché le giornate di Chef Rubio tra televisione, cooking e libri (ne ha pubblicati due, uno dei quali incentrato sulla dieta mediterranea) sono già abbastanza affollate: «Sì, vorrei più tempo per me, per riflettere con tranquillità. Comunque va bene così. Sto su di un treno in corsa ma è bello svegliarsi la mattina e sapere che andrai a fare qualcosa che ti piace. Giornate dove non c’è spazio per la noia».
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