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«La mia estate? Beh diciamo che dopo gli undici anni non ne ho avute più perché ho sempre lavorato». Nino Di Costanzo, classe 1972, due stelle Michelin con il suo Dani Maison a Ischia sta trascorrendo mesi di duro lavoro e grandi soddisfazioni. «Stanno venendo persone molto importanti, tanticlienti che ho avuto l’occasione di conoscere durante i miei giri nel mondo con Kiton, siamo molto contenti»
Torniamo ai ricordi della tua estate
«Sono quelli di noi ragazzi del Sud, colori e odori: pomodori, mozzarella, insalata di pasta, pomodori, limoni. Mio padre Sabato era di famiglia contadina, mia madre Concetta viene da una famiglia di pescatori. Lui era ossessionato dal mangiare le cose appena raccolte, mai il giorno il giorno dopo. Grazie a loro ho imparato subito cosa significa avere prodotti di qualità, era la cultura pre frigorifero, quando bisognava conoscere bene quello che si mangiava per non rischiare».
Poi a undici anni subito a lavoro
«Certo, per due motivi: essere indipendente e non diventare un peso per la famiglia. Ho lavorato in pizzeria come garzone, poi sono passato ad un albergo a quattro stelle dove pulivo le verdure e il pesce. Ogni giorno mi aumentava la voglia di vivere in questo mondo, all’ora non c’era internet, non si parlava tanto di cucina come oggi e l’unico modo per imparare era vedere gli altri che facevano il mestiere. Crescendo ho iniziato ad andare in libreria per comprare i libri di Marchesi e Paracucchi».
E la formazione vera e propria?
A 14 anni mi sono iscritto alla Scuola Alberghiera di Ischia. Era in una vecchia caserma di carabinieri, c’erano molte proteste, ma io non partecipavo agli scioperi, ero un secchione, entravo sempre perché avevo sete di imparare. All’epoca l’Alberghiero era considerato un ripiego per chi non aveva voglia di studiare, ma io lo presi molto seriamente. Studiavo e poi lavoravo».
Come hai proseguito la formazione?
«La scuola non mi bastava, cambiai lavoro in un altro albergo. Prima c’era molta più gerarchia, uno stagista non poteva mai fare il capopartita. Io volevo andare nelle grandi cucine e i miei compagni mi criticavano: ma sei scemo a voler andare a lavorare gratis. Cos sono riuscito ad andare da Gualtiero Marchesi e Gaetano Trovato, poi anche da Juan Marì Arzak. Dopo ogni esperienza sono uscito sempre più motivato»
Un’altra epoca…
«Vent’anni fa non c’era tutta questa faciltà di oggi. Soprattutto i prodotti del Sud non erano proprio presi in considerazione dalle grandi cucine del Nord. Usare il pomodoro era quasi un colpa. Ora grazie a Dio tutto questo è finito e la nostra materia prima ingolosisce tutti».
Poi la grande stagione dell’Hotel Manzi
«Sì, io lavoravo al Miramare Castello a Ischia Porto, avevo 25 anni, la proprietà mi fece la proposta e io rimasi impietrito: non mi sentivo all’altezza, ma più vedevano la mia resistenza più insisitevano e alla fine accettai. Ed è stata una cavalcata entusiasmante, la proprietà mi ha dato molto e anche io a loro, ho messo tutto me stesso in questo lavoro. Aprimmo nel 2006, ma la prima stagione fu la 2007. L’anno dopo arrivò la prima stella, nel 2010 la seconda. Una soddisfazione incredibile, inutile negarlo, che ci ha aiutato e spinto a fare sempre meglio»
Poi l’abbandono nel 2015.
«Ogni cosa ha un ciclo, ma ho bei ricordi e gratidutine per quel periodo. Pensai di aprire qualcosa di diverso, più semplice, una casa vera e propria, così nel 2016 è iniziata la storia di Dani Maison che subito ha ripreso le due stelle»
Qual è la differenza sostanziale rispetto a quella precedente?
«Volevo un posto che fosse, ripeto, una casa dove al centro dell’attenzione ci fossero gli ospiti con il giusto equilibrio fra tradizione e innovazione, molto concentrato sul piatto».
Tu hai avuto modo di fare anche tanta esperienza cucinando per i clienti di Kiton
«Una grande esperienza con Kiton. Credo di aver cucinato per i più ricchi del Mondo, da Bill Gates a Zuckeberg»
Che cosa ti ha insegnato conoscerli?
«Che oggi il vero lusso è la semplicità. Tutto quello che è superfluo non ha più senso di esistere nella cucina. Anche il dress code non ha più importanza. Il mondo è cambiato profondamente, la gente non deve capire la tua cucina, ma deve semplicemente mangiare bene e trovarsi a proprio agio».
Cosa consigli ai giovani che vogliono fare il tuo lavoro?
«Sinceramente vedo che i cuochi più giovani stanno perdendo di vista la cosa più importante: fare il lavoro bene e avere sempre il cliente come centro della propria attenzione. Oggi essere cuoco significa fare una scelta accurata dei prodotti e questo è diventato molto più importante perché la qualità del cibo si è mediamente abbassata. La gente allora viene da te perché vuole qualcosa di autentico, di sano e di buono. Solo se riesci a dare queste emozioni sei bravo, cioé sei un bravo cuoco. Se non hai il rapporto con il buono, il sano e il bello non resta più niente di questo lavoro che rischia invece di omologarsi, sia verso il basso che verso l’alto».
Insomma, territorio?
«Si ma senza ideologia, la gente se viene da me deve capire che sta ad Ischia, ma non deve avere solo Ischia nel piatto, bensì tutta l’esperienza che io riesco a trasmetterli».
Il percorso di Nino inizia con due riassunti. Nell’aperitivo quello dei sapori napoletani classici. Nel finale i dolci. In mezzo, grandissimi piatti che contengono piatti.
CONCLUSIONE
Da Nino Di Costanzo l’esperienza è completa e appagante. Impegnativa e divertente. Il percorso menu completo è di 180 euro vini esclusi per una esperienza irripetibili. La carta dei vini immensa, quella degli oli ha 19 etichette, una per ogni regione (ad eccezione della Val d’Aosta). Non vi resta che prenotare per capire il futuro.
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