Che sapore ha la pizza di un distributore automatico? Noi l’abbiamo provata!

Pubblicato in: Curiosità

di Andrea Guolo

Pensavo di aver visto tutto o quasi in 52 anni di vita, dalla vittoria ai mondiali dell’82 al crollo del muro di Berlino, da Berlusconi primo ministro a Trump presidente della Repubblica. Mi ero stupito a Dubai osservando, dieci anni fa, il distributore automatico di lingotti d’oro e proprio allora avevo pensato: certe cose, in Italia, non potrebbero funzionare.

L’APPARIZIONE

Poi, giovedì sera (17 ottobre, per la precisione), a Bolzano mi sono trovato davanti al fenomeno inaspettato e inimmaginabile: la pizzeria automatica, il sistema vending che non si limita alla lattina di Coca Cola di memoria fantozziana ma va ben oltre. Si chiama, udite udite, “Pizza a mano – South Tyrolean premium pizza”. Ora della scoperta: 22.30 circa, e il “come” va raccontato… Cena di gala dell’Anef, l’associazione del settore impianti a fune (seggiovie, cabinovie etc), in occasione dell’Assemblea annuale che si terrà il giorno dopo e dove è atteso il ministro (non le piace il femminile) Daniela Santanché. Alle 22.10 viene servito finalmente il risotto e decido che non attenderò oltre per fumare il mio sigaro, anche perché la guancia brasata degustata alle 22.40 – se va bene – risulta lievemente indigesta. Cammino per la desolata via Bruno Buozzi, in zona fiera, con in bocca il Garibaldi quando, superato un bel ristorante sushi con una bottigliera instagrammabile, ecco apparire l’ennesimo negozietto (spuntano come funghi) di bibite e merende nei distributori automatici.

Ad attrarre la mia attenzione è un video proiettato alla parete, con protagonista Gino Sorbillo che fa il suo mestiere di pizzaiolo: che ci fa Gino proiettato in un vending store? Entro e si svela l’arcano: è una pizzeria senza pizzaiolo, metti i soldi e ti sforna la pizza in automatico. Scatto due foto, le condivido con gli amici e giù le risate…

Vabbè, siamo a Bolzano, a Napoli quella macchina (anzi, quelle macchine, perché sono due) non durerebbe molto. Torno indietro, mi bevo un gin tonic al bar dell’hotel e vado a dormire. Ma il sonno è tormentato, e non certo per il sigaro o per l’ottimo gin tonic con il gin di Roby Marton. È la voglia irresistibile di provare quella pizza che ha fatto breccia nel mio inconscio e, non serve Freud per capirlo, a emergere già nella fase Rem. La voglio, non c’è storia, e non c’è assemblea che tenga.

L’ESPERIENZA

Al risveglio, la mia cera è quel che è, e il cielo plumbeo di Bozen süd non aiuta il colorito naturale. Piove che Dio la manda, così decido di rinviare la spedizione “hand made pizza” e faccio colazione in hotel. Passano tre ore di incontro, sale sul palco la Santanchè e contemporaneamente esplode la voglia di pizza automatica. Apro la app di Trenitalia che mi dice: treno in partenza alle ore 13.52, e sono ormai le 13.20: non c’è tempo da perdere. Abbandono la sala quando il ministro del Turismo conclude il suo intervento, rinuncio al pranzo con qualche rimpianto – i vini erano di Kettmeir – e arrivo da lei, la South Tyrolean hand made premium pizza, posizionata proprio davanti l’ingresso della stazione di Bolzano sud.

Mi contendo l’ambita preda con due giovani asiatiche finite lì chissà come, che indugiano un po’ troppo prima di ordinare un semplice tè alla pesca. La macchina di sinistra offre la pizza al salame e quella al tonno, a destra la proposta prevede la margherita o la south tyrol. Il rischio è il mio mestiere, del resto nella mia carriera di cronista ho affrontato malavitosi di ogni tipo e inseguimenti notturni, ma quando si tratta di pizze è meglio essere prudenti: una margherita può bastare. Inserisco i 6,90 euro nelle apposite fessure, una banconota da cinque e una monetina da due (volendo il sistema accetta anche la carta di credito) e per riscuotere il resto devo prima aspettare che la pizza sia pronta: tempo previsto 4 minuti. Intanto mi guardo Sorbillo che racconta come si fa l’impasto, come avviene la lievitazione e faccio un po’ di social con le asiatiche incuriosite dalla situazione. A un certo punto parte il countdown, da 90 a zero, e quando mancano tre secondi giro il video dell’apparizione miracolosa. Scendono prima i dieci cents di resto e poi, dentro un cartone, arriva la mia pizza!

La osservo in parte ammirato, in parte deluso: sul monitor c’è sempre Sorbillo con una sua pizza, non è la stessa cosa. Ma è pur sempre la prima pizza automatica della mia vita, ed è il momento di affrontare con obiettività il test dell’assaggio.

 

IL GIUDIZIO

Francesco Martucci e Diego Vitagliano possono dormire sonni tranquilli… Non sarà un sistema automatico a mettere a rischio la loro carriera. E anche i miei amici Luciano Pignataro, Barbara Guerra e Albert Sapere potranno portare avanti 50toppizza senza il timore di essere ormai fuori dal mondo.

Prima considerazione: me la aspettavo anche peggio, ma questo perché in fondo solo solo un gastrofighetto maledetto tradizionalista e infastidito già dalla pratica ormai dilagante della sostituzione del forno a legna con quello elettrico. Ma qui mi perdo in chiacchiere e non faccio il mio dovere di critico. Andiamo per punti.

L’impasto? Surgelato e cotto in 4 minuti, pratica rischiosa… Infatti risulta leggermente crudo ai bordi e rovente, anzi bruciacchiato, al centro. Alzo la pizza e guardo la base: i segni di bruciatura sono evidenti.

Sulla qualità degli ingredienti avrei da ridire, soprattutto del pomodoro, e allora sia benedetta la scelta prudenziale di aver evitato il salame piccante.

Quanto al packaging, non ho ben capito perché il cartone scelto dall’azienda non sia richiudibile, tipo pizza da asporto, ideale per il viaggio in treno.

Alla fine l’ho mangiata, l’ho digerita e male non ha fatto. Anzi, posso dire senza timore di essere smentito che, ricorrendo al vending, si può anche mangiare di peggio.

Ciò detto, non ci tornerò, a meno che la società Pizza a Mano di Casteldarne, che ha inventato questo sistema decisamente originale, non mi inviti per farmi provare i miglioramenti apportati al sistema. In tal caso, ci rivedremo alla stazione di Bolzano sud. Questa volta, senza la Santanchè. Ma con i vini di Kettmeir.


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