L’espressione del Sauternes per collezionisti.
Un vino che non muore mai.
Un vino da anniversario.
Ma alla fine delle definizioni, semplicemente un grandissimo Sauternes.
Non ho mai rimpianto di aver ceduto la mia piccola collezione d’Yquem in cambio di pari valore di Krug . Ormai il mal di testa era matematico: un’ora di mal di testa per ogni bicchierino bevuto.
Questo perché la So2 gettata a piene mani ti viene a punzecchiare i centri nervosi fino all’esasperazione.
C’è da dire anche che se attesi a lungo questi Yquem come altri grandi produttori blasonati di Sauternes, o di Barsac (e penso a Climens), non sono poi così nefasti se bevuti con cautela.
Diciamo che aspettandoli una ventina di anni poi ci si può bagnare le labbra con una certa soddisfazione . Ma se è necessario attendere così tanto per avere solo il piacere di un Sauternes senza pagarne le conseguenze perché non stappare direttamente un Gilette?
Si perché all’affinamento ci hanno già pensato loro prima di venderlo. Circa quindici gli anni di permanenza nel cemento prima dell’imbottigliamento, e altri cinque in cantina. E allora si che ci siamo. Finalmente possiamo tranciare una bella fetta di foie gras delle Lande accompagnandolo con qualche albicocca disidrata, pan brioche caldo e un bel calice di Gilette .
Io credo che questo abbinamento sia forse tra i più poetici realizzabili. La sublimazione della raffinatezza e della complessità, armonie e contrasti che si inseguono all’infinito.
Quindi non stupiamoci che per gli appassionati e per gli amanti del savoir vivre sia a volte preferito questo Sauternes piuttosto che un Yquem o un Climens di una decina d’anni.
La famiglia Médeville possiede questo piccolo podere di meno di cinque ettari piantati quasi totalmente con Semillon. La produzione dichiarata è ridicola : 5/6000 bottiglie all’anno, e con tutte le variabili possibili dell’annata, che come tutti gli appassionati ben sanno, quando si parla di Sauternes sono suscettibili di mille capricci climatici che possono favorire o meno l’attacco della muffa nobile (Botrytis cinerea). I rendimenti da queste parti, chez Médeville a Chateau Gilette possono scendere fino a 5 ettolitri a ettaro.
Ora, qui parlare di annate vuol dire parlare forzatamente di grandi annate.
Come al solito, per capire al volo come stanno le cose sarebbe interessante bere un Gilette di una quarantina d’anni.
Che so, anche un’annata non esageratamente sopravvalutata come al 1970 (circa 300 euro al mercato nero), che dovrebbe avere ancora quel bellissimo color biondo dorato intensissimo ed un bouquet di albicocca, arancia candita, arancia amara e mille altre sfaccettature affascinanti. La grassezza e l’untuosità compensata dalla conservata acidità faranno il resto.
La più vecchia che mi sono permesso di bere da solo (da o,375) è stata la mia annata. Capitano quei momenti di sconforto nella vita, e allora invece dei farmaci preferisco l’omeopatia, e quindi Chateau Gilette 1961. In quel caso rimediai alla carenza di terrina di foie gras con dei formaggi bleu come lo Stilton, il Gorgonzola naturale di Paltrinieri, un Blu del Moncenisio, un Roquefort ferriere… Beh! Sono serate che si ricordano volentieri, e vedendo i prezzi medi sul sito internet di riferimento che fa di nome www.wine-searcher.com vengo piacevolmente sorpreso da quotazioni interessanti, che spesso restano sotto i duecento eurini.
Tra le ultime annate messe in vendita direi che la 1983 potrebbe essere la più degna per togliere la polvere dai ricordi mentali di quel 1961, del 1967, del 1970, del 1975 …
E infine, per ogni dettaglio tecnico ecco la fiche ufficiale del produttore:
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