di Raffaele Mosca
Sui bianchi non ci sono più dubbi: è oramai risaputo che, se sono fatti ad arte, possono invecchiare alla pari se non meglio dei grandi rossi. I rosati, invece, continuano a patire la maledizione del consumo immediato, ed è un peccato, perché, come tutti i grandi vini, anche i migliori vini “rosa” guadagnano molto in complessità nel tempo, senza, però, perdere di vista la spensieratezza, la golosità e la facilità di beva tipica della tipologia.
L’occasione di testare la tenuta nel tempo del Cerasuolo d’Abruzzo, principe dei rosati “di terroir” italiani, si è materializzata nel bel mezzo di un’incursione nel circondario di Vasto, strano areale all’estremo sud della regione, che per molti aspetti assomiglia alla vicina Puglia. Qui, a due passi dalla favolosa riserva naturale di Punta Aderci, e alla fine di un lungo viale fiancheggiato da ulivi secolari, c’è un’azienda le cui vigne sono completamente circondate dal mare: Fontefico dei fratelli Altieri, due vulcani in piena eruzione pronti a tenerti in cantina quattro ore per farti comprendere che il Cerasuolo è un vino di serie A. Con Nicola, il più esuberante dei due, ho fatto una bella chiaccherata prima della verticale. Ecco i punti salienti:
Nicola, raccontaci qualcosa della tua azienda
Allora, la nostra non è un’azienda che esiste da generazioni: abbiamo iniziato a fare vino dopo l’acquisto dei vigneti da parte da nostro padre nel ‘96. Eravamo ragazzi e siamo stati rapiti dall’atmosfera, dai ritmi, dai colori del vino e quindi abbiamo cominciato a produrre con un torchio. Poi, da cosa nasce cosa, e quindi, dopo 10 anni di sperimentazioni, nel 2006, abbiamo deciso di dedicarci al vino, anche se avevamo studiato tutt’altro: io economia e mio fratello scienze politiche e comunicazione. Al momento abbiamo quindici ettari a circa 120 metri sul mare piantati a Pecorino, Trebbiano, Montepulciano e Aglianico. Produciamo circa 40-45.000 bottiglie, seguendo i criteri dell’agricoltura biologica e limitando al minimo gli interventi in cantina (fermentazioni con lieviti indigeni, no filtrazioni, solforosa solo prima dell’imbottigliamento, ndr)
Bene. Noyo che il packaging dei vostri vini è veramente molto accattivante. Come vi è venuta l’idea di disegnare un’etichetta così?
Beh, innanzitutto noi produciamo tutto integralmente, quindi anche l’etichetta è un’idea nostra, l’abbiamo disegnata noi in prima persona. E siccome ogni vino viene da una specifica vigna, abbiamo deciso di rappresentare questa figura, che è sempre la stessa in tutte le etichette, ma cambia posizione e colore a seconda del vino e dell’annata.
Il Cerasuolo ha anche un nome singolare:ossimatto. Da cosa deriva questo nome?
Fossimatto significa “ fossi matto a chiamare Cerasuolo un vino che Cerasuolo non è”. Per noi il Cerasuolo deve rimanere vicino alla tradizione e deve avere questo color ciliegia intenso, carico. Non facciamo distinzione per quanto riguarda le uve: le vendemmiamo insieme a quelle del Montepulciano. E poi teniamo il mosto a contatto con le bucce per 8-12 ore prima della pressatura, in acciaio. Diciamo che la buccia non ha nemmeno il tempo di cedere il colore, ma qui il Montepulciano ha veramente una grande carica cromatica.
I migliori Cerasuoli provengono generalmente da appezzamenti nell’entroterra e in alta collina. Il vostro, invece, è prodotto a “bassa quota”, ma mi dicevi che ha comunque tanta acidità. Qual’è il segreto?
Il segreto è il mare e il vento che viene dal mare. Abbiamo tanto sole e terreni molto ricchi che alzano il pH, ma l’acidità si attesta sempre sui 6 g/l grazie al vento e alle forti escursioni termiche tra giorno e notte. E poi c’è tutto questo sale che ci arriva e che, secondo me, dà una grande mineralità. L’acidità percepita è anche superiore a quella reale. Secondo me le variabili che entrano in gioco sono tante e tali da darti questa percezione di freschezza inaspettata.
Lo chiedo a tutti: cosa ci abbineresti?
Trovandoci a Vasto, direi brodetto alla vastese, ma penso anche alla pizza, che ci sta una bomba, o a questi hamburger gourmet che oggi vanno di moda.
Il Cerasuolo d’ Abruzzo Superiore Fossimatto di Fontefico
2019
Il colore è quello classico: un rosa cerasa molto intenso, da piccolo rosso. Il naso, più che sul frutto, fa forza su sfumature di ruggine e pepe rosa, timo, pomodorino infornato, cappero selvatico. La classica fragola matura del Montepulciano in rosa è protagonista, invece, del sorso avvolgente ed estremamente succoso, sapido e speziato nell’allungo dinamico e di grande piacevolezza.
2018
La veste non cambia di una virgola, ma la parte speziata cresce ancora d’intensità, rasentando l’incenso e la noce moscata. C’è anche tanto frutto – pompelmo, gelatina di ribes – e una traccia floreale d’ ibisco e peonia. Il sorso è morbido, cremoso, sempre piccante, speziato sul fondo, ma con un tocco di dolcezza fruttata e volume in più. La spinta sapida prende il sopravvento in chiusura e sostiene un finale di notevole lunghezza.
2016
Il colore è appena più chiaro e il naso decisamente più dolce: confettura di fragole, acqua di rose e cannella vanno a braccetto con la macchia mediterranea in tutte le sue declinazioni. Il sorso è più largo e disteso, ma tutt’altro che piatto. Acidità e salinità in dosi adeguate sostengono la ricca polpa e bilanciano un finale su toni di ciliegia e salsa di pomodoro che chiama il brodetto alla vastese.
2013
Veste con qualche bagliore granato e registro olfattivo completamente diverso: il frutto si è fatto da parte e ha lasciato spazio ad aromi singolarissimi di paprika e pomodoro secco, spezie dolci, un accenno di sottobosco. Lo sviluppo ha mantenuto la grinta, la scorrevolezza classica, ma ha guadagnato molto in profondità e struttura, con spunti umami – quasi salsa di soia – che mi fanno pensare ad un abbinamento epico con un sashimi di tonno.
2011
Colore da Pinot Nero evoluto e profilo olfattivo ampio, terragno: sa di liquirizia e genziana, conserva di pomodoro, gelatina d’anguria, fogliame secco. La gustativa è ancora reattiva, meno fruttata e più giocata sulla sapidità e sui rimandi alle erbe disidratate. Qualche traccia evolutiva, autunnale emerge in un finale comunque impressionante per integrità e fluidità, che cancella ogni dubbio sul potenziale d’invecchiamento di questa etichetta in particolare e della tipologia in generale.
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