di Pasquale Carlo
Alla definizione di “vitigno autoctono” preferisco da sempre quella di “vitigno storico”. Ma se solo per un attimo mi si chiedesse di pensare ad un vitigno della Valle Telesina da poter considerare “autoctono”, la mente correrebbe con immediatezza al “barbera”, particolarmente coltivato in questo areale, le cui uve vengono vinificate da molte aziende.
Autoctono è un termine composto dalle parole greche autòs (stesso) e chtòn (suolo, terra). Un vitigno autoctono, dunque, è quello che possiede uno stretto legame con il territorio nel quale è impiantato, tanto da ritenere questo stesso territorio la sua zona geografica d’origine.
A questo punto sorge ovvia la domanda: «Un autoctono della Valle del Titerno chiamato “barbera”?». Altrettanto ovvia la risposta: «Parliamo di un barbera che barbera non è».
Tutto confermato anche dal Dna. Il 6 marzo dell’anno scorso, per volontà del Comune di Castelvenere, un campione di vite di “barbera del Sannio” prese la strada del Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (Crea) per poter essere analizzato dal Servizio di Identificazione delle Varietà di viti (Siv). Il materiale vegetale è stato analizzato con 10 marcatori microsatellite (SSR) abitualmente impiegati presso il laboratorio di biologia molecolare del citato Centro. «Dal confronto ottenuto con il database del Crea Viticoltura ed Enologia – si legge nella nota della prima risposta firmata dalla responsabile del Siv, la dottoressa Manna Crespan – è risultato che il campione corrisponde effettivamente alla “Barbera del Sannio”». Sempre la Crespan delineava che il profilo molecolare del campione analizzato corrispondeva a quello “studiato” nel 2005 da Antonella Monaco e Adriano Forlani (del Dipartimento di Arboricoltura, botanica e patologia vegetale della Facoltà di Agraria dell’Università ‘Federico II’ di Napoli) e da Laura Costantini, José Vouillamoz e Maria Stella Grande (del Laboratorio di Genetica molecolare dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige). Nella successiva comunicazione inviata dallo stesso Servizio di Identificazione delle Varietà di viti, i marcatori microsatellite identificativi della “barbera del Sannio” vengono comparati con quelli della barbera piemontese. Emerge un quadro che mette in risalto la discordanza delle due varietà.
Basta questa considerazione per dare forza all’ipotesi che questo vitigno, che non è barbera, possa identificarsi con quel “camaiola nero” di cui si trova traccia in documenti risalenti agli inizi del Novecento, quando le barbatelle che producevano quest’uva venivano vendute presso il vivaio del produttore castelvenerese-laurentino Luigi Di Cosmo.
Se all’ipotesi appena tracciata aggiungiamo una serie di circostanze storiche, ben documentate, che tracciano con estrema chiarezza lo scenario in cui il nome “Camaiola” venne posto nel dimenticatoio proprio per fare posto a quello di Barbera – che in quel momento indicava il vino più conosciuto al mondo – nasce la necessità di portare avanti un lavoro che possa far “risorgere” l’originario nome di un vitigno che da sempre rappresenta un “monumento” per i produttori del Titerno (dal territorio che va da Massa di Faicchio alle campagne a confine tra Telese Terme e Solopaca), in particolare per quelli del Comune con la più alta densità di vigneti dell’intero Mezzogiorno: Castelvenere.
Queste circostanze storiche sono al centro di un piccolo ma interessante lavoro editoriale che sarà presentato a Castelvenere il prossimo 3 aprile, i cui contenuti saranno anticipati domani nel corso del ‘Camaiola Day’ (in programma nell’Enoteca Culturale castelvenerese, a partire dalle ore 11). La giornata è programmata nell’ambito dell’evento ‘Anteprima Vinitaly’, che rappresenta una delle manifestazioni inserite nel ricco calendario del progetto ‘Cantine al Borgo – Luoghi e protagonisti del risorgere del vitigno camaiola’, cofinanziato dal POC Campania 2014 – 2020 ‘Rigenerazione urbana, politiche per il turismo e la cultura’.
Parteciperanno all’incontro i produttori di vino Sannio Dop Barbera e Benevento Igp Barbera che, insieme ai rappresentanti delle istituzioni e di altri organismi della filiera vitivinicola, tracceranno il percorso per giungere a superare l’omonimia che erroneamente lega il nome di questo antico vitigno sannita con quello del vitigno di origine piemontese. Si tratta di un percorso, avviato con tenacia, il cui obiettivo è quello di far “risorgere” il vitigno camaiola.
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