di Monica Piscitelli
Poco fuori dal centro di Ariano Irpino, il Caseificio della famiglia Lo Conte appare come un piccolo stabilimento senza speciale attrattiva. Un’insegna colorata evidenzia la presenza del punto vendita. All’interno, questo è accogliente: moderno e ricco di prodotti.
Accolta da John, visito i 5000 mq di questo che è probabilmente il Caseificio più grande dell’Irpinia. Provolette, Silani, caciocavalli, burrini, caciotte semplici o aromatizzate al peperoncino. Anche Fior di Latte e Mozzarella. I prodotti sono molteplici, ma la specialità, qui, doviziosamente indicata sulla carta intestata e su ogni confezione, dalla più piccola alla più grande, è il Caciocchiato. Il signor Charles, padre di John, ne ha fatto il suo cavallo di battaglia.
“Negli anni ottanta andava di moda l’Emmental. Tutti volevano il formaggio con i buchi anche se spesso sapeva di plastica. A quel tempo la mia famiglia commerciava formaggi, bancali di Emmental andavano esauriti. Il Caciocchiato, che producevamo, in mancanza di quello, era un’ottima alternativa autoctona” racconta John.
Si lavorano qui mediamente 300 quintali di latte vaccino al giorno, con punte di 500. Il latte fresco italiano, appena munto, proveniente da 3 cooperative dislocate tra Campania, Basilicata e Puglia, è immediatamente immesso nel ciclo di produzione.
A tutto sovraintende John che ha particolarmente a cuore gli aspetti sanitari. E’dettagliato nella spiegazione dei motivi per i quali crede fermamente nella pastorizzazione del latte e nell’uso della tecnologia.
La tecnologia e la lavorazione
Mi mostra la centrifuga. Un tamburo fa si che le particelle solide da eliminare vengano spinte verso l’esterno ed espulse per essere raccolte in un bacile. Su 1 quintale di latte esse sono in media 100 litri.
In questo modo, spiega, si abbatte il 70% delle componenti indesiderate, tra cui – continua John – sangue, cellule epiteliali e siero che inevitabilmente si possono avere con la mungitura.
Non basta. Segue la pastorizzazione. Il nuovissimo apparecchio che il caseificio ha in dotazione è controllato da un avanzato pannello.
Poi si procede con la lavorazione. Caglio di vitello.
Il Caciocciato ha forma troncoconica. E’ formato all’interno di recipienti brevettati e poi immerso diverse ore in acqua fredda a raffreddarsi. Poi passa alla salagione.
Asciuga, infilato in un retino di nylon, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mesi. Ma arriva anche oltre, se si riesce a sottrarlo al mercato che lo reclama. “Ho una piccola quantità che difendo gelosamente, ma non so dire di no se un amico o un cliente mi chiede la gentilezza di un pezzo pregiato” racconta John che mostra con fierezza le muffe che proliferano sui formaggi.
“Da poco abbiamo venduto tutto lo stagionato. Non possiamo lamentarci anche di questi tempi, il prodotto sta andando bene” commenta questo trentenne preparato e appassionato che non nasconde che gli piacerebbe poter tenere il prodotto più a lungo e anche che pensa di metter su una bella grotta di stagionatura, visto che per ora gli ambienti sono semplicemente funzionali. In sala stagionatura la temperatura e l’umidità sono controllate e il pavimento è costantemente tenuto coperto da un velo d’acqua.
Lo stabilimento (che – è bene rimarcarlo – visito a sorpresa), è razionale e immacolato. Si è da poche conclusa la produzione ma ogni cosa è al suo posto e tutto profuma di fresco.
La sala della affumicatura, si apre dietro un portello in inox come gli altri ambienti. Dalla stufa, il fumo prodotto dalla paglia biologica, mi mostra John, è immesso nella cella dove il prodotto rimane per 24 ore.
Si parla di latte crudo e pastorizzato, con John. Nel secondo, lui crede fermamente, come ho detto, per ragioni igieniche. “Tenere bassa la carica batterica del latte è fondamentale anche per la durata del prodotto” insiste.
Passaggio generazionale
John ha immesso competenza e energie nuove nella azienda di famiglia, fondata come laboratorio un po’ casalingo da uno zio nei primi degli anni sessanta e poi avviata come caseificio nel 1972.
A farla crescere il padre, un personaggio pittoresco che dietro un aspetto singolare in panciotto e papillon nasconde un imprenditore col bozzo buono per il marketing. Essendo innamorato dell’America, Carlo, da sempre si fa chiamare Charles. Da alcuni anni gli è successo John che, invero, lo ha seguito nel lavoro sin da ragazzino.
Con lui il Caciocchiato sta trovando una collocazione grazie al sodalizio con la ristorazione di qualità che lo vuole nelle proprie carte più stagionato. A crederci, tra i primi, Gugliemo Ventre, illuminato scout di prodotti irpini. Il patron e cuoco de La Pignata, locale di Ariano Irpino nel circuito de I Mesali, qualche anno fa si imbattete a Roma, in concorso per formaggi di pregio, in uno strepitoso formaggio a pasta filata di 24 mesi che vinse il primo premio e quando chiese cosa fosse gli spiegarono che era un Caciocchiato di Ariano Irpino. Lui saltò sulla sedia: non aveva mai trovato, nonostante stesse sempre con gli occhi aperti, in giro, un Caciocchiato che andasse oltre i 6 mesi.
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