La Francescana a Casa Maria Luigia di Massimo Bottura e Lara Gilmore e il futuro del fine dining

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Casa Maria Luigia
Stradello Bonaghino, 56, – San Damaso, Modena
Tel. 059 469054
Aperto: da martedì pomeriggio a domenica a mezzogiorno
Chiuso: domenica e lunedì
www.casamarialuigia.com

Casa Maria Luigia la chef Jessica Rosvald e Massimo Bottura

Dal lusso esibito al lusso conviviale e condiviso con riservatezza e intimità. Casa Maria Luigia non è solo, banalmente, ospitalità stellata, è l’idea che solo esprimendo al massimo il massimo del proprio territorio ci si può distinguere e dunque offrire qualcosa di sensazionale a chi ha visto tutto e può comprare tutto.
Racconta Massimo Bottura che fu Sergio Marchionne a suggerirgli di acquistare questa tenuta appena fuori Modena (“stai a 25 minuti dall’aereoporto di Bologna”) e lui, insieme alla moglie Lara, si lanciarono dandosi nuovi obiettivi dopo aver raggiunto con la Francescana tutto quello che la critica e il mercato possono offrire.
La residenza è molto bella, dotata di tutti i comfort possibili e immaginabili, l’idea di fondo è quella di offrire una esperienza unica a persone di grande disponibilità economica, ma che abbiano anche la giusta sensibilità culturale, regalare la sensazione di stare come a casa, magari completamente riservati e appartati in un ex fienile ristrutturato staccato dalla casa, senza essere visti da nessuno.
Ma quello che la rende magica è l’idea di trasportare qui il territorio, ciò che ha fatto ricca l’Emilia: ed ecco allora in primo luogo gli ettari coltivati a farro e grano, i vigneti che parlano di Lambrusco e Albana, l’acetaia, la visita al caseificio artigianale di Parmigiano Reggiano e poi Maserati, Ferrari, Ducati, Lamborghini, perché anche questo è territorio, a due sgommate da Maranello. Dunque in un capannone presto sarà possibile  fare anche palestra tra opere d’arte, tutta la struttura è in pratica un museo di arte contemporanea capace di interagire nella quotidiana più spicciola, come bere un caffè, leggere un giornale o un distillato, e le auto più belle che fanno vetrina in questo resort per la clientela che spesso ne è anche collezionista.

 

Ma quel che ci interessa in questa sede è anche la formula gastronomica adotatta, a parte il brunch domenicale aperto al pubblico e a un prezzo più che accessibile (90 euro): la sera nella cucina a vista si ripropongono ad un gruppo ristrteto di appassionati, otto dodici, i piatti che hanno fatto grande La Francescana negli ultimi 25 anni. A dirigere la cucina, dalla colazione in poi, nella struttura dedicata (La Francescana a Maria Luigia) la giovane cuoca canadese Jessica Rosvald, a lungo capo partita degli antipasti a via Stella e poi responsabile degli eventi esterni. Una avventura umana, la sua, che conferma la vocazione alla bottega rinascimentale con cui Massimo Bottura vive la Francescana, capace di attrarre tutti da tutto il mondo e di dare una possibilità a chiunque. Lei venne in Italia per caso, l’idea di passare un anno, mangiò qui e rimase folgorata e il giorno dopo mandò una mail offrendosi come lavapiatti. Tutta la storia la potete leggere nello splendido report di Alessandra Meldolesi su Reporter Gourmet.

Il servizio è invece coordinato da Denis Bretta, una storica colonna della Francescana, che troviamo tonicamente dimagrito (come tutti del resto, da Beppe Palmieri allo stesso Massimo Bottura), ma in questa avventura è Lara Gilmore a stare in trincea e il suo modo di porsi verso i clienti mi riporta a quelle che per me sono le due icone dell’ospitalità italiana: Antonio Santini e Livia Iaccarino.

Dopo aver provato a pranzo il menu che molti hanno dedicato ai Beatles ma che in realtà è un inno alla inclusione e alla rappresentazione di gusti lontani che si fondono sempre più in un mondo piccolo dove adesso è impossibile viaggiare, la sera siamo qui per assistere, come ci preannuncia lo stesso Massimo, al “futuro del fine dining”. Ponti, non muri.

Nove piatti in sequenza, iconoci, che hanno fatto grande la Francescana in un quarto di secolo. Dunque, un museo gastronomico dentro un Museo che vive. Piatti che cambiano, intendiamoci. Ma non è questa l’idea che fa futuro, quanto piuttosto il clima conviviale e intimo che si riesce a creare nella sala con tre tavoli sociali da quattro posti ciascuno. Sei come invitato a casa di qualcuno e sei nel cuore dell’Emilia Romagna. Riuscire a dare quel senso di esclusività assoluto a cui ogni persona, ricca o povera che sia, alla fine aspira, e che non si realizza più con il solito giro fra i tavoli dello chef, ma in una esperienza unica collettiva, come un lungo viaggio in aereo o una traversata in barca. E questo non ha prezzo, o meglio ce l’ha: 300 euro più 140 l’abbinamento a vini di territorio soprattutto.

Penso a quanti giovani sognano uno spazio di 20, 25 posti per potersi esprimere. Ma il punto è che a questo risultato assoluto ci si arriva dopo aver preparati decine di migliaia di pasti e solo dopo che tu sei diventato capace di far leggere il tuo territorio, l’esclusività del tuo vissuto e studiato in un mondo sempre più omologato negli odori e nei palati rimpinzati di grassi e zuccheri dagli scienziati pazzi delle multinazionali del cibo, in modo non nostalgico ma moderno.
Altri due cuochi hanno esperienza con questo tipo di pubblico, Ciccio Sultano e Nino Di Costanzo ed entrambi, a contatto con i ricchi più ricchi della Terra, ci hanno sempre raccontato della loro voglia di semplicità e che la partita si vince accendendo la curiosità verso qualcosa di nostro che non possono aver visto. Questo è territorio, questo è il futuro del fine dining.

Questo concetto mi è stato molto chiaro da sempre, ma vederlo concretamente realizzato è davvero un altra cosa. E farlo costa fatica, lavoro, impegno fisico e culturale. Ma per arrivarci, basta mettersi dal punto di vista del cliente, che ha visto tutte le esibizioni tecniche possibili e immaginabili viaggiando in lungo e largo e che può essere incuriosito solo da una cosa sempre più rara da trovare: la verità di una ricetta e la sua salubrità per chi la prepara, per chi la mangia e per il pianeta che ci ospita.
Ed è questa traducibilità del contemporaneo è stata la specialità italiana, la bottega rinascimentale dove si crea e non si copia.
Questo è il futuro.

E ora, godetevi questi piatti che ci fanno parlare da un quarto di secolo.

Casa Maria Luigia Massimo Bottura


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