Pubblichiamo la recensione che ieri è stata pubblicata sul Giornale e ringraziamo l’autore, un vero Incontentabile
di Camillo Langone
Il nipote non ha colpa ma Casa del Nonno, anzi Casa del Nonno 13, non ha un indirizzo fortunato. Venendo dall’Irpinia verde l’atterraggio a Mercato San Severino è stato un trauma. Sì, non sono mancate le avvisaglie, le avanguardie del brutto sono apparse a Solofra, paese di concerie (in verità, per colpa della crisi o per merito di nuove tecnologie, meno puzzolenti di un tempo), e poi a Fisciano, paese di università (una università a Fisciano? Certo, una università a Fisciano, smettete di ridere, ci ha preso la laurea Pina Picierno e quindi nessuno dubiti del livello degli studi). Difficile dire se offendano più la vista le fabbriche o le facoltà, facile dire che il vertice dell’inguardabile lo si raggiunge a Mercato San Severino, o meglio in quelle periferie di Mercato San Severino che tocca attraversare cercando di raggiungere Casa del Nonno. Il sito del ristorante aveva seminato illusioni bucoliche parlando di “una terra che ha nelle sue radici la forza della semplicità”.
Per chilometri e chilometri, dal casello alla frazione di Sant’Eustachio, sembra invece che questa terra abbia nelle sue radici la forza del cemento sbrecciato e del tondino arrugginito. Un territorio devastato dai privati e abbandonato dal pubblico: come mai Sant’Eustachio non è segnalata in nessun bivio, in nessuna rotonda? Un boicottaggio dell’amministrazione comunale nei confronti del miglior ristorante della zona? Se gli scheletri di cemento armato e le palazzine senza intonaco non hanno ancora abbastanza scalfito l’appetito, a chiudere lo stomaco ci pensa una chiesa seicentesca crollante, effetto Mosul.
Ma alla fine, dopo uno sbaglio, un’inversione di marcia, qualche imprecazione, si arriva. Casa del Nonno era appunto il palazzetto del nonno dell’attuale titolare, un edificio che al tempo dei Borboni sarà stato gradevolissimo ma che oggi, dopo pesanti manomissioni e col contesto che si ritrova, lo è parecchio meno. Si parcheggia sopra un terrazzino di cemento di là dalla strada e si entra.
La sala da pranzo è in cantina: detta così non suona bene ma la cantina è spettacolare, profonda, dalle alte volte. Il problema è arrivarci: la scala è ripida, stretta, buia, per non ruzzolare c’è da pregare Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, che a Mercato San Severino era di casa. Se Sant’Alfonso non funzionasse si vedrebbero le stelle e nessuna di queste sarebbe la stella Michelin di cui il ristorante si fregia. Finalmente seduti ecco la consolazione della mozzarella in carrozza su maionese alle alici di Cetara.
Rimette voglia di vivere, di mangiare, di godere, e fa dimenticare Mosul, Mercato San Severino e tutto il resto. Mai assaggiata una mozzarella in carrozza, ricetta ad alto rischio unto, così elegante. Convince meno il baccalà confit con gelato di sedano ed emulsione olio e limone, ma stavolta potrebbe essere problema soggettivo dell’Incontentabile per il quale nessun baccalà eguaglia il baccalà coi peperoni che gli preparava nonna Lucia a Potenza, troppi anni fa. Gli spaghettoni Vicidomini coi San Marzano (siamo a pochi chilometri dal paese che dà il nome ai leggendari pomodori) sono rovinati dalla forchetta il cui strano manico rende difficoltoso l’arrotolamento: un fulgido esempio di design contro l’uomo, di creatività contro la razionalità, e di ristorazione che mette in imbarazzo i propri clienti.
Seconda vetta del pranzo sono i tortelli ripieni di genovese (a dispetto del nome una salsa napoletanissima) preparata con cipolla di Montoro, altra delizia orticola dei dintorni. Valgono il viaggio, scriverebbe l’Incontentabile se non fosse tale, se alla maniera dei tanti critici acritici giudicasse un ristorante solo attraverso il senso del gusto (senso importante, certo, ma gli altri quattro?). Il reale di chianina è duretto, nonostante la cottura a bassa temperatura che dovrebbe ammorbidire i chiodi. E perché carne toscana e non campana come ad esempio una podolica oppure una bufala? Manca la bufala e manca pure il babà: ovunque su internet si elogia il babà di Casa del Nonno e oggi a Casa del Nonno il babà non c’è, maledizione. Forse a essere sfortunato non è solo l’indirizzo ma anche il giorno, magari fra qualche settimana il ristorante, appena riaperto dopo un periodo di ferie, sarà in piena forma e la lista dei piatti più completa. Il vino è un Fiano di Avellino appesantito dal legno perché nella provincia meridionale la moda penosa delle barrique è arrivata tardi e tarda a smammare. Si rimedia a fine cena con un nocillo di Sant’Anastasia e un’acquavite di fichi bianchi del Cilento.
Concludendo: alcuni piatti eccellenti giustificano la prenotazione, a patto che si disponga di un navigatore efficientissimo e che si venga non a pranzo bensì a cena, quando complice il buio l’orrore urbanistico della Campania infelix sarà meno evidente.
Comunque l’Incontentabile ha già dato e la prossima volta che vorrà gustarsi certi sapori borbonici sapientemente proposti si rivolgerà alla filiale salernitana della Casa, un nuovo locale denominato 13 Salumeria & Cucina che promette rustici piaceri quali scarpariello, pizza fritta con scarola, provola di Agerola, polipetto affogato, eccetera, facendo risparmiare sul conto (non è un ristorante, è un’osteria) e, soprattutto, su quei dieci antigastronomici chilometri dal casello di Mercato San Severino a Sant’Eustachio.
LA SCHEDA
Casa del Nonno 13
www.casadelnonno13.it
Via Caracciolo 11, Sant’Eustachio di Mercato San Severino (Salerno)
Orari e contatti Chiuso il lunedì Telefono 089.894399
Piatti perfetti Mozzarella in carrozza su maionese alle alici di Cetara Tortello ripieno di genovese con cipolla di Montoro