Corso Cavour 32
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di Romualdo Scotto Di Carlo
Ci son volute tre generazioni di Pomata per portare la cucina tabarkina oltre i confini di Carloforte e della Sardegna. Ci è riuscito infine Luigi, approdato alle telecamere di Rai Uno ed a Cagliari, con un ristorante meno identitario, che guarda oltre le tipicità regionali. Ma la storia dei Pomata parte da nonno Luigi, agricoltore che prende in gestione la cucina dell’Hotel Riviera e vince la sua scommessa in un tempo difficile, in cui di turismo a Carloforte nemmeno a parlarne: erano pesca e miniere le uniche risorse della Sardegna sudorientale.
La consacrazione arriva con la generazione di mezzo: Nicolo. Che apre il suo ristorante sul lungomare, proprio di fronte all’imbarco dei traghetti, e crea un piccolo impero turistico: ristorante, a due passi il bistrot, poi il bar e più in là l’albergo. E lui ubiquo, a salutare cordiale ed allegro i clienti tra i tavoli o a fare i turni in albergo, sempre con l’energia di un giovinetto che ha l’aria di divertirsi molto.
Tappa imprescindibile, quindi, quella da Nicolo. E noi ci avviciniamo con il dovuto timore reverenziale ma anche con una certa diffidenza. Perché il locale, a dirla tutta, non è dei più rassicuranti. I tavoli sono su strada, nella veranda costruita sul marciapiedi, una sorta di grande acquario, comune anche ad altri ristoranti di questo lungomare, tutti dai numeri sostenuti e dai ritmi serrati: a noi fa tanto menu turistico e procediamo con prudenza. Alle nove è però tutto esaurito, chi non ha prenotato per tempo forse troverà posto dopo le dieci e mezza. Tavoli un po’ ravvicinati ma la sala, nonostante gli 80 coperti, è comunque gestita con efficienza e il servizio non ne risente: diciamo che abbiamo potuto ben osservare i piatti dei nostri vicini e, volendolo, avremmo potuto piacevolmente partecipare alle loro conversazioni…
In tavola tonno protagonista, quel tonno rosso qui detto “di corsa” perché pescato con l’antico sistema della tonnara –l’unica ancora attiva- mentre è di passaggio lungo la costa, nella parte iniziale del suo viaggio nel Mediterraneo. Specie pregiata e ricercatissima, soprattutto per i forti consumi giapponesi: le quote introdotte quest’anno dall’Unione Europea tentano di salvaguardarne la sopravvivenza ma stanno mettendo a dura prova l’intero settore. Si salva Carloforte, con la sua tonnara: calata per due mesi all’anno, autorizzata solo per esemplari di almeno 30 chili, attende i pesci al passaggio e prende solo quelli che si infilano nelle reti. La mattanza, peraltro, ha anche perso quelle caratteristiche cruente che ne facevano uno spettacolo, seppur affascinante, oggi difficilmente accettabile per l’accresciuta sensibilità animalista.
Ancora una volta, però, il motivo è meramente economico: i giapponesi pretendono carni intatte, in alcun modo rovinate dagli arpioni del rais nella “camera della morte”. Quest’anno, quindi, la pesca ha fruttato non più di 5000 esemplari, destinati al consumo locale, all’alta ristorazione del Nord Italia e, soprattutto, al mercato giapponese. Inevitabile che il prezzo salga esponenzialmente: la scatoletta di semplice tonno sottolio da 240 grammi qui in vendita a 16 euro, a Milano arriva tranquillamente al doppio nei pochi negozi gourmandise che ne dispongono.
Ma torniamo in tavola da Nicolo, per ritrovare, insieme al tonno, le forti suggestioni della cucina ligure, naturali in quest’enclave genovese, approdata all’isoletta sarda passando per la schiavitù nella tunisina Tabarka.
Partiamo con gli antipasti, vari ed interessanti. Ecco le crepes croccanti farcite con code di gambero rosso, cozze e zucchine su salsa di pesce cappone, nelle quali la spiccata sapidità del fondo di pesce non rende giustizia alla delicatezza dei gamberi.
Poi il classico fagottino di tonno affumicato al mirto con mousse di ricotta di capra e melanzane: delicato ed equilibrato, decisamente una buona prova. Quindi parmigiana di melanzane al pesce spada con mozzarella di bufala della Trexenta, polipo in insalata alla carlofortina con patate, pomodoro, capperi e intingolo leggermente piccante e la tartara di tonno con olio sale e limone su stracciatella di mozzarella.
A chiudere, semplice tonno sottolio, in tutte le sue declinazioni: musciamme, cuore, buzzonaglia, da accompagnare solo con un filo d’olio poco invadente: sapori netti e forti, semplici ma accattivanti, porzioni generose ma se ne vorrebbe sempre di più nel piatto.
Ancora tradizione per i primi, dove il tonno è accompagnato da capperi, olive bianche e nere, pecorino e limone grattugiato, a condire delle linguine cotte al punto giusto e ben amalgamate: collaudatissimo piatto, in carta dal 1973, come rivendicato orgogliosamente. È il tipico sugo carlofortino, che qui si esprime al meglio, in un piatto fresco e piacevole, simpatica soluzione estiva da giornata in barca.
Di scuola invece il couscous, qui servito, a differenza che in altri locali isolani, con carne oltre che con verdure. Nicolo ed il figlio Luigi partecipano al Festival del couscous di San Vito Lo Capo nella rappresentativa italiana eppure quel che arriva in tavola non va oltre l’esercitazione accademica. Vero che il piatto non è di quelli cui è facile dare vigore ma qui il tentativo non pare nemmeno accennato. Interessanti invece le trofiette di pasta fresca con sugo di cernia al profumo di zafferano di San Gavino e gli immancabili spaghetti e bottarga.
Siamo ai secondi e tanto sapore arriva in tavola con la ventresca di tonno scottata con giardiniera di verdure e salsa agli agrumi: materia prima eccellente e cottura molto rispettosa, cucina “a togliere”, che restituisce nel piatto gusti netti ed autentici. Una tecnica che si ritrova in tutti i secondi, dal fior fiore di tonno in manto di erbe aromatiche con melanzane e pomodoro al reale di tonno in crosta di pane speziato con verdurine infornate e salsa all’acqua di mare, questo forse un po’ troppo intenso. Chiusura barocca per il gran fritto di molluschi, pesce e gamberi, tentazione cui val la pena di cedere. Per dovere di cronaca, riportiamo che in carta son presenti anche due proposte di carne (gli isolani non lo ammettono ma questa è pur sempre Sardegna!) –filetto di bue sardo alla brace con patate e tagliata di controfiletto di manzo con patate- ma a noi non pare il caso di provarli qui.
Veniamo infine ai dessert e Maffi due, se fosse con noi, direbbe che ci troviamo sulle montagne russe. In tutta Carloforte non siamo riusciti purtroppo a trovare un dolce che valesse il sacrificio del carico calorico. Anche da Nicolo stessa musica. Soufflé freddo di cassata carlofortina, marquise ai tre cioccolati e “cannolo e cannolo” con salsa al rum e gelato sono tutti nettamente al di sotto della sufficienza.
Interessante, invece, la carta dei vini, ben articolata, giustamente orgogliosa delle eccellenze sarde ma curiosa anche di uscire dai confini isolani, con ricarichi onesti. Il servizio, volenteroso e cortese, risente, inevitabilmente, dei numeri in sala ed in attesa per il secondo turno. Conto finale sui 70 euro, vini esclusi, per un’esperienza da fare ma che, alla fine dobbiamo ammetterlo, non ci ha regalato forti emozioni ne’ particolari scoperte.
La precedente scheda Da Niccolo
Ripartiamo da Carloforte avendo provato qualche onesta osteria di mare e tutti i ristoranti recensiti dalle guide. Del “Dau Bobba” non abbiamo potuto riferire perche il titolare non ha molto apprezzato la nostra macchina fotografica e ci ha invitato a non usarla: poco avrebbe però aggiunto quella cena alla nostra piccola rassegna. Campioni in cucina e, soprattutto, in sala non ne abbiamo trovati. Ristoranti onesti, con materia prima eccellente, quelli si, ma nessuno che fosse indenne da appunti e non ci facesse viaggiare sulle montagne russe care a Maffi. La cucina tabarkina –e soprattutto il gustosissimo tonno- potrà comunque accompagnare piacevolmente le vostre vacanze sull’isola di San Pietro. Per quel che poi può interessare, per la cena di saluto a Carloforte noi siam tornati al “Tonno di corsa” di Secondo Borghero: i suoi spaghetti con la bottarga erano una tentazione cui non abbiamo saputo resistere per la seconda volta!
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