Carlo Cracco non se ne è stato con le mani in mano in queste settimane. Ha cucinato per gli operai che stavano allestendo l’ospedale in Fiera, proprio in quegli spazi che di solito lo vedono protagonista a Identità Golose.
Interessante insomma conoscere il punto di vista di uno come lui in questo momento difficile.
Figlio di ferroviere, al lavoro in cucina da quando aveva 17 anni, ha dalla sua la concretezza dei veneti e di chi ha fatto la gavetta. Il quadro gli è abbastanza chiaro: <Ci vorrà tempo, tanto. Nulla sarà come prima – risponde – serviranno un paio d’anni per ripartire bene. Ma non per questo ci dobbiamo fermare. In questo momento si deve trasfornare l’esperienza in forza, la pausa obbligata in pensiero costruttivo, inventandosi delle cose”.
Rispondendo alle domande di Carlo Annovazzi su Repubblica, non ha dubbi su quale sia la priorità: la sicurezza. Senza questo presupposto è inutile pensare di aprire perchè i clienti non hanno voglia di andare a mangiare in un ristorante senza avere la certezza assoluta di non correre rischi e al tempo stesso un datore di lavoro non può mettere a repentaglio la salute dei suoi dipendenti.
La soluzione è restare chiusi? Niente affatto: bisogna aprire quando ce lo dirà il governo ma solo dopo aver fatto tamponi a cuochi e camerieri. L’alternativa reale, ragiona Carlo Cracco, è stare fermi.
Insomma, dopo essere stato il cuoco simbolo della Milano da ri-bere e della crescita dell’alta gastronomia in Italia e in Lombardia, Carlo Cracco invita tutti ad avere i piedi per terra.