Lunedì in Albis. Pasquetta.
Nella Casa di campagna di amici per onorare il primo raccolto dei carciofi d’o Vuosco. Le mammarelle.
Discussioni da cenacolo letterario con i padroni di casa: “Ma che cosa è, dunque, realmente il carciofo?”
“E’il bocciolo di un fiore che non giunge a maturazione colto giusto in tempo per essere cucinato e mangiato.”
“Se la lasciassimo abbandonata nei campi diventerebbe simile ad una margherita azzurra e al cardone selvatico: ecco perché Plinio lo chiamava Cardus e gli Arabi cardo fiorito!”
“ Sai perché si dice mammarella la prima che fa capolino tra marzo e aprile?”
“ Ma perché darà origine a figli e nipoti fino a maggio”.
“ Quindi femmina è il sesso di questa pianta fertile e prolifica.”
“ Guarda che quel temerario e sfrontato abate Galiani nel suo Vocabolario del Dialetto Napoletano ci ha scherzato sopra. Leggi:
“Carcioffola. Carciofo, in francese artichaut.
Si suol dagli amanti dare per tenerezza di affetto questo soprannome alle loro ragazze. E nelle loro lascive immaginazioni hanno fondato sulla natura istessa delle cose questo traslato e questa rassomiglianza. Durerà, dunque, finché dureranno le fanciulle e i carciofi.”
“ Ma Carcioffolà è anche la canzone di Eduardo Di Capua e Salvatore Di Giacomo: “E ndanderandí! E ndanderandá! che bona figliola Carcioffolá! ”
“Alla brace, dunque!”
Come è d’uso qui, in questa campagna napoletana, piuttosto che altrove.
Sì alla brace, come consigliava già nel 1781 Vincenzo Corrado, letterato e cuciniere dei principi e dei potenti napoletani, nel suo libro: Del Cibo Pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ nobili e de’ letterati:
“ Delli Carciofi alla Comune: Tra foglia e foglia dei Carciofi si tramezzano acciughe trite, aglio, timo, sale e pepe; si condiscono con l’olio e si fanno cuocere tra le braci, oppure nel forno; e caldi si servono.>>
E così confermava nel suo Vocabolario Domestico Napoletano Toscano nel 1841 Basilio Puoti:
“Carcioffola. Pianta, il cui frutto si mangia fatto in varie vivande, e comunemente arrostito sulla brace, con entrovi olio, sale, pepe e spicchi d’aglio.”
Che bella carcioffoliata.
Domani sarà un altro giorno.
Tommaso Esposito
Uno dei cibi da strada che sopravvive all’omologazione è il carciofo alla brace. Percorrere in questi mesi la Campania da Sud a Nord significa visualizzare la metafora del passaggio dai campi al consumo, dalla campagna alla città, dallo spazio naturale allo spazio urbano. Nella piana del Sele sono innumerevoli i punti vendita improvvisati dove si offrono i carciofi in vendita.
Poi, superata Cava ed entrati nell’Agro Nocerino-Sarnse, agli angoli delle strade si trovano bracieri dove si cuociono i carciofi. E poi via a salire nei paesi del Vesuviano fino ai quartieri sud di Napoli.
La Campania è la principale produttrice di carciofi.
Il lunedì in albis raccontato da Tommaso è in Campania, ma anche nel Lazio, l’apoteosi di un rito che trova un altro punto forte nella festa della Madonna delle Galline a Pagani dove il carciofo è l’alimento principe
Qui leggerete del carciofo secondo Federico Valicenti
l.p.
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