5 maggio 2001
L’ultima moda del mondo globalizzato è il pesce crudo, ha gli occhi a mandorla dei sushi bar giapponesi: Francoforte, Milano, Roma, presto anche Napoli. Chi, come noi, ha visto molte lune, ricorda benissimo le ingozzate sugli scogli dolomitici amalfitani e capresi di cozze, patelle, connolicchi, scuncigli, seppie e calamari a julienne conditi con un po’ di limone mentre il sole asciugava la pelle salata. Come scrive Musil, è il passato che ritorna, anche se il secondo giro, Hegel dixit, in genere è solo una patetica farsa. Sia come sia, sul frutto di mare crudo, dolce, grasso, rotondo, sul carpaccio di gamberi, di cernia, e sul salmone, sul sushi dei noiosi fighetti meneghini e dei fancazzisti pariolini abbronzati dalle lampade, è tempo di morire, è tempo di Asprinio. «Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolcezza». Decisamente non abbiamo, né potremmo, nulla da aggiungere alle parole di Mario Soldati, se non il fatto che ti accorgi dell’Asprinio perché lascia il cedro nel bicchiere. Cedro nell’Asprinio d’Aversa base, quello che si arrampica sui pioppi per dieci, quindi metri. Cedro maturo con sentori di albicocca nell’Asprinio spumantizzato secondo il metodo classico. Nel nostro tour del vino quotidiano, quando il prezzo delle bottiglie è semprr al di sotto le diecimila lire, questo vitigno è sicuramente tra i migliori della Campania, il bianco più classico di Napoli. Molti lo imbottigliano e ne daremo naturalmente conto. Nel frattempo segnaliamo l’Asprinio base di Caputo (a Teverola via Garibaldi, 64. Telefono 081 5034307), la sua evoluzione Fescine (passato in barrique) e, infine, il brut millesimato che passa due anni in grotte di tufo a 18 metri di profondità. Sono tre buoni compagni di una estate calda e lunga, appena iniziata.