di Mariano Della Corte
Vino, nell’isola una tradizione antichissima che risale sicuramente all’epoca romana. Negli antichi ruderi romani di palazzo a mare, quelli meno conosciuti rispetto alla rupe tiberiana, si consolida da anni la rinascita di un antico sapere manuale, quello della coltivazione del vigneto ad opera di don Vincenzo Simeoli. La ripresa di quell’antico vigneto augusteo del I sec a. c. nasce da una tradizione contadina che si tramanda da secoli e generazioni e passa per le mani degli zii di don Vincenzo che lo educarono alla conoscenza della terra e dei suoi pregiati frutti, i rituali della vendemmia.
Una saggezza contadina riscoperta insieme all’amore per la propria terra, in grado di produrre dei frutti davvero pregiati, proprio in quei luoghi che costituivano il buen ritiro dell’imperatore Augusto, che li preferì a tal punto da cedere ai napoletani Ischia in cambio dell’isola di Capri. Racconta don Vincenzo che tutta l’area dove sorgono oggi i vitigni autoctoni del’isola era una zona di colonizzazione augustea, dove sorgevano, come mostrano le evidenze archeologiche, le ville dei contadini. Don Vincenzo parla del terreno dove di recente ha fatto praticare uno scavo per ridare vita agli archi romani.
Tre le principali viti autoctone capresi: il greco, un’ uva bianca in dialetto locale conosciuta anche come ciunchese, il San Nicola e l’uva Palummina rossa. Inoltre, nell’area greco-romana della Scala fenicia, don Vincenzo parla della presenza di un particolare vitigno dal terreno più pietroso rispetto ad altri e di fattura pregiata, molto amato dagli imperatori da cui si otteneva, e si ottiene ancora oggi secondo processi diversi, un pregiatissimo moscato rosa, citato anche nei versi di Columella. A rendere ancor più pregiata la vigna di don Vincenzo sopravviene la delimitazione di un lungo muro romano risalente al I sec a.C. in cui si trova un terrapieno dove, secondo gli studiosi dell’epoca classica, l’imperatore Augusto fosse solito passeggiare per ristorarsi dalla calura estiva.
La zona, secondo analisi microclimatiche, risulta non solo per la presenza dei vigneti secolari ma anche per la sua collocazione geologica, una delle più fresche dell’isola, accarezzata spesso nei mesi caldi da una leggera brezza di maestrale. Sono svariate le iniziative portate avanti da don Vincenzo al fine di divulgare ai più giovani e agli appassionati i segreti della vigna come quella di coinvolgere gli alunni delle scuole dell’isola in percorsi guidati e tematici dove vengono mostrati i diversi tipi di vigneti.
Il parroco non disdegna di insegnare anche come, dove e quando si procede alla potatura. Appuntamento immancabile in autunno, come per tradizione centenaria della famiglia Simeoli, è la vendemmia che avviene nei primi dieci giorni di ottobre.
Oggi, ci racconta il prete, la sua abilità sta nell’essere diventato un esperto innestatore tra la vite autoctona e l’elemento selvatico al fine di garantirne la sopravvivenza e parla dell’importazione sull’isola anche di tanti elementi esogeni come un’uva rara bianca della costiera amalfitana denominata «caca mosca», dal sapore molto dolce.
Ma non c’è solo la vigna nella felice tenuta di don Vincenzo, forte è anche la presenza di agrumeti e di ortaggi che impreziosiscono ancor più il terreno e fanno della sua coltivazione un vero lascito da imperatori.
Pubblicato sul Mattino di oggi in cronaca di Napoli