di Andrea Petrini
Flavia e Francesco stanno assieme da una vita, frequentavano la scuola superiore assieme, e quando nel lontano 2011 li andai a trovare per la prima volta a Casale, frazione di San Gimignano, avevano da pochissimo iniziato la loro avventura di vita, chiamata Cappella Sant’Andrea.
Il loro obiettivo? Portare avanti il sogno agricolo di Giovanni Leoncini, il nonno di Flavia, che nel 1959 acquistò il podere con l’idea, una volta in pensione, di produrre vino di qualità all’interno della storica DOC Vernaccia di San Gimignano grazie alla costruzione di una cantina efficiente e, soprattutto, grazie all’enologo Paolo Salvi e alla collaborazione di Giulio Gambelli. Una sfida importante per entrambi che dopo la morte di nonno Giovanni, che nel frattempo aveva insegnato a Francesco tutto ciò che sapeva sia di agronomia sia di cantina, si sono rimboccati le maniche dando vita alla loro prima vendemmia targata 2006.
Sono tornato a Casale dopo nove anni e ritrovo Flavia e Francesco in ottima forma, con una bella bambina in più e, fortunatamente, con una azienda che trovo più viva e florida che mai. Già, perché Cappella Sant’Andrea non è solo una impresa vitivinicola ma, soprattutto, un micromondo rurale ed autosufficiente fatto a loro immagine e somiglianza dove vecchie viti, asini, cavalli e capre, utilizzate per ottenere compost da usare nei terreni, convivono in perfetta sinergia tra loro creando una dimensione di assoluta armonia ed artigianalità. Tutto ha un senso presso Cappella Sant’Andrea anche se apparentemente, soprattutto per me che vengo dalla città, non si può cogliere.
L’azienda, grazie anche a recenti acquisizioni, vanta oggi circa 7 ettari e mezzo di vigneti, tutti di proprietà e coltivati secondo pratiche biologiche (certificazione ufficiale dal 2013) dove possiamo trovare piante di sangiovese, merlot, ciliegiolo e, ovviamente, vernaccia, l’uva bianca regina della DOC Vernaccia di San Gimignano (1966).
I terreni variano a seconda delle zone ma, mediamente, sono sabbiosi di origine pleocenica, ricchi di scheletro, anche se non mancano parcelle dove prevale l’argilla e dove, in maniera saggia, si sono piantate viti a bacca rossa.
Con Francesco abbiamo cercato di fare il punto della situazione della Vernaccia di San Gimignano attraverso la degustazione di tre mini verticali di Clara Stella, Rialto e Prima Luce tutti prodotti tramite fermentazioni spontanee, poca aggiunta di solfiti e, come dice spesso lui stesso, moltissima passione.
Cappella Sant’Andrea – Vernaccia di San Gimignano 2014: prima di diventare ufficialmente Clara Stella (il nome si ispira alla figlia di Flavia e Francesco), è abbastanza palese, degustando tecnicamente il vino, che anche in annate difficili come questa si può dar vita ad una Vernaccia di San Gimignano guizzante, tesa e dalla prorompente spinta sapida. Il segreto di tutto questo? L’amore per la propria Terra e la susseguente capacità di “capire” il vigneto vivendolo 365 giorni all’anno. Nota tecnica: dopo una decantazione a freddo inizia la fermentazione spontanea in acciaio dopo la quale il vino resta sulle fecce fini per tre mesi.
Cappella Sant’Andrea – Vernaccia di San Gimignano “Clara Stella” 2017: figlio di una annata climatica totalmente all’opposto della precedente, è una Vernaccia di San Gimignano pacioccona la cui rotondità gustativa viene fortunatamente smussata da una vena acido/sapida di grande veemenza che regala dinamicità e lunghezza al sorso.
Cappella Sant’Andrea – Vernaccia di San Gimignano “Rialto” 2013: il vino proviene da una selezione di uve dalla vigna più vecchia (circa 50 anni) e, senza giri di parole, possiamo dire che trattasi di un vero e proprio Cru dell’azienda. Francesco ha voluto propormi la 2013 in quanto ultimo anno di utilizzo delle barrique per l’affinamento. Il vino, di conseguenza, risulta ancora leggermente segnato da una sensazione di “tostatura” che non comprimono ma, bensì, forniscono carattere ad una Vernaccia di grande struttura e complessità. Sorso intenso, aromatico, finale sapido. Nota tecnica: la fermentazione è spontanea e il vino ottenuto resta sulle fecce fini per almeno 6 mesi.
Cappella Sant’Andrea – Vernaccia di San Gimignano “Rialto” 2016: sarà l’annata “perfetta” che in Italia sta regalando grandi vini, ma questo Rialto è davvero un vino emozionante sia per la complessità aromatica che riporta a note di ginestra, iodio e sfumature quasi fumè sia per la consistenza palatale caratterizzata da acidità bilanciata e piacevolissima vena sapida a condurre tutto l’assaggio. Chiusura lunghissima su toni salmastri.
Cappella Sant’Andrea – Vernaccia di San Gimignano “Prima Luce” 2014: per capire meglio questo vino bisogna partire dalla sua tecnica di produzione che prevede una fermentazione spontanea in anfora terracotta, sulle bucce, per due settimane. Il vino resta poi sulle fecce per almeno un anno dopodiché passa in legno per alcuni mesi. Il vino in questione, dal colore giallo carico, ha sostanza e struttura, è ricco di ricordi aromatici di frutta secca e spezie gialle, ma la sua carica ossidativa, ricercata dallo stesso Francesco, risulta un po’ troppo coprente andando a vanificare un territorio che andrebbe lasciato più “libero” di esprimersi.
Cappella Sant’Andrea – Vernaccia di San Gimignano “Prima Luce” 2015:
Francesco, senza troppi giri di parole, ci fa capire che in questo millesimo ha ridotto moltissimo le follature manuali sul vino che, perciò, è stato “lavorato” in maniera estremamente ridotta rispetto alla 2014. Il risultato è evidente sia al naso, dove accanto alle sensazioni di frutta matura e spezie si elevano anche aromi minerali e salmastri, sia soprattutto al sorso ora decisamente più leggiadro e marcato da una decisa spinta di freschezza che tende a stemperare la struttura di una Vernaccia di San Gimignano la cui bottiglia, stavolta, è finita molto prima del previsto.
L’ultimo vino proposto in degustazione è un rosso, una vera e propria chicca tanto che Flavia e Francesco ancora non lo hanno inserito nella gamma dei vini aziendali presenti sul loro sito. Si chiama “Le Maritate”, anno 2017, proveniente da uve sangiovese (meno del 50%), colorino, alicante, ciliegiolo, trebbiano e malvasia (più altre uve locali non ben identificate) provenienti da un vecchissimo vigneto acquistato nel 2016 dove le viti sono ancora maritate, alcune centenarie, all’acero campestre che in Toscana, anticamente, veniva chiamato dai contadini col nome di “chioppo”. Le uve, raccolte tutte lo stesso giorno, sono vinificate in cemento per circa un mese. Dopo la svinatura il vino passa in barrique usate per altri 12 mesi. Il risultato è un vino assolutamente delizioso, per certi versi arcaico, dove le sensazioni di frutta di rovo e pepe sono nitidissime anche se la parte più divertente di questo vino è il sorso, succoso e freschissimo, che invita continuamente alla beva. Vino assolutamente delizioso che rappresenta un affresco di ciò che in passato era la civiltà contadina di San Gimignano.
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