Quando si gira per le strade sarde è necessario sparare i Pink Floyd a palla: tutto è poco antropizzato, ma tutto è antropizzato da sempre, da epoche ed ere di un passato non scritto e misterioso. Nasce così il Santigaini, da uve vermentino piantate in una vigna che sorveglia la Tomba dei Giganti, una fossa comune di quattro anni fa che i bambini sardi usavano per giocare, un po’ come quelli cirenaici fanno oggi con le rovine romane o noi a Paestum.
La grande stele tornata sulla tomba, simbolo delle etichette Capichera, è stata usata come solido tavolo e rimessa a posto dopo una ricerca intuitiva suggerita dagli archeologi.
Il bello di questa azienda sono le vigne strappate alle pietre granitiche che caratterizzano la Gallura. Una spettacolare vigna ad anfiteatro ben sorvegliata dalla cantina dove nascono vermentino e carigliano.
L’irrigazione a goccia è indispensabile quando tra luglio e agosto il termometro supera i 45 gradi: per la vite non ci sarebbe scampo alla morte.
Il bello di questo vigneto è che è totalmente immerso nella ricca macchia mediterranea ricca di profumi e di fauna.
La mia visita è guidata da Emanuele Ragnedda. Hanno la memoria granitica questi sardi: il papà Mario si ricordava di una cena fatta con me da Gennaro Esposito n-anni fa, l’aggancio per invitarmi a visitare l’azienda durante il mio breve soggiorno a Porto Cervo per il Winefestival.
Le prime ore del mattino sono sempre le più belle per visitare le vigne e le migliori per degustare: il convegno è alle 10,30, due ore per stare insieme riescono a bastare.
La cantina è essenziale e pratica in tutta l’organizzazione degli spazi. C’è solo un progetto di ampliamento della parte sotterranea per stoccare megli vecchie annate. Anche qui non si è lavorato sui tempi lunghi di invecchiamento dei vini, ma per fortuna il mercato straniero è assetato di vecchie annate e le aziende importanti iniziano a pensarci, sui rossi come sui bianchi.
Emanuele, 28 anni, ha girato un po’ per il mondo, fatto esperienza in cantine straniere, poi messo a lavorare in vigna.
Il primo vino ha un nime minaccioso, l’anagramma di uve internazionali, ma mi si spiega che per il momento è solo vermentino. Bello fresco, ben strutturato, molto piacevole. Un base da incorniciare.
Passaiamo poi al mitico Vendemmia Tardiva, quello del 2003 impaurisce un po’ ma bastani pochi minuti per consentire al bianco di dispiegarsi. Inizialmente escono i classici profumi di legno anni ’90, molta spezia dolce, canfora, per fortuna niente banana e ananas. Il frutto è pero pieno. Poi riprovato dopo un po’ di tempo, viene fuori davvero la macchia mediterranea. Un vino ricco, sapido, ancora molto fresco.
Il Santigaini 2006 è davvero speciale, l’ho trovato un grandissimo vino, di buon equilibrio tra legno e frutta, migliorato con il tempo e bisognoso di vivere ancora a lungo per esprimersi ancora meglio.
Più pieno il 2008, meno nervoso, con la frutta agrumata e a pasta gialla maggiormente in evidenza nel bicchiere, sostenuto comunque da alcol e freschezza ben inserite nel contesto.
Il Vendemmia tardiva 2009 si è invece un po’ alleggerito e nonostante l’annata non sia da incorniciare si presenta bene, in equilibrio, molto fresco, veloce in bocca, sapido e con una nota amara finale decisiva nel ripulire il palato.
Lianti è un Carigliano passato in acciao, bevibile e godibile, dissetante.
Assajé, vecchio amore ritrovato: bella frutat al naso con note speziate e di liquirizia. In bocca pimpante, elegante, fresco. Un granbel rosso.
Chiudiamo con il Mantènghja, grande rosso, speziato, ricco di frutta, sostenuto però da una forte acidità. Anche i rossi, come i bianchi, hanno promesse di lungo invecchiamento.
Una bellissima realtà con un progetto vino coerente, antico e moderno.
Finalmente ho trovato un motivo per andare a Porto Cervo.
Sede ad Arzachena, strada statale Arzachena-Sant’Antonio, km. 4 . Tel. 0978.980612. www.capichera.it Ettari: 40 di proprietà. Bottiglie prodotte: 250.000.
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