di Antonio Di Spirito
Spesso parlo dei vini del Vesuvio.
Al di là del legame particolare che ho con quel territorio sin dalla mia primissima gioventù, penso che quei vini, molto diffusi in tutto il mondo conosciuto oltre duemila anni fa, stanno scontando una quarantena (proprio come tutti noi in questo periodo) da troppo tempo.
Vino se ne è sempre fatto alle falde del Vesuvio; anche troppo! Molto spesso, infatti, certi vinacci, prodotti chissà dove, venivano posti sul mercato con quelle origini ed a prezzi stracciati; con il risultato di screditare il Lacryma Christi del Vesuvio e di tutti i vini che in quel luogo si producono.
I vini che ho imparato a conoscere io tanti anni fa erano tutt’altra cosa rispetto a quelli di oggi. Forse è stata la “new wave” vitivinicola vesuviana che negli ultimi vent’anni ha portato una ventata di rinnovamento epocale, non solo rispolverando i vecchi vini riportandoli a livelli qualitativi elevati, ma rivalutando anche antichi vitigni, coltivati localmente da sempre e mai assurti a vini di rango, spesso usati solo in uvaggio.
Negli anni ’70 del secolo scorso alle falde del Vesuvio, in territorio di San’Anastasia, presso la sorgente detta “dell’Olivella”, fu ritrovato un pezzo di orcio vinario, la cui scritta all’imboccatura ed un bollo raffigurante una foglia stilizzata, simile ad un cuore, testimoniavano che in quella zona venissero prodotti vini di qualità già prima della tragica eruzione del 79 a.C.
Nel 2004 tre giovani, Andrea Cozzolino, Domenico Ceriello e Ciro Giordano, ognuno dei quali aveva alle spalle una lunga tradizione familiare di produzione di vino, decidono di mettere insieme le loro forze ed il loro entusiasmo e fondano la Cantine Olivella, con lo scopo di produrre vini di qualità, utilizzando solo vitigni autoctoni e provenienti dai vigneti di loro proprietà localizzati nei comuni di Somma Vesuviana, Pollena Trocchia e Sant’Anastasia per un totale di circa dodici ettari, seguendo un progetto di sostenibilità ambientale che non prevede l’uso di concimi chimici, ma in regime biologico e con l’uso della tecnica del sovescio, per bilanciare l’importante presenza di potassio presente terreno. E producono anche i famosi “pomodorini del piennolo” che commercializzano in barattoli di vetro.
Naturalmente sono stati recuperati vecchi vigneti e, soprattutto, i nuovi impianti sono stati posti su terrazzamenti ad ampio respiro, ad un’altezza compresa tra i quattrocento ed i seicento metri sul livello del mare, nel comune di Sant’Anastasia (NA), dai quali si domina l’intero golfo di Napoli: da Pozzuoli a Punta Campanella, isole comprese.
I vitigni utilizzati sono: caprettone, catalanesca, piedirosso, aglianico, sciascinoso, olivella e guarnaccia nera.
A questo punto, però, corre obbligo fare alcune precisazioni sui vitigni meno conosciuti.
E’ stato acclarato con analisi genomiche che sciascinoso ed olivella, a lungo ritenuti lo stesso vitigno, sono due uve diverse; in particolare l’olivella è un clone di piedirosso, dal quale si differenzia solo per la forma morfologica del grappolo: è più allungato.
La catalanesca, un’uva catalana portata nel napoletano dagli spagnoli e che fino a qualche decennio fa veniva utilizzata solo come uva da tavola per le sue peculiarità: è leggermente aromatica, ha sapori di nocciola-mandorla, ha un acino grande e croccante, dolce al palato, il grappolo è spargolo e, soprattutto, si mantiene integra fino a Natale.
Si deve proprio a Cantine Olivella il percorso burocratico per poter utilizzare quest’uva in un processo di vinificazione. Passato il primo periodo di studio, durante il quale se ne ricavava un vino incerto e delicato, oggi abbiamo un ottimo vino che gioca le sue buone carte tra sapori di frutta secca e dolce, la mineralità del suolo vulcanico e l’eleganza.
La guarnaccia nera (il colore della bacca serve a distinguerla dalla guarnaccia bianca, poco utilizzata in Italia, molto in Spagna) è un’uva importata dalla Grecia VII secolo a.C. ed impiantata sull’isola di Ischia, ma è sul Vesuvio che trova subito il suo habitat naturale raggiungendo una elevata espressione gustativa ed olfattiva grazie alle escursioni termiche ed al suolo vulcanico.
I Vini Assaggiati
Ereo 2019 Vesuvio Rosato DOP
Questo vino è nato da una idea ben precisa ed è stato elaborato un progetto ad hoc. Innanzitutto il vigneto, circa 0,7 ettari, è situato sulla parte più antica del Vesuvio ad un’altitudine di circa 600 m s.l.m. ed è stato impiantato per produrre esclusivamente uve per produrre un vino rosato; la distribuzione dei vitigni è proporzionata alle percentuali che si vogliono conferire al vino. I vitigni utilizzati sono: piedirosso, guernaccia nera e sciascinoso in uguale quantità e sono tutti a piede franco.
Dopo una pressatura soffice a bassa pressione, il mosto va direttamente in acciaio fino alla completa riduzione degli zuccheri ed alla fermentazione malolattica
Il colore è rosa antico, ma abbastanza carico. Dal calice arrivano profumi di mela annurca, arancia, salvia, fiori di campo, violette e cenere lavica; il sorso offre da subito un’ottima acidità, è salino, saporito, vibrante ed asciutto, ha un’ottima consistenza ed è molto persistente. Ha un ottimo equilibrio nelle sue componenti essenziali, anche se ancora troppo giovane per godere appieno delle sue molteplici qualità. Credo fermamente che sia uno di quei rosati longevi, che raggiungono la piena maturazione e godibilità a distanza di un paio d’anni dalla vendemmia.
E questa è solo la prima vendemmia significativa!
Vesuvio 2017
Una piccola chicca, una bella novità: è un piedirosso coltivato in due comuni diversi (Sant’Anastasia e Somma Vesuviana) ad un’altitudine che va dai 650 ai 400 m s.l.m.; le uve, appena diraspate, vengono stivate in anfora di terracotta, dove si innesca la fermentazione alcolica in maniera spontanea; dopo nove mesi il vino viene imbottigliato senza alcuna filtratura.
Colore rubino brillante, molto omogeneo; profumi floreali di geranio, frutta rossa e nera croccante, leggera nota vegetale, chiodi di garofano, macchia mediterranea e cenere lavica; ottimo tannino, sapidità, freschezza, dolcezza del frutto, ed un finale gradevolmente amaricante fluiscono veloci, ma caratterizzano il sorso in maniera marcata lasciando la bocca pulita, fruttata, speziata, elegante e con la voglia di un altro sorso.
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