di Sara Marte
Potremmo definirla una visita senza sovrastrutture e pure senza strutture! Quando abbiamo chiamato Antonio Iovino per andare a trovarlo in cantina, decidemmo sportivamente di fare un brindisi in vigna. A prima vista potrà sembrare un vezzo bucolico dettato da slanci floro-filosofici. La verità è che la splendida cantina, struttura del 600 chiamata Torre Pignatelli, è in ristrutturazione totale. Bello e intraprendente il progetto di accoglienza e sala degustazione, anche se adesso si deve un po’ soffrire giacché tra gli operai e i lavori non ci sono né pace né spazio. Così, con semplicità e cordiale accoglienza, innati in Antonio, veniamo ospitati nel cuore della bella vigna. Queste sono le cose che predispongono gli animi davvero bene. Antonio e Teresa, la moglie, sono perfetti e complementari. Determinazione e simpatia, sicurezza data dal buon lavoro e precisione.
Il tuffo in vigna fa girare la testa, qui a Pozzuoli, località Monte Spina, c’è mare, Vesuvio e solfatara che fanno capolino da ogni lembo di questa terra baciata dal sole in tutto il suo giro. Quattro gli ettari di cui due a vigneto e tutto è semplicemente territorio: Falanghina e Piedirosso ed alle piante corrisponde un vino. Più trasparente di così non si può.
Passeggiando troviamo qui e lì la testimonianza della storia antica della famiglia Iovino che Antonio conserva con cura. Dal 1886 il nonno coltivava la vite ed era “masto vatecaro” e così, zappa alla mano, creava i terrazzamenti da queste splendide alture. Non è cambiata poi tanto la tecnica giacchè nei terrazzamenti stretti stretti che ci sono qui, Antonio, lavora ancora con la zappa. Cura pianta per pianta “come fossero dei figli”, così come ci racconta Teresa.
La vigna è tutta storia da scoprire: ci sono esempi di pergola puteolana che hanno deciso di preservare a testimonianza delle origini; Un po’ più in là troviamo una vite antica di 200 anni ed altre centenarie spruzzate in giro. Tutte le piante sono a piede franco, comprese quelle nuove che qui si ottengono con la tipica “calatoia”.
Non ultima la bellezza e la pulizia delle viti con i capofilari di castagno. Dopo questa passeggiata nella luce ancora calda della mattina ci fermiamo di fronte all’esempio più puro del territorio, espressione dritta e concreta, riconoscibile e aderente alle radici: i vini.
Cominciamo con la Grande Farnia Falanghina dei Campi Flegrei 2010. Grande Farnia è il nome di una splendida quercia di oltre cent’anni che svetta un po’ defilata nel polmone della vigna. Il colore è luminosissimo ma tuffare il naso nel bicchiere è pazzesco. Benvenuto Territorio! Intenso, ricco, verticale, pulito, minerale di solfatara e vulcano. Bocca fresca, grassa piena di materia e di sostanza. Finale lungo e piacevole. Non mi faceva piacere scegliere tra i due vini per questa degustazione e allora incamminiamoci verso il Gruccione, piedirosso 100%.
Il gruccione, o come si dice in gergo partenopeo l’acquaiolo, è un uccello variopinto che, come spiega Antonio, quando canta in primavera annuncia le prime piogge. E’ molto bello questo collegamento ulteriore col territorio che compie anche nella scelta dei nomi dei vini: esprime un legame ancora più stretto e viscerale con la terra dei Campi Flegrei e con la sua vigna. Guardiamo ora il bicchiere con quel colore rubino un po’ trasparente tipico del piedirosso che si accende ancora di più nel cuore della vigna che parla d’autunno. Passiamo a un naso completo, fatto di cenni erbacei, fiori e arancia amara. Quando ci spostiamo sul palato, ricordiamo che è vino “solo acciaio”, e allora è raccolto bene con il suo tannino giusto e composto, presente e sottile. Abbiamo una bocca freschissima, sapida, intensa, gustosa e lunga.
Basta! Non voglio più niente! Tre sono i punti di forza: terroir, i proprietari e le due bottiglie. Se chiedete altro, non siete mai stati qui: in questa vigna con Antonio, Teresa e i loro vini, il resto è davvero inutile sovrastruttura.
Sede a Pozzuoli, via san Gennaro Agnano, 53
Tel.081.5206719
iovino.an@tiscali.it
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