di Gianfrancesco Paci
La Storia non si può spiegare in un articolo, e soprattutto la cultura di una comunità, assieme al suo “sentiment”, chiederà sempre qualche generazione di tempo per essere compresa e assimilata dal patrimonio di chi grazie a loro si arricchirà.
Ma visitando la cantina Colonnara, tra i ridenti e soleggiati panorami di Cupramontana, non si può non capire che ciò che si incontra, è un reale patrimonio dell’enologia locale, marchigiana e, perché no, internazionale. I terreni vitati sono tutti sulla riva destra del fiume Esino: quella decisamente più alta e vicina all’antistante Appennino umbro.
Le maturazioni delle uve, così, sono leggermente più tardive e, quell’enorme insieme di sentori che negli ultimi decenni ha reso il Verdicchio il vitigno a bacca bianca più noto d’Italia, si sviluppa in modo eccellente. Tutte uve, quindi, contraddistinte da autentiche acidità e longevità.
Qui, sebbene il marchio dell’azienda risalga ufficialmente al “solo” 1959, si è creata una cooperativa che nel tempo ha racchiuso sempre più figure che con la lavorazione della terra, della vite e dei suoi frutti, avevano sicuramente decennale conoscenza.
Ma soprattutto, tra questo verde ridondante di uno dei comuni più vocati alla coltivazione del Verdicchio, cuore di un’area di turismo che negli anni sta sempre più affermandosi come riferimento per appassionati e intenditori di tutto il mondo del vino, è facile notare come la vite, queste splendide distese che morbide accarezzano i pendii dei Castelli di Jesi, abbia assunto negli anni, quasi una sorta di responsabilità sociale.
Fermandomi tra Staffolo e Cupramontana in un paio di bar e in un ristorante per mangiare, ho notato come “l’argomento” Verdicchio sia sulla bocca di tutti. E proprio tutti, anche se partendo da argomenti distanti a quello del vino, in un modo o nell’altro, anche in una piccola conversazione di cortesia, riescono a virare, senza peraltro peccare di campanilismo o pesantezza, su uno stemma che identifica il loro territorio. Forse ancor più degli stessi Castelli di Jesi che dall’ “Ager Gallicus” di epoca romana, passando dalle invasioni barbariche e attraversando tutto il Medioevo fino a giungere all’età comunali, presentano un territorio di storia e ricchezza architettonica immenso.
La risposta non è facile da individuare. Nelle Marche non c’è quella scaltrezza che scorre nelle vene dei mercanti francesi che negli anni hanno raccontato il proprio vino al mondo come il migliore dei migliori.
E non c’è nemmeno, storicamente, un’organizzazione all’altezza dell’armata italica del Prosecco che ormai da più di un decennio ha trasformato il proprio prodotto (senza far rivoltare nella tomba San Francesco o Dante Alighieri) in un elemento che all’estero, per popolarità, quasi assimilano a Poeti, Santi e Navigatori…
Ma qui, nell’entroterra di una zona mai in prima linea negli eventi salienti della storia del mondo, dove da secoli si è sviluppata con grande onore una civiltà contadina, hanno sempre imperato un autentico amore per la terra e grandissimo rispetto per tutti i frutti che questa portava.
E ciò che in tutta franchezza mi ha maggiormente colpito di Colonnara, è proprio il focus che, in tempi di numeri da rispettare con concorrenze a dir poco spietate, ha voluto tenere al centro il patrimonio del centinaio di agricoltori che portano avanti l’azienda e che lavorano i propri terreni con le proprie viti.
Un progetto non semplice da assemblare, ma soprattutto da tenere unito nel tempo alla luce dei numeri che oggi contraddistinguono l’azienda.
Ma grazie all’organizzazione attuale che nasce nelle riunioni dei soci e si sviluppa grazie all’eccellente conduzione agronomica ed enologica di Agostino Pisani, e al bagaglio di storia e cultura che prevalentemente si fanno sentire nei nomi dei due spumanti metodo classico che rendono nota Colonnara nel mondo, in questa azienda si può decisamente toccare con mano il sapore più alto di tutte le coniugazioni del Verdicchio dei Castelli di Jesi. E, ovviamente, come si confà a un’azienda di questa portata, anche di quei vitigni a bacca nera che in queste colline esprimono dei valori davvero notevoli. Sempre nell’assoluto rispetto della terra e delle sue tradizioni: no ai vitigni francesci o di qualsiasi altra origine, e trionfo assoluto del Verdicchio e di quei Sangiovese e Montepulciano che, da secoli, incorniciano le tavole locali.
Ma torniamo alla storia di cui parlavamo prima. Da anni ormai Ubaldo Rosi e Luigi Ghislieri sono nomi altisonanti nel panorama spumantistico italiano.
E questo proprio perché, grazie al ricchissimo patrimonio che nei decenni è andato ereditato da Colonnara, si è voluto rendere omaggio a due figure che tanto hanno spinto per i risultati internazionali cui l’azienda è giunta oggi.
Ubaldo Rosi è sinonimo di eccellenza nello spumante. Il nome appartiene al marchigiano che, a metà 19esimo secolo, intuì e sviluppò il Verdicchio nella spumantizzazione con sempre più incoraggianti risultati (al netto ovviamente degli strumenti e delle tecniche conosciute allora) e, non senza fatica, affrontò con successo tutte le strali critiche che gli vennero mosse nell’aver scelto un vitigno tanto “emarginato” per fare bollicine di alta qualità.
Oggi, il metodo classico che porta il suo nome, è uno spumante Riserva le cui selezionatissime uve maturano sui lieviti per ben 5 anni e porta con sé un ventaglio di fragranze davvero difficile da decifrare in degustazione, un perlage finissimo e un’eleganza da assoluto top class.
Luigi Ghislieri, invece, saltando di più di un secolo dal suddetto verso i giorni nostri, è stato il primo vero Presidente dell’Azienda. Personaggio poliedrico e dalle numerosissime risorse intellettuali ed attitudinali (oltre a quelle davvero ingenti di natura squisitamente finanziaria), ha voluto portare il nome di Colonnara nell’elite della vinificazione marchigiana. Lungimirante in tal senso fu la sua coraggiosa scelta di chiamare lo storico Carlo Pigini negli anni ’60 per portare avanti con “know how” per l’epoca ai massimi livelli, il già avanzato percorso di spumantizzazione su cui, da brillante e illuminato imprenditore, contava.
Anche in questo caso, lo spumante che porta il suo nome è un metodo classico cuveè che in quei 30 mesi di affinamento sui lieviti, regala finezza e nobilissimi sentori da declinare in numerosissime situazioni.
Oltre ai due “must”, l’azienda offre ben 5 spumanti metodo Martinotti. Le tipologie sono numerose: si va dallo spumante dolce, al vino spumante dolce, fino al vino spumante Brut. E anche nelle versioni Charmat, il Verdicchio esce sempre vincitore sovrano: soprattutto sul “fruttato” esprime davvero valori molto interessanti che permettono sempre di gustare il prodotto con ricercata gradevolezza.
Il ventaglio dei vini rossi è molto rispettabile.
Due rosso piceno, un marche IGT, due rosso conero, un marche Novello e una Lacrima di Morro d’Alba. Tralasciando il simpatico fruttato di quest’ultimo, vino di partenza si può considerare il Tornamagno (Marche rosso IGT), prima etichetta assieme al Cuprese della storia dell’azienda, nel quale mi ha colpito moltissimo la persistenza e quella bevibilità a tutto pasto che un rosso di sangiovese e montepulciano da 24 mesi di invecchiamento in acciaio e 12 in botti di rovere, difficilmente regala.
Nota di merito per una degustazione con Nero dei Dori (Rosso Conero DOC) e Lyricus (rosso piceno DOC).
Nel primo, fatto da montepulciano in purezza dopo un anno di rovere e un po’ di tempo in barriques, si nota un’inusuale morbidezza. Profumi forti e decisi, quasi da invecchiamento importante, ma anche bellissima acidità.
Nel secondo, il Lyricus, splendido esempio di sangiovese e montepulciano del Centro Italia, la morbidezza soprattutto del primo, lo rende un vino “franco”, espressione autentica e riconoscibile di quel calice che a tutto pasto ha preso piede nella cultura locale.
Infine i Verdicchio. Fossimo in un’azienda di prodotti informatici, parlerei di “core business”. Saltando il guado di un’accoppiata che mi ha comunque incuriosito Pecorino-Passerina che non ho avuto la fortuna di gustare, del vitigno locale le versioni sono ovviamente numerose. Il Cuprese, come accennato, è il punto di partenza. Oggi, rispetto a quando circa 40 anni fa è nato, è nella versione superiore. E in esso si possono racchiudere tutti i sentori autentici che il vitigno, proprio qui, nelle colline della riva destra dell’Esino di Cupramontana, riesce a far sbocciare.
Estremamente raffinati sono i due “Classico”: Lyricus (versione bianca) e Anfora. Differenziando di freschezza, sono due “Castelli di Jesi DOC” davvero splendidi in cui l’autenticità del vitigno offre oltre al retrogusto tipicamente amarognolo, una pulizia di profumi davvero di alto livello.
Tufico è il Riserva. E, almeno per quanto mi riguarda, è uno dei vini più forti e delicati allo stesso tempo che abbia mai sorseggiato. La complessità dei sentori è ai massimi, le interpretazioni a livello sensoriale sono a dir poco numerose, ma soprattutto la persistenza, donata da un’acidità di primo ordine, è quella da Grandissimo Vino.
Oltre all’iniziale Cuprese, vi sono altre due interessanti interpretazioni di Superiore: “San Giacomo della Marca” e “Cuapro”.
Il primo è molto ricco di profumi soprattutto floreali e si sposa a tutto pasto con antipasti, aperitivi o primi (soprattutto a base di verdure).
Il secondo, invece, imbottigliato l’anno successivo a quello della vendemmia, dopo una sosta sulle proprie fecce fini, è l’unica etichetta Bio. Ad oggi.
In realtà l’azienda ha dato principio a una migrazione, in primis filosofica e successivamente nella lavorazione delle uve, verso il BIO. O meglio: verso una forma di biologico che non si manifesta banalmente nella pedissequa osservanza di un disciplinare, ma che nasce da idee vere e proprie e, articolandosi attraverso consigli e valutazioni dei soci e degli enologi, vede il suo sviluppo in vigna e in cantina.
Cuapro, portabandiera dunque di questa lenta e progressiva virata, al palato si presenta con una bellissima sapidità, un arcobaleno di sentori (a mio personale giudizio più spostati su note spiccatamente floreali) e, lasciando persistente la mandorla amara del finale, porta con sé una sapidità fuori dal comune…
E’ chiaro che non si può sintetizzare in poche righe tutto il caleidoscopico campionario di etichette he un’azienda di questa storia offre. La sintesi stessa risulterebbe banale ed estremamente riduttiva.
Ma visto che parliamo di storia, uva e sensazioni, mi premeva che attraverso queste righe venisse restituita al lettore l’importanza dell’opera dell’uomo. Quella che parte proprio dalla storia, che si estrinseca negli anni nella scelta e nella lavorazione di un vitigno dal nome quasi comico e, grazie a capi d’azienda capaci ma soprattutto a uomini lavoratori appassionati, porta oggi nelle tavole di chi conosce la qualità, un’altissima esperienza sensoriale.
L’azienda si trova a Cupramontana. Forse in quella fetta di territorio dei Castelli di Jesi maggiormente vocata alla coltivazione del Verdicchio ed è dotata di una cantina davvero grande, impreziosita da colonne ad arco ristrutturate, molto scenica, completamente immersa in un gigantesco piano seminterrato semibuio perennemente a temperatura controllata in cui invecchiano tutti quanti i vini, che nella versione “full” conta fino a 300.000 bottiglie, e, dove materialmente poi, si esegue la sboccatura di tutte le bottiglie di spumante.
La disponibilità dei gestori, dal responsabile marketing al cantiniere passando dalle figure addette alle degustazioni, è totale. All’interno della piccola sala degustazioni ancora “work in progress” per la facciata finale, vi sono anche tutte le etichette esposte con la vendita di altri prodotti partner di eccellenze marchigiane. Essa, soprattutto nei tardi pomeriggi della stagione calda, si completa con una serie di tavolini in legno, esterni alla struttura, direttamente affacciati sulle colline circostanti, tutte rivestite di filari verdeggianti. Tutta questa intera struttura è spesso protagonista di eventi e organizzazioni per ospitare appassionati e turisti italiani e stranieri che, ormai consci del valore del Verdicchio nel mondo, sanno riconoscere chi lo ama e lo ammaestra bene.
Un’azienda che vive di numeri importanti e di strutture. Ma soprattutto, di storia, di uomini e tantissima passione.
Cupramontana
www.colonnara.it
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