Hanno fatto davvero bene le annate caldo all’aglianico irpino. Buoni 2003 e 2007 (ma non 2000!) si affacciano di continuo alla nostra tavola regalandoci soddisfazione. Il motivo è lapalissiano, trattandosi di uva comunque tardiva, ha tutto il tempo di riequilibrarsi dopo le insostenibili sciroccate estive, al massimo conviene anticiparsi per evitare marmellatoni esagerati.
Non era questo lo stile prediletto di Lucio Mastroberardino che invece ama vini non strillati, eleganti stilisticamente parlando e solidi nel tempo. Ne abbiamo avuto buona prova in questo bel Ferragosto trascorso in famiglia quando, di fronte alla rituale pasta al forno non abbiamo esitato a stapparlo.
Non abbiamo fatto grandi rituali perché ormai conosciamo il nostro pollo. Un Taurasi di dieci e passa anni è poco più di un bambino, e infatti dopo l’apertura lo abbiamo subito versato nei bicchieri prima di sederci a tavola per dar modo al vino di ossigenarsi una decina di minuti.
Risultato? Un naso di frutta rossa maturo, con rimandi fumé appena accennati, al palato una beva sapida, nessuna dolcezza, rimando ancora di frutta e nota di tabacco e cenere. Perfeto l’equilibrio tra il frutto e il legno. Un difetto? Quello dell’annata, un vino abbastanza monocorde nel senso che non è evoluto rimanendo fermo alle sensazioni iniziali. Ma la nota amara finale del sorso e la decisa freschezza ce lo ha fatto bere tutto senza ritegno.
Abbiamo così ytrascorso un bel Ferragosto, ricordando il vino di una persona perbene andata via troppo presto ma che comunque resta nel costro cuore.
Coltiviamo il vizio della memoria e non abbiamo il difetto di pensare che la storia inizia con noi.
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