TERREDORA
Uva: fiano
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Torno sempre volentieri al Convento per mangiare uno dei miei piatti preferiti: la genovese di tonno con cui Pasquale condisce gli ziti spezzati di Vicedomini. Per me che non amo la carne è un Bingo, un piatto da dieci per tradizione e innovazione, come il natalizio tortino di scarola e bottarga di tonno e la parmigiana di pesce azzurro che l’hanno preceduta, perché queste sono le ricette che amo in una fase in cui gran parte dell’alta ristorazione sembra una mongolfiera ingovernabile dopo aver tranciato le funi che l’ancoravano al territorio, alla realtà. La genovese è il piatto nazionale a Napoli, più del ragù: si tratta di un pezzo di carne, la colarda, preparata appositamente dai macellai, che viene cotta per molte ore in tanta cipolla rossa e un po’ d’olio d’oliva sino a quando non si ottiene una crema scura. Per la dolcezza è un calcio di rigore a tavola, piace davvero a tutti. Pasquale il saraceno ha pensato o si è inventato il piatto life style, sostituire la carne con il tonno la cui consistenza è ben nota a tutti e proporla nel suo locale a Cetara, il più carino distretto gastronomico del Sud con i suoi tre ristorantini da cartolina che ci accingiamo a celebrare il 9 dicembre con Davide Paolini, Enzo Vizzari e il professore Corrado Barberis che, su iniziativa del sindaco Secondo Squizzato e del professore Eugenio Luigi Iorio, seguirà il processo di certificazione della colatura di alici di Cetara, pericolosamente imitata in Cilento e in Sicilia. Scelgo sempre una bottiglia particolare per la genovese light col tonno di Pasquale Torrente e stavolta è toccato al Fiano CampoRe 2003 di Terredora, un matrimonio perfetto perché l’abbinamento ha funzionato per contrasto al primo impatto grazie alla freschezza ancora intatta del vino di un’annata siccitosa e perciò ancora più stupefacente, poi per assonanza grazie alle note dolci sempre presenti nel Fiano. In poche parole il bianco, giallo paglierino carico, molto ricco di frutta e spezie al naso, fa il suo ingresso nel palato spazzando inizialmente la memoria della genovese e regalando una bella sensazione di freschezza, poi chiude in maniera pulita e netta riportando in evidenza la dolcezza ma senza la grassezza. Ancora una volta, insomma, i bianchi d’Irpinia si rivelano essere i compagni ideali di viaggio nella cucina della Terra delle Sirene. Noi pensiamo che il CampoRe, una vendemmia tardiva appena terminata in questa settimana sui terreni di Lapio, proprio oggi Walter e i suoi figli iniziano a tirare giù l’aglianico spettacolare di quest’anno, nel millesimo 2003 si sia espresso in maniera più ampia e compiuta, ancora meglio che nel 2001 perché la rigidità del clima e l’altezza delle vigne ha comunque fatto superare all’uva la sensazione di cotto tipica di quella annata troppo calda che gli agricoltori ricordano come un incubo. Naturalmente, la lancetta è spostata stavolta sull’opulenza della beva più che sulla consueta eleganza a cui l’Irpinia ci ha da sempre abituati, per questo penso che sia questo il momento di berlo, magari si può tirare avanti ancora un paio di anni.
Sede a Montefusco, via Serra. Tel. 0825.968215. Fax 0825.963022. www.terredora.com. Enologo: Lucio e Paolo Mastroberardino. Ettari: 125 di proprietà e 30 in fitto. Bottiglie prodotte: 1.000.000. Vitigni: aglianico, piedirosso, sciascinoso, fiano di Avellino, greco di Tufo, falanghina, coda di volpe.
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