Uve: aglianico
Fermentazione e maturazione: legno e bottiglia
Prezzo: nd
Struzziero non è mai piaciuto agli enofighetti semplicemente perchè non si atteggia ad anti sistema, ma è fuori da ogni sistema. Una differenza sottile ma profonda, perché alcuni piccoli viticoltori che fanno manifesti ambientali e salutisti diventano la bandiera di chi deve criticare i grandi e cattivi. Chi invece semplicemente si tiene in disparte e continua a lavorare come ha sempre fatto non può fare notizia. Eppure i Taurasi di Mario Struzziero, enologo, sono davvero di tipo tradizionali, sempre uguali a se stessi. Come questo 2001 che seguiamo con passione da sempre, perfetto. Bevuto al Papavero di Eboli, carta in crescita piena di curiosità. Un Taurasi austero, in equilibrio, fresco, dai tannini ficcanti e piacevoli. Un vino da sorseggiare in amicizia rilassandosi lentamente e pensando nella vivace piana del Sele alla silente Irpina sempre uguale a se stessa. Nel bene come nel male.
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Scheda del 14 agosto 2016
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Ecco un Taurasi tradizionale immortale. L’unico che in una verticale Struzziero è riuscito ad arrivate ad una profondità (1977, nel 2011 a Vitigno Italia) che solo Mastroberardino può superare mentre gli altri si fermano al massimo agli anni ’90. Lo riprovo al Papavero di Eboli e vi faccio solo una comunicazione di servizio perché ho poco da aggiungere a quello che leggete sotto: è semplicemente perfetto e integro.
Mi piace, mi piace, mi piace assajie.
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Scheda del 5 maggio 2013
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Vabbé faccio outing. Amo quest’uomo. Non leggerà mai questa recensione, come non ha letto le precedenti, perché vive nel reale. Non gliene frega un cazzo di guide e cose simili tanto è vero che è l’unico dal quale personalmente vado a prendere le bottiglie perché per me non può esistere una guida dei vini Campania senza le sue etichette.
Struzziero è il vino d’Irpina. La sua anima pura e incontaminata. Furba e ingenua che conquista me e Antonio Corbo.
Già, bisogna avere una certa esperienza per capire l’essenza delle cose.
Ma allora perché tutto questo? Molto semplice: perché non è ostentato, finto. E’ vero. Lui è così e mi fa restare giornalista, ossia colui che deve muoversi, muoversi, fare nel culo per raccontare e non aspettare l’invio di campioni sulla scrivania da parte del rappresentante come fa l’eterno numero due (ora quindicesimo) della Campania:-)
La simpatia per l’uomo, parlo di Mario Struzziero, non conterebbe niente però se non facesse vini capolavoro, lui parla all’Aglianico alla maniera antica, senza studi di comunicazione ma solo di Enologia, con l’esperienza tattile e commerciale della più antica famiglia di vinificatori irpini dopo Di Marzo e Mastroberardino.
Alla festa della mamma, oggi, ho scelto questo mio vino del cuore e ben me ne incolse: profumato e leggero, il suo 2001 è un vino fantastico, Aglianico ritroso e austero ma ricco di anima, di espressione olfattiva rassicurante al bicchiere d’autunno e beva efficace, dai tannini morbidi.
Forse il miglior 2001 in assoluto insieme al Macchia dei Goti di Caggiano.
La sua forma è perfetta, assoluta.
Mario mi rispetta perché io rispetto lui con una differenza: il mio lavoro non potrebbe avere valore senza di lui mentre il suo c’è anche senza di me, di noi.
Lo adoro perché sul Taurasi hai voglia a fare marketing, ricerche, raccontare storielle: la sua cantina è come la tomba di Tamerlano, se non l’hai visitata non puoi dire di sapere il mondo.
E chi non è stato qui non sa un cazzo di Taurasi, ma proprio niente. Ve lo assicuro.
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Scheda del 31 maggio 2011 di Angelo Di Costanzo
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Bisogna augurare al Taurasi di non avere mai successo, per non avere fretta di rincorrere il mercato e rifuggire quel giusto tempo di maturazione di cui ha maledettamente bisogno. Il successo commerciale, com’è noto, porta all’estremo tentativo di ripeterlo pedissequamente, riproponendosi frettolosamente – a volte ciechi – dinanzi alle solite aspettative, non di fronte all’attimo fuggente. I tempi del resto sono quelli che sono. D’altro canto il consumatore meno appassionato si aspetta che anche certi vini, certe tipologie, sappiano offrire di se sempre qualcosa di familiare, una ripetitività che tra l’altro nessuno dice di inseguire ma che in fin dei conti piace a molti, troppi, quasi tutti; poi c’è chi pretende anche che si presentino delle novità, purché non troppo distanti dalla consuetudine, efficaci ma non necessariamente plasmate su sostanziali diversità. Basta la facciata, il primo naso magari; così l’enologo, esperto o furbetto, vedete voi, può inserire qualcosa di suo, di nuovo, discretamente diverso, capace magari di richiamare comunque la tradizione. In fin dei conti, non è il gioco della convenzione e dell’innovazione, della familiarità e della novità la ricetta perfetta per avere successo?
Struzziero, i suoi Taurasi, che conoscevo abbastanza pur non così in profondità, sembrano piombati in Irpinia da un altro pianeta, eppure ne rappresentano da sempre l’essenza; proprio loro sono stati infatti tra i primi, assieme a Di Marzo e Mastroberardino, ad “esportare il territorio” fuori dai confini locali, addirittura oltreoceano; Eppure rimangono così lontani – Giovanni, Mario, i loro vini stessi – da quanto appena paventato; distanti anni luce da tutta quella chirurgia estetica a cui molti sono ricorsi negli ultimi anni per stare dietro al mercato: un affanno incredibile; talvolta esortati, è bene rammentarlo, anche da chi, cosciente o meno, autodefinitosi “finissimo scouter” (evidentemente di primo pelo) pare capace di cogliere “nuovi profeti” ovunque, anche laddove altri ne avevano colto egregi vignaioli bravi il giusto per guadagnarsi la copertina in un’annata fortunata.
E come dimenticare l’assoluta incapacità di comunicarli certi valori; ricordo come fosse ieri le parole di un noto enologo di una nota cantina taurasina che in quel del Castello Marchionale, durante una delle ultime anteprime andate in scena, tirò fuori dal cilindro – mentre parlava ad un parterre di giornalisti, operatori ed appassionati alcuni dei quali provenienti da tutta Italia – una frase che più o meno recitava così: “abbiamo bisogno di una mano, il nostro aglianico soffre il mercato, non incontra il gusto moderno del vino, vorremmo capire come fare, abbiamo le cantine piene”. Poco più in là, giusto un paio di file indietro a me, mi parve di cogliere un sibilo fulmineo, netto: “ma che è pazzo questo?”. Insomma, un disastro!
Comunque, grande vino questo vino, immediatamente fatto mio! L’ho subito accolto come il migliore della batteria, sin dal primo assaggio passatomi dai bravi sommelier del gruppo Ais di Napoli a cui era affidato il compito di governare la storica sessione di degustazione andata in scena lo scorso 22 Maggio a Castel dell’Ovo durante l’ultimo Vitigno Italia. Migliore non perché emergesse per qualche particolare sopra gli altri, che a dire il vero tranne il ’77 – per la verità soltanto al naso – erano perfettamente integri e godibili; semplicemente, in maniera evidente, pare incarnare, a mio modesto parere, quel modello più vicino al riferimento “tradizionale” che in molti, tra gli appassionati, gli addetti ai lavori, promuovono del Taurasi. Il colore è di uno splendido aranciato maturo e vivace, abbastanza trasparente; il primo naso è subito invitante ed inebriante di aromi finissimi di frutta secca, corteccia, spezie e note balsamiche, sottili e dolcissime: carrubo, china, pepe bianco e liquerizia. In bocca neppure il tempo di una esitazione: secco, austero, intenso e persistente; tannino in grande spolvero ed equilibrio, non certo un campione di morbidezza, guai a pensarlo dinanzi a certe bottiglie, ma perfettamente bilanciato e pacato con un finale appena lievemente amarognolo. Davvero un gran bel bere, sull’immediato e, senza indugio alcuno, in prospettiva.
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Scheda del 26 dicembre 2009
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Continuiamo a seguire con piacere questo giovanotto. La semplicità di esecuzione sul tempo lungo esalta sicuramemte le caratteristiche del vitigno. L’Aglianico a ormai quasi dieci anni continua a presentarsi di un bel colore rosso rubino senza alcun cedimento, un naso fatto di ciliegia, spunti agrumati canditi, tabacco. In bocca l’attacco è senza mediazioni, ideale quando lo abbinate su un piatto grazie alla freschezza. Il tempo si sente soprattutto sui taninni che, pur presenti, sono appaiono morbidi e ben levigati. In bocca il vino ha un buon allungo, dimostra di superare le incertezze dell’ultimo assaggio, probabilmente dovute anche al caldo.
Sull’agnello al fonro, il mio buon vino di Natale.
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Scheda del 16 agosto 2009
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A un anno dal precedente assaggio, ormai otto dalla vendemmia, il Campoceraso tradisce una sorta di immobilità composta: come se, insomma, la scheda che leggete sotto fosse stata fatta appena ieri e non quattordici mesi fa. Stesse sensazioni olfattive, davvero molto varie e ricche, mentre registriamo in bocca un sensibile ripiegamento della freschezza: in un parola, siamo quasi spostati su un vino morbido. Difficile dire se dipenda dalla bottiglia, quanto piuttosto dalla evoluzione naturale, anche se dobbiamo comunque ricordare come il cammino dei vini di Mario trova più o meno il proprio compimento appunto intorno ai dieci anni, con l’appaiamento tra naso e bocca.
In questo caso, pero, il ritrarsi della freschezza evidenza un impatto materico di cui non avevano sofferto in precedenza. Insomma, per dirla tutta, siamo in presenza di un vino che, da solo, cammina con un certo sforzo. Sarà l’annata 2001, comunque piena e opulenta dal punto di vista della frutta e della struttura? Oppure una certa svolta concentrativa che proprio nel 2001 ha avuto il suo nadir con l’uscita del Fòscaro, un Irpinia igt molto materico e ipermuscoloso? Oppure, semplicemente, uno stadio evolutivo del vino beccato?
Difficile rispondere. Comunque sempre di un gran bel vino si tratta, e vi diamo appuntamento ai prossimi assaggi. Intanto, come rosso operaio da abbinamento su cibi strutturati e complessi, svolge il suo lavoro in manierà più che soddisfacente.
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Assaggio del 2 giugno 2008
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Una conferma, se pure ce ne fosse bisogno, del nostro caro Mario Struzziero: chi ama il Taurasi poco spinto, non iperconcentrato, insomma quello che comunemente si definisce di impostazione tradizionale, si può senz’altro sentire appagato da questa proposta che nell’annata 2001 si aggancia idealmente alla grande 1997 e alla 1993 per la sua capacità di regalare robuste sensazioni olfattive, ma soprattutto per la sua vivace freschezza identitaria. A distanza di quasi sette anni, il vino per certi versi si presenta ancora in fase di ricomposizione fra olfatto e palato, ove al naso ci sono dolci sensazioni speziate regalate con discrezione dalla botte grande, ritorna come al solito il tabacco biondo, ma anche chiodi di garofano, sicuramente preponderanti rispetto alla frutta ormai un po’ magra eppur presente con rimandi di confettura.
A bicchiere aperto, l’odore varia in continuazione riproponendo una visita nel tempo, nei primi Taurasi assaggiati, assolutamente smarcato dalle tendenze attuali che, alleggerendo l’uso del tostato, volgono alla frutta fruttosa fruttata. Particolarmente affascinante è la nota minerale, quasi zolfo o comunque quella che rilascia nell’aria il fiammifero appena usato, un rimando preciso al territorio e che per certi versi, assieme alla nota di tabacco, è sicuramente uno degli elementi per costruire un varietale di territorio, di identificazione, quasi come per il Greco. Ma è in bocca, ancora una volta, che l’Aglianico esprime il meglio di se perché la beva non fa sconti: è irruenta, per certi versi selvaggia nella sua indomita freschezza, assolutamente spiazzante rispetto alle note tranquillizzanti del naso, sovrasta immediatamente quel vago senso di dolcezza fruttata per conquistare, ben posizionandosi in modo autoritario, in tutto il palato dove sosta a lungo, i tannini sono levigati dal tempo ma ben presenti, l’alcol fa il paio con l’acidità regalando quella sensazione calda e familiare.
La struttura è comunque di grande espressione e forse meglio di ogni altra cosa disvela l’annata straordinaria, divenuta ormai un classico e non più superata al momento nonostante le buone prospettive della 2004 tutte però in itinere. La verifica, come al solito, è con il cibo, per il 2001 non solo ha retto un piatto di fusilli alla cilentana, ossia con il ragù di castrato, cacioricotta e peperoncino forte di Giovanna di Corbella, ma anche un pecorino crotonese stagionato del caseificio Cimino fattomi scoprire dal grande Roberto Ceraudo. Fra questi due sapori intensi, forti, è stata una battaglia senza esclusione di colpi ma il vino, proprio grazie alle sue qualità portanti, ha ben controbilanciato il formaggio e fatto il proprio lavoro con tignosa precisione, tipo quegli incontri di pugilato che vanno duri sino al quindicesimo round con vittoria incerta ai punti.
Riproponendo, nel giorno del mio compleanno immersi fra questi sapori ancestrali del mitico Cilento, l’ovvietà di sempre, di quanto infatti sia importante l’abbinamento per capire come camminerà il vino e che, soprattutto, come qualsiasi altra cosa, ogni bottiglia è destinata a giocare un ruolo diverso, quale da bere in assoluto, tale in degustazione, altre a tavola ed è questa poliedricità il suo fascino che lo rende un campo sempre appassionante perché ogni episodio ha un suo valore intrinseco e personale pur, ovviamente, nel contesto di alcuni parametri generali validi per tutti. Ma questo Taurasi, ad esempio, ha regalato la doppia emozione di un vissuto antico e del territorio, una premessa per le grandi cose che stanno accadendo in Irpinia e nel resto della Campania dove sono i giovani come Mario a tirare adesso la carretta in un momento sicuramente non facile per la contrazione dei consumi. Dalla loro, questi produttori, hanno un territorio unico e potente, ché pochi vini in Italia possono esprimersi con questa naturalezza i tempi così lunghi. Si berrà, questa 2001, per sempre, sino a che ci sarà.
Sede a Venticano, via Cadorna 214 Tel e fax 0825.965065 www.struzziero.it
Enologo: Mario Struzziero Ettari: 14 di proprietà Bottiglie prodotte: 350.000 Vitigni: aglianico, greco di Tufo, coda di volpe, fiano, falanghina.
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