di Gianmarco Nulli Gennari
Feudi di San Gregorio sbarca in Toscana, e più precisamente a Bolgheri. Gran salto in avanti per il marchio irpino, che si accinge a divenire, coi suoi oltre 400 ettari di vigne, tra i più importanti del Paese, considerando la sua presenza ormai consolidata anche in Puglia, Basilicata, Etna e Friuli (grazie al comandante in capo, l’enologo Pierpaolo Sirch).
Con un investimento totale di dieci milioni di euro, l’azienda che per prima decretò in tutta Italia il successo commerciale di Fiano e Greco ha rilevato la Tenuta Le Pavoniere dalla famiglia Guicciardini Strozzi, rinominandola Campo alle Comete: 15 ettari di impianti datati 1993/2007 a prevalenza merlot, con cabernet sauvignon e franc, syrah e petit verdot, per un potenziale di 150mila bottiglie. Per ora è stato presentato un vino, il Bolgheri Doc Stupore 2015, lavorato “in corsa”: vinificato dalla precedente proprietà ma assemblato e imbottigliato dai Feudi. Stupore, la cui prima “vera” annata del nuovo corso sarà la 2016, è il second vin aziendale, in attesa del portabandiera, il Bolgheri Superiore, che dovrebbe esordire nel 2018. A marzo del prossimo anno usciranno invece un vermentino e un rosato, e l’intenzione è anche quella di produrre un cabernet sauvignon in purezza.
Dopo tanti investimenti al sud, dunque, i Feudi virano verso nord, in un territorio d’eccellenza per il vino italiano, dove già da anni operano nomi importanti come Antinori, Frescobaldi e Gaja. Il terroir è quello di Castagneto Carducci, lo stesso che negli anni Ottanta e Novanta ha decretato il successo mondiale dei tagli bordolesi Sassicaia, Ornellaia e di tanti altri. Parliamo di una delle zone di maggior pregio dello Stivale, dove le quotazioni di mercato oscillano tra i 400mila e i 600mila euro per ettaro vitato. E l’albo della Doc è chiuso dal 2004.
“Siamo orgogliosi – ha detto il presidente di Feudi di San Gregorio, Antonio Capaldo – di approdare, prima azienda del sud, in un territorio così prestigioso. Abbiamo imparato molto dalle esperienze vissute finora fuori dall’Irpinia e ci appassiona l’idea di confrontarci con grandi vitigni internazionali”. Confronto che, almeno per quanto riguarda il merlot, l’azienda ha già vissuto con il controverso Patrimo, entrato in produzione quando il vitigno bordolese non era ancora previsto tra i “raccomandati” né tra i “consentiti” in terra campana.
Ma dal 2009, con l’arrivo di Antonio e dell’attuale amministratore delegato Pierpaolo Sirch, i Feudi hanno cambiato passo, a partire dall’acquisizione di Basilisco. E ora non vogliono fermarsi più. Come per le altre realtà della “costellazione” Feudi, anche Campo alle Comete avrà un team dedicato, con l’amministratore delegato Janet Servidio, profonda conoscitrice del territorio di Bolgheri, dove ha lavorato per gli Antinori e per l’Argentiera, e l’agronomo-enologo Stefano Di Blasi, pure lui con un curriculum tutto toscano.
L’intento, spiega Janet Servidio interpellata sullo stile dei vini, è “puntare più sull’eleganza e sulla bevibilità che sulla potenza: l’uso del legno va ripensato”. E non è un caso che si progetta di aumentare, nell’avveniristica cantina circolare all’interno della tenuta, il numero dei tonneaux a discapito delle barriques. E di puntare soprattutto sui “fratelli” cabernet, sauvignon e franc, e un po’ meno sul merlot oggi prevalente e sul petit verdot. “Il nostro obiettivo – dice Janet – è posizionarci tra le prime dieci aziende di Bolgheri”. Cercherà di raggiungerlo anche organizzando la tenuta come parco ludico (lo chiamano “giardino incantato” e sarà pronto entro la prossima primavera), aperta al pubblico. Anche le etichette, disegnate dall’illustratrice Nicoletta Ceccoli, si ispirano “al sogno e alla magia”.
Il vino presentato a Roma la scorsa settimana, il Bolgheri Doc Stupore 2015, è tirato in circa sessantamila pezzi (“in cantina abbiamo trovato una massa da 120mila bottiglie ma in fase di taglio abbiamo fatto una drastica selezione”, racconta Janet Servidio ) ed esce a 12,70 euro + IVA. Si presenta come il classico Bolgheri giovane, con profumi di macchia mediterranea che si alternano alla prugna, alla ciliegia e al cacao in polvere. Il sorso è segnato da tannini scalpitanti, è ancora da distendere ma sembra già dotato di una buona vocazione gastronomica. Il finale è segnato da un frutto scuro e maturo (in particolare rispunta la tipica prugna del merlot, vitigno prevalente dell’uvaggio) ha sapidità e una media persistenza. In questa fase l’abbinamento migliore è con un buon taglio di manzo alla brace.
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