di Antonio Di Spirito
Dall’1 al 7 dicembre 2021 si è svolta una lunga kermesse in Campania, organizzata da tutti i Consorzi di Tutela Vini, durante i quali sono state analizzate le nuove prospettive di mercato ed i futuri programmi, nonché i futuri assetti organizzativi.
Con oltre 250 produttori e più di 700 etichette a DOC e IGT, probabilmente il movimento del vino campano è fra i primi in Italia ad attivarsi ed a promuovere questi tipi di eventi e convegni, ma nelle altre Regioni non stanno con le mani in mano: qual è la ragione?
Già da qualche anno si inneggia, noi italiani, al sorpasso sulla Francia per la produzione di vino. Contestualmente si registra una diminuzione del consumo interno pro capite a 24 litri l’anno. E’ giocoforza tentare di incrementare le vendite verso i mercati esteri, specialmente i nuovi mercati di Russia e Cina, in crescita già da qualche anno. Le difficoltà maggiori incontrate dai nostri produttori sui mercati esteri sono legate sostanzialmente a due grossi fattori: la concorrenza dei paesi emergenti, che potrebbe essere neutralizzata dalla nostra tradizione millenaria, e la comunicazione dei vini, delle denominazioni, delle zone d’origine.
E’ impensabile che ogni produttore possa affrontare in proprio queste trasferte onerose; cooperazione e sinergia sono le parole magiche.
Inoltre, ci sono significative possibilità di carattere economico, messe a disposizione dall’Europa, per realizzare programmi promozionali; ma per accedere a quei fondi, bisogna avere consistenze numeriche che molte denominazioni non riescono a raggiungere.
Sabato 4 dicembre si è tenuto a Caserta, nel Real Belvedere di San Leucio, un wine forum dal titolo “Il valore delle denominazioni di origine nei processi di sviluppo territoriale della provincia di Caserta: nuove prospettive”, replicato, poi, nel pomeriggio a Salerno. Al forum è intervenuto, fra gli altri, il presidente della Federdoc Riccardo Ricci Curbastro.
Un grafico espresso a forma di piramide, ci rappresenta la distribuzione dei volumi delle denominazioni dell’intero comparto vitivinicolo italiano fino al 2009.
Vale la pena ricordare che:
I Vini da tavola sono prodotti senza alcun riferimento geografico; quindi, potrebbero essere stati fatti con uve di diverse varietà o vini provenienti da differenti zone geografiche. Spesso sono vini privi di specifiche caratteristiche qualitative (ma ciò non vuol dire che siano di bassa qualità o che non siano genuini); possono riportare in etichetta l’annata di produzione.
I Vini IGT (Indicazione Geografica Tipica) sono caratterizzati dalla indicazione della zona geografica di provenienza delle uve e dei vitigni con il quale vengono prodotti.
I Vini DOC sono i vini a Denominazione di Origine Controllata e sono prodotti in un’area territoriale delimitata con caratteristiche chimiche e organolettiche ben precise, fissate a priori nei disciplinari di produzione adottati dai relativi Consorzi di Tutela, e nei quali sono specificate anche: le tipologie di vino (Bianco, Rosso, Riserva o Vendemmia Tardiva), la resa di uva per ogni ettaro di vigneto, le varietà da utilizzare, la gradazione alcolometrica minima naturale, il tipo e la durata dell’eventuale invecchiamento ed altre cose ancora.
Inoltre, i Vini D O C sono controllati anche qualitativamente: prima di essere posti in commercio devono essere sottoposti ad analisi chimico-fisiche ed organolettiche al fine di accertare la loro rispondenza ai parametri imposti nel disciplinare di produzione.
La classificazione Vini D.O.C.G. (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) viene riservata ai vini di particolare pregio, con elevate caratteristiche qualitative intrinseche e che hanno acquisito rinomanza e valore commerciale a livello nazionale e internazionale. I vini sono sottoposti a regole di produzione più severe e hanno disciplinari di produzione molto più restrittivi rispetto a quelli per vini a D O C; prima di essere riconosciuti come D.O.C.G. questi vini devono aver avuto una militanza di almeno cinque anni tra vini D O C. Ogni singola bottiglia deve essere munita di una fascetta con un codice alfanumerico rilasciata dallo Stato.
Dal 1 agosto 2009, allorquando furono adottate le classificazioni dettate dalla Comunità Europea, con una visione rivolta ad aree più ampie, magari all’intera Nazione. La rappresentazione dei volumi delle denominazioni Italiane si raffigura come segue:
La classificazione è leggermente semplificata.
Alla base troviamo i Vini Generici, con possibilità di indicare l’annata e/o il vitigno. Sono vini senza alcuna indicazione riferita all’origine e possono essere prodotti con uve provenienti da varie zone e/o da vari Stati Membri. L’indicazione del vitigno in etichetta è limitato soltanto per alcune varietà: Cabernet, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Sauvignon e Syrah.
Con l’acronimo I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) si indica il nome di una regione o di un paese che serve a designare un vino di una determinata regione, che, per una determinata qualità, o reputazione o un’altra caratteristica, possa essere attribuita all’origine geografica in questione. Le uve da cui è ottenuto un vino a I.G.P. provengono per almeno l’85% esclusivamente da tale zona geografica. Non è permesso produrre un vino I.G.P da uve vendemmiate in una regione e vinificate in un’altra (ad eccezione del 15% delle uve che possono provenire da fuori zona).
Con la classificazione Vini D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) si indica il nome di una regione la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani: il famoso “terroir”. Le uve da cui è ottenuto un vino a D.O.P. sono per il 100% prodotte, trasformate ed elaborate nell’area medesima.
In Deroga a queste disposizioni, comunque, gli Stati Membri possono continuare a utilizzare le proprie menzioni tradizionali riferite alle Denominazioni di Origine e Indicazioni Geografiche.
Nonostante queste lievi semplificazioni apportate dalla Comunità Europea, il sistema delle denominazioni italiane rimane inalterato. Con i dati di Federdoc aggiornati al 12 marzo 2020, appuriamo che in Italia si contano 76 DOCG, 333 DOC e 118 IGT, per un totale di 527 Denominazioni: una media di 26,3 denominazioni per Regione. A questo proposito va ricordato che abbiamo regioni piccolissime, come la Val D’Aosta, con una sola denominazione, ed abbiamo anche alcune denominazioni dedicate a pochi ettari di vigneti ed un solo produttore.
La farraginosità del nostro sistema di classificazione dei vini ed il numero eccessivo delle denominazioni (da qui i volumi poco consistenti) rappresentano un forte impedimento all’accesso ai fondi Europei per finanziare programmi di promozione dei territori e di comunicazione dei relativi prodotti.
Non resta che accorpare le denominazioni limitrofe, che insistono sullo stesso territorio o su aree geografiche vicine e compatibili.
Un esempio virtuoso e con scopi assolutamente esemplificativi è quanto accaduto, già qualche anno fa nel Sannio, sotto l’attenta conduzione di un Direttore Operativo molto capace, che risponde al nome di Nicola Matarazzo: le DOC Taburno, Sant’Agata dei Goti, Solopaca e Guardia Sanframondi (Guardiolo) si sono unite in un’unica denominazione, la Sannio DOC, rimanendo come Sottozone della neonata DOC. Oltre la Sannio DOC, sono rimaste Aglianico del Taburno DOCG e Falanghina del Sannio DOC. La semplificazione è stata immediata ed i vantaggi sono stati tangibili anche in termini di vendite.
Qualcosa di simile era stato fatto già nel 2004, anche se con l’unico obiettivo di raggiungere una consistenza sufficiente a perseguire una buona efficienza operativa: quando fu costituito il “Consorzio di Tutela VitiCaserta“, nel quale sono confluiti il CONSORZIO TUTELA VINO “AVERSA ASPRINIO”, “GALLUCCIO“, “FALERNO DEL MASSICO” e delle I.G.P. Roccamonfina e I.G.P. Terre del Volturno, con il compito della tutela, la valorizzazione e la cura degli interessi generali relativi alle denominazioni suddette.
Oggi tutti i consorzi della Campania si avvalgono della consulenza professionale di Nicola Matarazzo e l’obiettivo comune è proprio quello di stabilire delle forti sinergie per poter accedere ai fondi europei e poter attuare programmi importanti atti a promuovere territori e prodotti, dei quali la regione è ricca.
Nella prima settimana di dicembre, appunto, ne abbiamo avuto un significativo assaggio. L’intero programma era suddiviso in sezioni provinciali; io ho partecipato all’evento gestito dal Consorzio Vitica che si è tenuto al Real Belvedere di San Leucio, sito nell’ampio contesto della Reggia di Caserta. In quei tre giorni abbiamo assaggiato i vini delle cinque denominazioni e, nella terza giornata, abbiamo effettuato delle visite presso alcune cantine.
Il punto sui vini del Consorzio Vitica.
In prima giornata abbiamo assaggiato i vini della denominazione di Aversa, Roccamonfina e Galluccio.
Nella DOC di Aversa sono due i tipi di vino prodotti da lunghissima tradizione e sempre con lo stesso vitigno, l’asprinio: un vino bianco fermo ed una versione spumantizzata, vista la spiccata acidità dell’uva. Oggi le famose alberate sono rimaste in poche: sono di difficile manutenzione ed un reimpianto impiegherebbe oltre 30 anni prima di raggiungere i risultati di quelle esistenti. I nuovi impianti sono stati allevati a spalliera.
In verità sono molto pochi gli spumanti presentati, ma abbastanza per formarsi il convincimento che la qualità media si è innalzata: non abbiamo solo un vinello molto acido in versione spumantizzata, ma spumanti con ottimi profumi e buona consistenza.
Olmo di TENUTAa FONTANA e Priezza 2019 di MASSERIA CAMPITO sono due ottimi esempi.
Per quanto riguarda i vini fermi, sempre da asprinio, brillano di luce propria: il Vite Maritata 2020 di I BORBONI e Asprinio di Aversa 2020 di CANTINE VITEMATTA; sono vini ben fatti, con una buona consistenza e persistenti.
Galluccio è la denominazione più piccola e con meno vini; abbiamo annotato una crescita significativa dei i vini di PORTO DI MOLA, soprattutto per il Pietratonda 2020. Per il resto, soprattutto per i vini rossi, c’è bisogno di una crescita decisa nelle pratiche di cantina.
La DOC di Roccamonfina ha tradizioni e pratiche enologiche più collaudate.
Pochi i vini bianchi presentati; ne segnalo uno: Falanghina 2020 di TORELLE.
Abbiamo assaggiato dei vini rosati di ottima fattura e numerosi vini rossi di notevole livello qualitativo ed organolettico:
Aglianico Rosato 2020 di TORELLE e Petali 2020 di REGINA VIARUM i due rosati da ricordare; mentre per i rossi la lista è più lunga; segnalo i primi cinque:
CANTINA ZANNINI DOMENICO – Ardens 2019
CONSIGLIO – Alexandros 2020
GALARDI – Terra di Lavoro 2011
FATTORIA PAGANO – Piedirosso 2019
VILLA MATILDE – Cecubo 2015
La seconda giornata è stata suddivisa in due sessioni; la prima è stata dedicata ad una denominazione millenaria: il Falerno del Massico.
Il Falerno Bianco è un vino di lunga tradizione in quella zona, che spesso si giova di tonalità minerali e salmastre che lo rendono inconfondibile; viene prodotto con uve falanghina e fra i migliori assaggi annoveriamo:
COLLEFASANI – Bacchanalia 2020
VILLA MATILDE – Falerno Bianco 2020
VITIS AURUNCA – Agnese 2020
LA MASSERIA DI SESSA – Crono 2019
CANTINA TRABUCCO – 16 Marzo 2020
FATTORIA PAGANO – Pectus 2020
Per i Falerno Rosso abbiamo due tradizioni: quella più giovane prevede l’utilizzo di uve primitivo; risulta un vino corposo ed avvolgente al palato, con sapori di confettura e spezie.
I migliori assaggi con primitivo sono risultati:
CANTINA ZANNINI DOMENICO – Campierti Primitivo 2017
VITIS AURUNCA – Mariella 2018
La versione di Falerno Rosso più “campana” prevede uve aglianico; sono vini di grande potenza, con un’ottima acidità e con una mineralità ferrosa-ematica tipica del territorio. I migliori assaggi con aglianico:
LA MASSERIA DI SESSA – Qaestio 2018
TENUTE BIANCHINO – Teseo 2018
COLLEFASANI – Prometeo 2017
BIANCHINI ROSSETTI – 1880 2016
CANTINA TRABUCCO – Rapicano Riserva 2016
VILLA MATILDE – Falerno Massico Rosso 2017
VITICOLTORI MIGLIOZZI – Rampaniuci 2015
FATTORIA PAGANO – Angelus 2012
La seconda sessione è stata dedicata ai vini di Terre del Volturno: pallagrello bianco, pallagrello nero e casavecchia.
Il pallagrello bianco è un vino che ormai, ha assunto caratteristiche comuni fra i vari produttori. Solo 10 anni fa era difficile trovare una somiglianza tale da riportare alcune etichette nel novero del vitigno; oggi, non solo troviamo una riconoscibilità del vitigno, ma si comincia a distinguere la zona di produzione, attraverso la variabile minerale del terreno. Spesso non hanno un’acidità spiccata, ma un corpo ed una bevibilità eccezionale.
I migliori assaggi di pallagrello bianco sono stati:
MASSERIA PICCCIRILLO – Pallagrello Bianco 2020
ALOIS – Morrone 2018
TERRE DELL’ANGELO – La Volta 2020
VESTINI CAMPAGNANO – Pallagrello Bianco 2020
AGRINOVA D&D – Pallagrello del ventaglio 2020
IL CASOLARE DIVINO – Selice 2020
Fra gli assaggi della giornata c’erano alcuni rosati deliziosi; il primo di pallagrello nero ed il secondo fatto con casavecchia:
IL CASOLARE DIVINO – Delice 2020
LA MASSERIE – Veritas 2020
Il pallagrello nero è un vino molto riconoscibile: al naso offre profumi di piccoli frutti neri, mentre al palato ha un ingresso drasticamente tannico, poi, magicamente diventa morbido, avvolgente e saporito. I migliori assaggi:
FATTORIA SELVANOVA – La Corda di Luino 2019
MASSERIA PICCCIRILLO – Pallagrello Nero 2019
TENUTA IEVOLI – Squillae 2018
IL VERRO – Pallagrello Nero 2019
Il casavecchia, anch’esso vino di lunga storia, ha sofferto molto nel passato per alcune sue caratteristiche di non facile gestione, soprattutto in cantina: presentava spesso note di riduzione e conservava una importante componente di rusticità. Oggi sembra un vino “normalizzato”, con caratteristiche apprezzabili e più raffinate. I migliori assaggi:
TERRE DELL’ANGELO – L’ Arca 2020
VIGNE CHIGI – Casavecchia 2019
I VIGNAI DEL CASAVECCHIA – Erta dei Ciliegi 2020
CALATIA – Casavecchia 2018
PODERI BOSCO – Cimmarino 2018
VESTINI CAMPAGNANO – Casavecchia Riserva 2017
Nella seconda giornata, fra le due sessioni di degustazioni al Real Belvedere, è stato inserito un evento molto sentito dal Consorzio e dai produttori presenti, al quale hanno partecipato tutti i giornalisti presenti e molti appassionati: la commemorazione di Maria Felicia Brini, titolare dell’azienda Masseria Felicia, prematuramente scomparsa qualche mese fa. Persona affabile, colta e poliedrica; entusiasta della tipicità dei prodotti del territorio. Lei stessa motore di questo Consorzio e dell’organizzazione di questo evento, era una persona molto amata da tutti quelli che la conoscevano; aveva una particolare propensione a stabilire rapporti cordiali e costruttivi con tutti. Molti dei presenti hanno voluto portare una personale testimonianza della loro stima e dell’incolmabile vuoto lasciato. E’ seguita la degustazione del suo vino per eccellenza: Etichetta Bronzo Falerno del Massico Rosso Riserva 2011.
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