di Antonio Di Spirito
Dal 5 al 7 settembre si è svolta a Pozzuoli l’ormai famoso evento “Campania Stories”, collaudata formula di presentazione delle nuove annate dei vini campani e tour nei territori, organizzata da Miriade&Partners; insieme alla formula ed alla loro collaudata macchina organizzativa, è cresciuta tanto anche la loro capacità di gestire al meglio i numerosi imprevisti che spesso accadono.
Quest’anno, poi, essendo il primo anno dopo la pandemia, in cui si è potuto organizzare senza grosse restrizioni, si è registrato un notevole afflusso della stampa estera, un aumento dei produttori partecipanti (oltre 90) e, di conseguenza, del numero di etichette a disposizione per gli assaggi: oltre 330 vini; impossibile testarli in due giorni!
Pomeriggio e sera erano dedicati alle visite in vigna ed in cantina; ed è proprio in queste occasioni che si capisce bene ciò che viene messo in bottiglia! Troviamo vigne abbarbicate su stretti terrazzamenti scoscesi, letteralmente “rubati” a colline a picco sul mare, che ci regalano vini salmastri, acidi ed intensi; oppure intere vallate sulle colline appenniniche ricoperte di vigneti, da cui si producono vini veraci e corposi, ma, talvolta, intensi e fini!
Per non parlare, poi, dell’accoglienza che, dovunque, la gente campana ci riserva. L’ho sempre pensato: con quell’ingegno e quella fantasia, i Campani riescono a superare qualsiasi problema; se amassero un po’ di più l’organizzazione e la sinergia, sarebbe un popolo insuperabile!
Per l’importanza dei vini e per i volumi annualmente prodotti, la Campania meriterebbe un’intera settimana dedicata all’Anteprima, al pari di Toscana e Piemonte; ma tant’è.
I Vini assaggiati.
Bianchi della costa e dell’entroterra
Innanzitutto i vini della costa amalfitana e caprese: salmastri, freschi, scorrevoli, intensi, dotati di buona personalità e, talvolta, corredati di spezie fini.
I vini prodotti con coda di volpe sono risultati notevoli da qualsiasi provenienza regionale, dove questo vitigno ha messo casa: Irpinia, Sannio e Casertano.
L’asprinio è un vino di nicchia, che ha una sua dignità; è sempre bello ritrovarlo e riprovare la sua proverbiale acidità, il essere esile ed austero.
In grande spolvero il pallagrello bianco: fiori ed erbe aromatiche al naso, ha buoni sapori, ampio e spesso, scorrevole e con buona acidità.
Le Falanghine Campane
La falanghina, al pari dell’aglianico, è un vitigno utilizzato pressoché ovunque in Campania; solo in provincia di Caserta viene utilizzato pochissimo e solo sulla costa nord della regione: nel Falerno e nel Massico. La versione più importante è senz’altro quella prodotta nel Sannio: fragrante al naso con intensi profumi floreali e di frutta esotica, la sua intensa acidità agrumata contrasta i sapori fruttati, un po’ grassi ed abbastanza speziati. Ben diverse sono le versioni vesuviane e flegree; intanto sono geneticamente molto diverse, ma la differenza più appariscente sono le note vulcaniche e sulfuree che assume in quei territori. Sulla costa si confonde con tantissimi vitigni locali, spesso cloni della stessa falanghina. In Irpini è un po’ in sofferenza: soffre lo strapotere di due colossi e, talvolta, anche della coda di volpe; ha, comunque, una sua dignità.
Il Fiano di Avellino
Il Fiano di Avellino è il vino bianco che può competere con qualsiasi altro vino bianco del mondo: ha corpo, finezza, sapidità ed acidità da vendere.
I profumi vanno dal floreale di passiflora e tiglio, alle erbe aromatiche tipo la salvia, agli agrumi, alla mandorla e, spesso, con una nota fumé; al palato ha gusto pieno con frutta gialla e tropicale, ha un’acidità elevata, una nota di mandorla tostata ed una notevole speziatura. A parte alcune differenze stilistiche legate al singolo produttore, ho trovato la quasi totalità dei fiano assaggiati aderenti a questi canoni e di qualità medio-alta. Molti tra quelli assaggiati, pur non riportando la dicitura “Riserva”, lo sono di fatto e piacciono di più, sono più equilibrati ed armonici, spesso offrono note di finezza ed eleganza. Sempre, comunque, offrendo intensità in ogni aspetto.
Il Greco di Tufo (e qualche altro)
Gioco tutte le sue carte su un corpo poderoso e su un’altissima acidità, aggiungendo a queste non trascurabili caratteristiche, la nota solforosa del terreno da cui proviene. Quasi sempre è corredato da profumi di salvia, frutta gialla e, talvolta da profumi di pietra rocca. Fra i sapori si annovera la frutta gialla, la mandorla, agrumi, nocciole e spezie. Sempre si ha una notevole sensazione tannica e la presenza dell’acidità è commisurata all’età del vino: la differenza si apprezza allorquando ho avuto a disposizione in assaggio le due annate in degustazione, 2021 e 2020, e la seconda mostra una leggera morbidezza in più.
E’ stato sorprendente ritrovare sullo stesso livello qualitativo alcuni greco provenienti dal Sannio.
Il Piedirosso
Il piedirosso è un vitigno tanto difficile in vigna, quanto scontroso ed indomabile da giovane vino. Nei primi due anni sembra scomposto, acerbo e difettoso; poi si “aggiusta” e diventa un vino delizioso. Dai vigneti del Vesuvio aggiunge ali delicati sapori di piccola frutta rossa e nera, la caratteristica nota dei lapilli vulcanici.
Nei vigneti dei Campi Flegrei assume sì le note della solfatara, ma le note salmastre sono molto importanti.
Un po’ più composto, invece, il piedirosso del Sannio, con i tipici profumi di geranio e frutta rossa la naso e sapori nocciolati e speziati.
Buonissimi i piedirosso provenienti da Roccamonfina: freschi, giovani ed armonici.
L’aglianico ed altri Rossi Campani
Il vitigno principe dei vini rossi nell’intera regione campana è l’aglianico, spesso completato in vinificazione dal piedirosso.
Dalla provincia di Salerno abbiamo assaggiato versioni corpose eversioni più alleggerite e scorrevoli (tradizionali e moderne); per arrivare sulla costa amalfitana dove, in blend con il piedirosso, troviamo una versione più armonica e scorrevole. Una delle poche deroghe a questo vitigno è rappresentata dall’aglianicone: ancora in cerca di un’identità diffusa.
Alle pendici del Vesuvio il Lacryma Christi segue la sua tradizione con vini corposi e minerali; come pure Roccamonfina e Falerno del Massico offrono i loro tipici e tradizionali vini di gran corpo e mineralità; le annate presentate sono perfettamente in linea con gli anni precedenti.
Per quanto riguarda il Sannio, l’aglianico viene prodotto soprattutto nella DOCG Taburno, dove troviamo vini di estremo interesse, sia in versione di annata che riserva, abbastanza scorrevoli e con punte di eleganza; permangono, però, vini corposi, un po’ stanchi e con qualche difetto.
In provincia di Caserta troviamo due vini da monovitigni autoctoni: il casavecchia ed il pallagrello nero; il primo soffre ancora di problemi in fase di vinificazione, spesso rimane un po’ selvatico e scorbutico; e quest’anno, fatta qualche eccezione, è proprio questa la fotografia dei vini assaggiati.
Il pallagrello, invece, si fa preferire: è un vino più gioviale, un po’ tannico inizialmente, ma poi fruttato e piacevole, scorrevole e speziato. E per questa annata registriamo una buona uniformità ed aderenza alla tipicità del vitigno, più che negli anni passati.
L’aglianico Irpino
In Irpinia il vitigno rosso utilizzato è quasi esclusivamente l’aglianico; vitigno che matura in tarda stagione: si vendemmia i primi di novembre; di conseguenza ci regala vini di gran corpo e di elevata acidità, oltre a tannini imponenti, da domare lentamente.
Oltre ad una versione generica (Irpinia Aglianico DOC), c’è la versione Irpinia Campi Taurasini DOC e Taurasi DOCG con la sua versione Riserva. Queste due denominazioni insistono quasi interamente sulle stesse vigne; le differenze sono sulle modalità di vinificazione e sui tempi di messa in commercio. Molto più giovanile e fragrante la prima versione; più austera e tradizionale la linea del Taurasi. Abbiamo perso, speriamo per sempre, quei Taurasi affetti da sentori di legno vecchio, corpulenti, con note cioccolatose e di caffè. Abbiamo, comunque, vini potenti, tannici e di gran corpo; difficile trovare vini eleganti e scorrevoli. Una cosa è certa: più a lungo affinano e più piacevoli diventano. Perillo docet con la sua annata 2011!
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