di Raffaele Mosca
Come vanno le cose in Irpinia? Qual’è stato attuale delle tre DOCG della terra dei Lupi?
Sono le due domande a cui abbiamo cercato di dare una risposta nel corso della prima edizione avellinese di Campania Stories da molti anni a questa parte. L’ occasione si è rivelata ghiotta per andare oltre l’utile – ma limitato – giudizio dell’annata e farsi un’idea più approfondita di tutto quel accade in questo territorio cardine del vino campano.
La sensazione è che i viticoltori irpini stiano affrontando un momento convulso con la “cazzimma” di chi è abitato alle strade in salita: crisi dei prezzi delle uve, alti e bassi economici, bizzarrie climatiche e contrasti in sede consortile sono tutti ostacoli sormontabili per chi è ripartito dalle macerie (nel senso stretto della parola!).
Di certo negli ultimi anni gli imprevisti non sono mancati: dopo un lungo periodo di crescita costante della schiera dei vigneron, che ha in qualche modo esacerbato la frammentarietà della produzione di un areale che sforna più o meno 10 milioni di bottiglie all’anno spalmate su 210 aziende, i produttori si sono ritrovati davanti allo scoglio enorme della pandemia, che ha creato parecchio scompiglio sul fronte commerciale, ridimensionando inevitabilmente le ambizioni di chiunque non abbia capitali ingenti sui quali far fede per stare a galla (ovvero il 99% dei titolari d’azienda in zona).
La batosta è stata pesante e solo ora si comincia a venire fuori dalla fase critica. La produzione è ancora più segnata dall’emergenza che in altri territori: ci sono casi di vini usciti in ritardo – il che non è per forza un male per il consumatore, ma può esserlo per le casse dell’azienda se il posticipo non è voluto – o, al contrario, messi troppo presto in commercio per venire incontro ad esigenze di mercato, così come di prodotti che stilisticamente hanno preso una deriva inaspettata e che, forse, convincono un po’ meno del passato. Peraltro molti vignaioli hanno confessato con grandissima onestà intellettuale di aver perso distributori o importatori e di aver dovuto ridisegnare la propria strategia commerciale di lungo termine, spesso vedendosi costretti a limitare la produzione – e vendere una parte delle uve – per evitare di abbassare i prezzi dei vini. Voci di corridoio parlano anche di passaggi di proprietà di alcune aziende storiche e d’ingresso imminente in zona di nuovi players nazionali, ma non ci sono ancora conferme ufficiali.
In tutto questo, le bizzarrie climatiche hanno creato ulteriore instabilità: le piogge degli ultimi mesi non hanno precedenti e, ad essere onesti, la 2022 non è stata tanto più facile di quest’inizio di ‘23. La verde Irpinia è rimasta verde nella stagione più torrida a memoria d’uomo: non ha risentito più di tanto della siccità, grazie anche a precipitazioni consistenti nei mesi di agosto e settembre. Semmai a dare grattacapi è stato l’andamento climatico scostante: un susseguirsi di periodi molto caldi ed altri più freschi e piovosi fino ad ottobre inoltrato ha causato una maturazione disomogenea.
Il Fiano è solitamente molto resiliente e, infatti, sembra esserne venuto fuori abbastanza bene, dando vini estroversi, allettanti da subito, più precoci dei 2021 – che sono sembrati ancora più buoni a distanza da un anno – ma comunque godibili ed equilibrati.
ll Greco, invece, ha patito parecchio le irregolarità: molti vini si portano dietro tracce vegetali e scodate amarognole che fanno pensare ad una maturazione non perfetta. Chiaramente non mancano espressioni degne di nota, ma la qualità non è trasversale.
Sui rossi bisogna fare un ragionamento a parte: la decisione di uscire tardi – spesso tardissimo – con il Taurasi rende ancora difficili da comprendere le evoluzioni stilistiche degli ultimi anni. La disomogeneità qualitativa continua ad essere un problema che tarpa le ali dello storico rosso irpino: vini già stanchi all’esordio o carichi di legno sono ancora all’ordine del giorno. Paradossalmente la categoria che dispensa più sorprese è quella dell’ Irpinia Campi Taurasini: un’espressione di Aglianico tendenzialmente più fresca, più sul frutto e con un prezzo relativamente competitivo. Sarà che, uscendo prima, racconta una svolta enologica iniziata solo negli ultimi tre-quattro anni?
Tirando le somme, la risposta alle domande iniziali è che il vino irpino gode di buona salute: nonostante le difficoltà che ancora si riscontrano sul fronte dei rossi, la qualità media è piuttosto elevante (e crescerà ancora man mano che si verrà fuori dalla burrasca). Sul piano commerciale e comunicativo, però, si dovrebbe fare molto di più: innanzitutto mettendo da parte attriti e divergenze per dare una voce più corale al territorio. Riprendendo il titolo di un celebre romanzo, “nessuno si salva da solo”.
I migliori Fiano di Avellino e Greco di Tufo di Campania Stories 2023:
Villa Raiano – Greco di Tufo 2022
Un’etichetta relativamente diffusa su larga scala che si presenta in ottima forma: la traccia verde dell’annata è una presenza discreta che rinfresca un quadro allettante incentrato su fiori gialli, camomilla, mela golden e buccia d’agrume. E’ dritto e sferzante – “fianeggiante” se vogliamo – ma con buona polpa di fondo e finale calibrato da un discreto contrafforte glicerico.
Vadiaperti – Fiano di Avellino Aipierti 2021
Raffaele Troisi è stato uno dei pionieri del bianco irpino: tra i pochissimi già attivi nei tardi anni 80’. Il suo ‘21 sfoggia un colore tendente al dorato che anticipa un naso molto espressivo: pietra focaia e iodio, curcuma e pepe bianco, una macedonia di frutta estiva sullo sfondo. E’ agile e verticale, con ritorni salini ad arricchire, erbe spontanee nel finale dinamico e salivante.
Amarano – Fiano di Avellino Dulcinea 2022
Un’ espressione tipica da vigne ad alta quota in zona Candida: esprime già un frutto molto esuberante e succoso, abbinato al solito ricordo di nocciola e a un che di mentolato. La freschezza trascinante è supportata alla giusta polpa fruttata, che riecheggia anche sul fondo della chiusura iodata e briosa di erbe aromatiche. Giovanissimo, ma sfizioso.
Benito Ferrara – Greco di Tufo Vigna Cicogna 2022
Un grande classico che sembra non aver risentito molto dell’annata: parte in quinta con toni esuberanti di albicocca e fiore d’arancio, maggiorana ed erba limoncella. La freschezza vegetale tipica di molti ‘22 fa capolino sul fondo di uno sviluppo all’insegna della ricchezza fruttata. Mela golden e susina s’intrecciano con agrumi ed erbe spontanee nel finale preciso.
Stefania Barbot – Fiano di Avellino Xoros 2022
Melone estivo, limone candito, qualche accenno balsamico e il solito fondo di pietra focaia. Più che il naso, conquista il gusto: ha finezza, slancio e giusto corrispettivo glicerico, finale lungo in cui l’impeto minerale viene fuori è dà tridimensionalità.
Tenuta Scuotto – Fiano di Avellino Oi Ni 2020
Usare il legno sul Fiano non è facile: Adolfo Scuotto ci riesce bene e ci propone una declinazione molto singolare, affinata in botti alsaziane, con incipit di nespola, susina e latte di mandorle; dolce ma anche iodata e sottilmente fumè. La polpa in bocca è allettante, accomodante, ma subito dinamizzata dalla solita freschezza citrina. Il finale segue la stessa traccia: in perfetto equilibrio tra cremosità e ritorni agrumati.
Tenuta Cavalier Pepe – Greco di Tufo Grancare Riserva 2021
Sempre un bel bere questo Cru di Milena Pepe con la sua commistione di spezie dolci – a segnalare l’affinamento in legno – camomilla, erbe balsamiche che prendono la scena nell’arco di qualche minuto. La grande pienezza di frutto è subito calibrata da acidità squillante (siamo a 600-700 metri sul mare in zona Montefusco) e rintocchi piccanti di erbe disidratate. La speziatura del rovere è una presenza molto discreta che allunga la persistenza.
Laura De Vito – Fiano di Avellino Elle 2020
Da zero a quasi cento in poche vendemmie: Laura di Vito, la “rising star” di Lapio, ricava questo Fiano neoclassico da vigne che hanno già prodotto in passato referenze molto quotate. Il profumo è ancora austero: zenzero, pasta d’acciughe, mandorla tostata e alga nori, l’agrume in secondo piano. Tre anni dovrebbero essere sufficienti a smussarne gli spigoli e, invece, appare ancora molto indietro: salato, citrino, floreale sul fondo, con la tenacia e la finezza tipiche del Fiano di Lapio.
Cantine di Marzo – Greco di Tufo Vigna Serrone 2021
Il Greco nella declinazione single-vineyard di una delle aziende più antiche dell’ Irpinia. Il profumo è quintessenziale: nocciola, zenzero, lemongrass, mela renetta e buccia d’agrume. E’ sferzante, con leggera percezione tattile e polpa camuffata dallo sprint acido-sapido salivante, finale lungo tra iodio e frutta secca.
Di Prisco – Irpinia Fiano Vigna Rotole 2020
Tra i più riconoscibili e caratterizzanti: sfodera sensazioni garbatamente ossidative – idromele e miele d’acacia su tutto – che fanno il paio con pesca gialla, mentolo e rimandi iodati. E’ cremoso, solare, già ben assestato, con soffi fumè che danno spessore aromatico e nerbo acido classico a smorzare.
I Favati – Fiano di Avellino Pietramara Etichetta Bianca Riserva 2019
Non si contano più i premi agguantati da questa late release di Fiano: una Riserva prima del tempo, da vigne a 450 metri di altitudine nel comune di Atripalda. Il profumo è già ampio e variegato: spazia dalle erbe spontanee – camomilla e timo in particolare – a nespola, anice, zafferano e un soffio d’idrocarburo. E’ un falso magro: nasconde la struttura imponente sotto lo slancio fenomenale. Non che non sia godibile oggi, ma una 2013 in perfetta forma assaggiata a cena dimostra che a tenerlo in cantina per un po’ non si fa peccato.
Colli di Lapio – Fiano di Avellino 2022
Il Fiano del comune di Lapio nella declinazione dell’azienda che lo ha reso famoso: l’archetipo del vitigno con il suo mix di gelsomino, pera abate, melone estivo: semplice sulle prime e via via più complesso, con soffi affumicati, balsamici e di nocciola che prendono progressivamente la scena. E’ una lama in un guanto di velluto: offre un binomio di tempra “nordica” e frutto solare che lo rende tonico ma mai spinoso. Chiude lungo e tonico d’agrume: se fosse Borgogna, sarebbe uno Chablis Grand Cru!
Tenuta Sarno 1860 – Fiano di Avellino Erre Riserva 2020
Mauro Sarno ha cominciato a pensare la Riserva molto prima che la categoria fosse approvata: “Erre”, infatti, ha già qualche anno di rodaggio, ma quest’annata è nettamente superiore alle precedenti. Soffi affumicati e di salamoia abbracciano mela renetta, limone candito, melone estivo, biancospino, anice e nocciola. La stessa sequenza riecheggia sul fondo della bocca completa: snella, verticale, ma anche glicerica e voluminosa. L’ equilibrio è fenomenale, la profondità pure. Consiglio di comprarlo ora e tenerlo da parte per almeno cinque/sette anni.
Cantina dell’ Angelo – Greco di Tufo Miniere 2021
I vini di Angelo Muto sarebbero distinguibili tra milioni: per niente accomodanti, sulfurei e terrosi, profondi e chiaroscurati, quasi ad evocare l’ambiente delle “Miniere”. Non c’è nulla del scontato nel sorso: la grande polpa di frutto maturo è sopraffatta dalla ricca trama salina e incorniciata da ritorni fumosi che rasentano l’idrocarburo. Duro, puro, non cambierà di una virgola per almeno cinque anni.
Pietracupa – Campania Fiano Igp 2021
Un vino splendido dalla mano abile di Sabino Loffredo, artigiano-outsider che non ne sbaglia una. L’ archetipo di Montefredane, altro village di primissimo ordine che dà vini un po’ più esuberanti e “rock” rispetto a Lapio. Offre un pelino di dolcezza e ricchezza in più – pesca gialla e susina, acacia – ma anche una parte minerale, iodata e terrosa che lo rende profondo e chiaroscurato E’ agile e scattante: magnifico per progressione minerale sferzante abbracciata da polpa ricca e suadente. . Fin troppo giovane adesso, ma il potenziale è smisurato.
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