Sono tanti ormai gli scrittori, i mezziscrittori, i sedicentiscrittori che si sono tuffati sul cibo negli ultimi anni, Camillo Langone ne scrive da tempi non sospetti e con tanta competenza. Perciò è sempre bello leggerlo: come nella pagina pubblicata oggi sul Giornale. Il suo Incontentabile ospita un posto del cuore: l’Oasis di Vallesaccarda. Un racconto del cibo e dell’anima.
di Camillo Langone
In fuga dall’insignificanza della ristorazione della costa, volto le spalle al mare e mi dirigo verso la montagna. Voglio mettere molti chilometri fra me e i ristoranti medi e mediocri della costa nord-barese, giudicati eccellenti da Tripadvisor e terrificanti dall’Incontentabile, tutti turistici anche quando dei turisti, d’inverno, non si vede nemmeno l’ombra, e quindi con carte piene di paccheri e di gamberi oppure, per variare, di gamberi e di paccheri, serviti su piatti quadrati da obitorio, freddi come la morte.
Su cui bere ovviamente chardonnay, dei vini bianchi il più sradicato e sradicante (per citare forse un po’ abusivamente Simone Weil). Ma non è una colpa esclusiva del nord-barese, da Ventimiglia a Muggia risuona ovunque la stessa solfa tuttopesce fintotipico (difficile che manchi il salmone, pesce di mare, certo, ma non del nostro), un’alluvione di antipastini e non un piatto che faccia capire se ci si trovi al Nord o al Sud, sull’Adriatico o sul Tirreno, in locali senza tradizione né innovazione, solo omologazione.
Salgo in Appenino percorrendo un’autostrada meravigliosamente deserta che serpeggia fra colline trafitte da gigantesche pale eoliche quasi tutte ferme: più che un’offesa al paesaggio, come dice Vittorio Sgarbi, mi appaiono un’offesa al contribuente, come dice Franco Battaglia. Esco a Vallata e per raggiungere la meta prendo una strada provinciale letteralmente a pezzi che sta lì a dimostrare l’inutilità delle province e l’urgenza della loro abolizione. Vallesaccarda più che un paese è una borgata, priva di qualsivoglia interesse architettonico ma in compenso di grande interesse gastronomico grazie a Oasis che, aprite bene le orecchie, è il Pescatore del Sud, così come la famiglia Fischetti è il corrispettivo meridionale della lombarda famiglia Santini.
Ma allora perché il ristorantissimo di Canneto sull’Oglio ha tre stelle mentre questo di Vallesaccarda solo una? Per quale motivo il Pescatore lo conoscono tutti dappertutto, anche chi non ci metterà mai piede, mentre Oasis risulta ignoto perfino ai pugliesi e ai campani che non siano gourmet accaniti? La geografia, chiaro. L’indirizzo fuori mano in Val Padana è una cosa, sull’Appennino meridionale ben altra. Diceva Montale, citando Missiroli, che non si può essere un grande poeta bulgaro: analogamente, siccome più del testo può il contesto, non si può essere un tristellato irpino. Allora suscita tenerezza l’ottimismo di Puccio Fischetti che considera strategica la posizione di Vallesaccarda perché, dice servendo in tavola, si trova «a metà strada fra Avellino e Foggia». Un atteggiamento positivo comunque sostenuto da solide fondamenta: proprio come il Pescatore, Oasis è un’impresa di famiglia anzi familista, anche qui diverse generazioni si sono susseguite, anche qui il ristorante elegante è l’approdo di una storia che comincia in una rustica trattoria, anche qui non ci sono primedonne ma tante persone che portano lo stesso cognome e si impegnano per un obiettivo comune.
Mi basta aprire la carta per capire che in cucina non ci sono mercenari che vanno e che vengono. Ogni piatto è figlio di questa Alta Irpinia «ai limiti del Cielo», come scrisse Domenico Rea. Perfino lo spumante di benvenuto è autoctono, pensare che quando l’ho sentito definire «bollicine» ho temuto il Franciacorta o, peggio, il Francialunga ovvero lo champagne. Invece è un Greco brut di Montesole, il vino giusto al posto giusto. Quando si tratta di ordinare scelgo l’Aglianico dell’Irpina Taurì dell’azienda Caggiano, scelta azzeccata, ma credo che avrei potuto chiudere gli occhi e mettere il dito su una bottiglia a caso, sarebbe andata bene comunque, nulla di sbagliato può esistere quassù. L’olio è addirittura una produzione propria, Oasis Vallesaccarda, e dimostra che pure l’ulivo, così come la vite, si esalta nelle difficoltà (siamo a 650 metri sul livello del mare, ai limiti altimetrici della specie).
Ho divagato talmente tanto che non c’è quasi più posto per l’elenco dei piatti, ora cerco di rimediare: 1) crema di zucca napoletana con stracciatella e alici di Menaica (buon inizio); 2) melanzane violetta, caciocavallo e basilico (miglior proseguimento); 3) uovo di gallina ruspante all’occhio di bue, patate, limone e bottarga di tonno (gustoso ma per l’Incontentabile è una fastidiosa deroga al localismo: nei fiumi dell’Irpinia di tonni se ne pescano pochi); 4) zuppa di cipolle di Montoro (rincuorante); 5) triilli (pasta casalinga simile al cavatello) con zucchine e zafferano di Lacedonia (meritevole di bis); 6) ravioli di burrata ed erbette, manteca campana e tartufo nero di Bagnoli Irpino (lussuriosi); 7) gelato alle nocciole mortarella avellinesi (coerente); 8) ricotta mantecata al caffè con pistacchi tostati (sublime, come una madeleine proustiana però più buona di una madeleine proustiana).
Difetti? I due alberelli di Natale piazzati davanti all’ingresso, due alberini bianchi e pagani degni di un bar di periferia, mentre all’interno il presepe non c’è, oppure, se c’è, l’hanno nascosto molto bene, e il cliente cristiano si rattrista.