Certo che i francesi sono bravissimi a vendersi bene.
Pensiamo solo a termini evocativi quali Domaine o Chateau piazzati prima del nome di una famiglia o di un ulteriore termine fantasioso. Voilà. Ecco che la fascinosa nomenclatura già ci invita e ci attrae all’acquisto di una bella bottiglia etichettata sobriamente e che già profuma di profonda storia solo a guardarla.
La prima volta che mi sono trovato in Medoc , incantato davanti alla bellezza ostentata di Chateau Margaux, ho pensato che tutti gli altri proprietari che usavano da secoli il termine Chateau dovessero possedere qualche cosa di analogo, e infatti il Bordolese è uno spettacolo architettonico unico e che va spesso ben oltre la qualità dei vini.
In altre zone della Francia, il termine Chateau viene invece usato con disinvoltura anche se le proprietà a volte possono sembrare più a dei pollai che a dei castelli.
La sensazione che si ha arrivando nei pressi di Chateau Rayas è proprio questa. L’impressione è di aver sbagliato strada, subentra l’ansia pensando di aver copiato male indirizzo e anche il numero di telefono, perché non ti risponde nessuno anche se cerchi un aiutino, finchè un vecchio cartello arruginito piazzato ai margini di una stradina sterrata invita a proseguire in direzione dell’umile edificio rurale che fa di nome Chateau Raya .
Ma veramente il vino più mitico e originale dell’appellation Chateauneuf du Pape si fa li dentro dal 1880 ?
Dunque è quello l’improbabile garage dell’Aston Martin dei vini di Chateauneuf ormai da quattro generazioni e da 130 anni?
La risposta è si! E la faticosa presa di coscienza inizia già da subito, scendendo dall’auto e mettendo timidamente i piedi a terra, meglio dopo la caduta di qualche scroscio di pioggia che profuma l’aria. La scarpe si sporcheranno subito nel terreno sabbioso-argilloso, il terreno preferito da la Grenache.
Lo stupore e l’imbarazzo prosegue entrando in casa, dove il disordine e la trasandatezza non possono non lasciare con gli occhi sbarrati e increduli.
E anche l’atteggiamento schivo e scazzato di Emmanuel Reynaud non farà nulla per migliorare il contesto.
Un giro in cantina conferma che l’igiene scrupolosa non fa rima forzatamente con grandi vini, così come il contrario. Mai mi era capitato per esempio di vedere una serie di botti sicuramente più vecchie dell’età delle vigne di cui raccoglieranno il frutto.
Muniti di bicchiere, da ripulire facoltativamente dalla polvere con il proprio fazzoletto da tasca, ci avviamo però ad assaggiare direttamente dalle botti tre tra le più grandi espressioni che può fornire la Grenache sul suo terreno preferito. Una delle tre presa singolarmente, l’apice assoluto in materia.
Però qui , pur rispettando il monovitigno (caso praticamente unico a Chateauneuf du Pape) in una regione dove possono essere anche una dozzina i vitigni utilizzati, non si fa divisione per cru e quindi le tre esposizioni concorreranno in egual misura a creare il mitico blend che prenderà il nome di Chateau Rayas. L’apporto diverso di sensazioni composite quali la freschezza balsamica, la mineralità, il frutto maturo, la speziatura e la moderata acidità comporranno un puzzle quasi sempre impeccabile.
Degustare Rayas giovane o non giovane sarà comunque un piacere diversissimo rispetto a quasi tutte le blasonate produzioni che affollano la zona. Il colore rarefatto, la finezza e la gourmandise dei profumi anticipa la delicata ma autoritaria presenza in bocca, che rimarrà a lungo sul palato e nella memoria, ma leggero come una farfalla. I vini buoni subito difficilmente diventeranno cattivi con il passare degli anni. Il contrario è più improbabile.
Inoltre siamo lontanissimi dal concetto di Chateauneuf du Pape inteso come vino grande e grosso e capace di stendere un cavallo , potente e alcolico da far bruciare gli occhi. Qui si finisce la bottiglia senza accorgersi di averlo fatto, con la massima piacevolezza e serenità, e senza per forza doverlo abbinare ad una sontuosa lepre a la royale.
Oltre alla dozzina di ettari di Grenache, Reynaud possiede anche meno di un ettaro sia di Clairette che di Grenache blanche con le quali produce un esiguo numero di bottiglie di Chateauneuf blanc non sempre all’altezza della fama del rosso. L’ultima stappata, lo scorso inverno al Bulli, del millesimo 2000, fin troppo opulenta e appiattita su toni di frutta bianca confit.
Le annate importanti da bere ora , in rosso, reperibili al mercato nero tra i 150 e i 250 euro, dovrebbero essere la 1998 – 1999 – 2000 – 2004 , ma curiosamente chez Rayas si è riusciti a fare un vino piacevole anche in mezzo all’alluvionato 2002, anche se probabilmente non longevo.
Però i guru del Rodano sono rimasti più affezionati alle produzioni pre-1996 , curate dal vecchio Jacques piuttosto che a quelle parzialmente “rinnovate” in vigna e in cantina dal nipote Emmanuel .
Certo che a guardarsi intorno e pensare che qui qualche cosa è stato rinnovato ci vuole una grande immaginazione…
Mah! Rimarrò con il dubbio su come doveva essere Chateau Rayas all’inizio degli anni ’90 , anche se la cosa migliore da fare adesso sarebbe stappare una mitica 1990 e omaggiare con il pensiero il vecchio Jacques .
Gdf
Ulteriori informazioni su:
www.chateaurayas.fr
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