di Nicola Fiorita*
“Trent’anni fa venivano i toscani a raccoglierlo e portarlo su, vent’anni fa venivano soprattutto i molisani e poi gli irpini, solo negli ultimi dieci anni noi calabresi abbiamo cominciato a cercare il tartufo, ma ancora oggi la maggior parte di quello che raccolgo lo vendo fuori dalla Calabria: in Umbria, nella Marche, finanche in Piemonte”.
Con queste parole Franco Tomaino, giovane e capacissimo trifolaio del Reventino, ha sintetizzato la storia poco nota e poca gloriosa del tartufo calabrese durante un workshop organizzato da Slow Food Calabria e dalla Rosa nel Bicchiere, il prestigioso ristorante ubicato a Soveria Mannelli.
In una domenica piena di sole e di neve, in un pezzettino di Langhe trapiantato nella pre-Sila catanzarese, accanto a Franco Tomaino c’erano decine di appassionati del tartufo e tutti coloro che vogliono invertire il senso di questa storia: Gianfranco Manfredi, giornalista e critico gastronomico che dalla sua postazione privilegiata è stato il primo ad aprire una finestra sulle potenzialità del tartufo calabrese, Florindo Rubbettino, editore di successo e proprietario di quella speciale isola del gusto che è la Rosa nel Bicchiere, Gianfranco Visentin, segretario nazionale dell’Associazione Micologica Bresadola e vero e proprio apostolo laico del tartufo.
Delle nove specie di tartufo catalogate, in Calabria se ne trovano ben otto, il che significa che è possibile raccogliere il tartufo praticamente per tutto l’anno e che la produzione – ad oggi di dimensioni sconosciute – potrebbe assumere una rilevanza economica di assoluto rispetto. Tutti concordi gli esperti nel riconoscere la qualità eccellente del tartufo calabrese che potrebbe tranquillamente competere con i tartufi di altri regioni, ben più famosi e ben più ricercati.
L’incredibile sottovalutazione di questa ricchezza locale rappresenta, a ben vedere, l’altra faccia della medaglia di una distorta promozione dei prodotti tipici, molto spesso caricati di stereotipi e folklore e quindi avviati alla massificazione e alla perdita di storia e qualità. La valorizzazione del tartufo, al contrario, permetterebbe di raccontare al mondo curioso della gastronomia la ricchezza delle aree interne della Calabria e di costruire un percorso di sviluppo sostenibile fondato sul gusto e sulla qualità.
A queste considerazioni è seguita una magistrale degustazione di tartufo nero, condotta attraverso i piatti proposti da Orazio Lupia, giovane chef della Rosa nel Bicchiere e protagonista emergente della cucina calabrese. Lupia ha sparso di lamelle pregiate prima degli interessanti fagottini di salmone, poi un risotto di salsiccia e zafferano e infine un cosciotto di maialino con salsa demi glace.
Di straordinario impatto il secondo degli antipasti proposti: pancetta tostata su crema di fagioli e tartufo nero. Un piatto che, da qualunque posto si parta, vale il viaggio fino a Soveria Mannelli.
Molto riuscito anche un altro degli abbinamenti più azzardati, quegli gnocchi di patate con crema di Piccadilly e tartufo nero che hanno restituito ai palati più sensibili tutto l’odore di un tartufo particolarmente profumato.
Praticamente perfetto il biscuit alla nocciola e spuma di cioccolato bianco con cui si è concluso il pranzo.
Se un giorno la Calabria avrà la sua fiera del tartufo, se ci sarà anche da queste parti un’Acqualagna o un Bagnoli Irpino, sappiate che tutto è cominciato, proprio come in una favola, in una bianca domenica di dicembre ascoltando delle belle storie davanti al camino della Rosa nel Bicchiere.
*Presidente Slow Food Calabria
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