di Mauro Erro
Siamo già in ritardo. Massimiliano Calabretta, trentenne segaligno, barbetta rada e occhiali inforcati c’attende al centro di Randazzo; paesino sul versante nordoccidentale dell’ Etna; dinnanzi quella che scoprirò essere la sua cantina. Un palazzotto malandato poco più in la d’una pompa di benzina.
Entriamo in quello che potrebbe essere un normalissimo garage, ma che, invece, si rivelerà il frutto del genio, dello studio, dell’applicazione, del rispetto di due menti brillanti.
Siamo in ritardo, lo so, e lo avverto dal tono concitato che la voce di Massimiliano assume quando gli comunico che dovrò raggiungere Gurrida e la sua vigna sommersa. Già per telefono, quando avevamo concordato la visita, avevo colto la sua voglia di raccontare e raccontarsi, di far vedere e saggiare: due ore, non sarebbero mai bastate.
Vedo appena entrato contenitori in acciaio, botti di legno da 60 ettolitri di rovere di Slavonia dei maestri bottai Garbellotto di Conegliano e, disseminate qua e là, barrique francesi.
Gli faccio, per rompere il ghiaccio, alcune domande di routine.
Le vigne dell’azienda si trovano tra i comuni di Castiglione di Sicilia e Randazzo, ad una altitudine di 700 metri. Circa dieci ettari, con piante, ad esclusione di due ettari di nuovo impianto, che mediamente hanno dai 45 ai 50 anni d’età, con alcune che, parrebbe, arrivino alla veneranda età di 160 anni. Molte a piede franco su terreni, ovviamente, di natura vulcanica. Il metodo di allevamento è quello dell’alberello o della spalliera con una densità per ettaro di 5500 ceppi: la resa è di 35 quintali e la vendemmia avviene, solitamente, nella seconda decade d’ottobre. Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante, altre varietà a bacca bianca e il Pinot Nero – un ettaro di terreno a novecento metri d’altitudine – che, pare, sentendo Massimiliano, qui si traduca “tradizione” e non “moda”.
Avverto un senso di disagio. Massimiliano è un fiume in piena, interromperlo mi è difficile e ho l’impressione sia di quelli che imparata a memoria la storiella, tentando l’incanto, raccontino una favoletta. La solita favoletta. D’altra parte, ad ogni mia domanda risponde pedissequamente con un’altra domanda.
“E perché, prima, il Nerello sostava almeno sette anni nelle vecchie botti di Castagno?”
“E perché le uve, appena vendemmiate, venivano immediatamente portate con cura per la pigiatura nei vecchi palmenti?”
“E perché, anche i grandi, Marco de Grazia o Franchetti dalla sua tenuta di Trinoro in Toscana, vengono a comprare vigne qui, a Randazzo, Castiglione, Passopisciaro?”
Sta babbiando o, novello ostetrico socratico, maieuticamente m’interroga?
Ci raggiunge Massimo detto Gaio, padre di Massimiliano, uomo di pancia con barba più folta, occhiali e capelli canuti lunghi pettinati all’indietro. Uomo d’altri tempi sembra.
Proseguiamo il giro della cantina e mano a mano la faccenda si fa più chiara.
Qui si lavora, si progetta e si costruisce la cantina. Vari ambienti, sottostanti il livello stradale e scavati nella roccia viva o sopraelevati. Vedo tubi, grossi tubi spuntare qui e lì e scomparire immediatamente dopo dentro i muri, appaiono e scompaiono.
“E’ il principio dell’irraggiamento: semplicemente il calore passa da un corpo più caldo ad uno più freddo sotto forma di radiazione o onda elettromagnetica. Tramite quest’ultimo sistema il sole ci trasferisce energia sotto forma di calore. In una parete o in un soffitto semplicemente circola dell’acqua – dentro dei tubi – ad una determinata temperatura e la superficie avrà di conseguenza
una temperatura differente da quella dei corpi (botti ad esempio) interni ad un locale; per cui ci sarà un trasferimento di energia. Regolando la temperatura dell’acqua vari lo scambio termico.
Inoltre essendo a soffitto e sulla parete perimetrale impedisce al caldo di entrare nella struttura; difatti l’acqua scorrendo “porta via” il caldo entrante…”
“E l’acqua?”
“Semplicemente è l’acqua di un circuito (come quello dei caloriferi) che attraversa una pompa di calore, che di estate raffredda l’acqua e di inverno la riscalda. Così impatto ambientale uguale a ZERO!!!”
“Un sistema di climatizzazione naturale senza circolazione dell’aria, che permette di non “uccidere” batteri e spore naturali: infatti in cantina ho fermentazioni alcoliche e malolattiche assolutamente naturali”.
Continuiamo. Chiedo delle barrique.
“Microvinificazioni, campioni di prodotti in corso, testiamo, analizziamo.”
In cantina tutto è perfetto, ideale, utopistico quasi verrebbe da dire. E le vigne, i terreni?
“Sull’Etna è in corso una “zonazione” delle contrade, come nel Barolo e in Borgogna, ci stiamo lavorando io e Marco de Grazia.”
Siamo arrivati alla domanda clou. “Voi lavorate in biologico, giusto? Perché? Chi ve lo fa fare? Sono solo maggiori rischi in fondo, no?”, la mia voce si è fatta volutamente ostile. Biascicano qualche parola, non capiscono il senso della domanda, insisto con tono più incalzante ed ancor più ostile. Dopo il terzo tentativo arriva una risposta.
“Per una scommessa di quando avevo…”, inizia a dire Massimo detto Gaio subito interrotto dal figlio.
“Vabbè questa è poesia…”.
Allora capisco, e, per rispetto, spiego la natura di tanta finta ostilità.
Qui non c’è filosofia, non c’è ideologia, qui si fa vino nell’unico modo in cui lo si fa. Naturalmente, come tradizione vuole, senza creare mostri da bere subito, ma Nerello Mascalese dell’Etna lungamente invecchiato, un vino elegante, con tono leggermente acre, buona frutta, toni speziati e rimandi d’agrumi, con tannino da ammansire nel tempo e grande spina dorsale acida. Un vino che richiede tempo e rispetto. I Calabretta, Massimiliano e Massimo detto Gaio, sono tornati dalla Liguria dove svolgono il loro lavoro di ingegneri per riprendere il lavoro e la storia di una famiglia che ha le proprie radici nella Sicilia e nel vino. Forse per scommessa, forse perché era semplicemente giusto così. E lo hanno fatto nell’unico modo in cui si può avere rispetto della tradizione: migliorandola, apportandovi il proprio contributo, i loro studi, le loro conoscenze, traendo insegnamento dal passato, dall’epoca dei vecchi palmenti.
Assaggio qualcosa che mi viene spillato dalle botti. Il Carricante prima, fresco, acidulo, di buon corpo. Poi, un Nerello giovane, ancora imbizzarrito e scalpitante, aggressivo e indomito. Mi fermo.
Ho imparato. Le bottiglie che acquisto le stapperò tra qualche anno, con amici, con cura e attenzione, così come tradizione vuole, così come i Calabretta mi hanno insegnato con la loro tenacia, la loro testardaggine, con il loro orgoglio.
Perché questa è la storia del Nerello Mascalese dell’Etna. Basta solo conoscerla per averne rispetto.
Sede a Randazzo (Ct), via Bonaventura 178
Tel. 328.4565050. Genova, via Antiochia 2/4
Tel. 010.5704857 info@calabretta.net www.calabretta.net
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