Forse è proprio adesso il nadir possibile di questo rosso fuori dal comune. Lo stappiamo scettici visto il tempo trascorso e l’annata calda che tutti ricordiamo, qui sicuramente più che in Irpinia. Bene, la materia, agile e scattante, si presenta a 16 anni assolutamente integra e in palla. Dal colore eal naso nessun cenno di ossidazione e di cedimento: rosso rubino e note di amarema, di caffé e sbuffi balsamici al naso che ce lo presentamento immediatamente in forma, cosa forse scontata per un Taurasi, ma non per un Aglinico del Taburno che è figlio di un’area più calda. Al palato la nosta fresca regge e domina la beva in maniera inaspettata e convinta, trascinando con se i sentori di frutta croccnte sino al finale amarognoo e preciso che lascia perfettamente pulita la bocca. Il tempo ha ben levigato i tannini rendendoli setosi e piacevoli donando una complessiva maturità al vino in perfetto equilibrio tra naso e bocca da indurci a pensare che dopo, magari tra un paio d’anni, non possa che iniziare la discesa. Vedremo intanto, con i nostri complmenti a un progetto che ha messo sotto gli occhi di tutto questo rosso aprendo la strada al riconoscimento docg.
Scheda dell’8 gennaio 2003. Erano anni, ormai, che questa bottiglia superstite aspettava di essere aperta e abbiamo deciso di farlo proprio nel giorno della befana per berlo su un ragù misto. Come è ben spiegato nelle due precedenti schede, si tratta di uno dei vini simbolo che hanno annunciato la forte ripresa qualitativa e di successo di critica dei vini della provincia di Benevento. Lo stile risente un po’ del clima degli anni in cui è stato concepito: bottiglia pesante, tendenza alla surmaturazione (complice anche l’annata molto calda), ma il tempo dà ragione di una esecuzione impeccabile e perfetta che, tappo a parte, presenta l’Aglianico assolutamente integro nel bicchiere. Integro con sentori di frutta matura che dominano e rendono piacevole ma un po’ monocorde il naso. Insomma, appena un po’ di cuoio e tabacco. Al palato è un vino muscoloso ben sorretto dalla inesauribile acidità dell’Aglianico che mantiene questi rossi sempre tonici e pimpanti.
Scheda del 26 aprile 2009. Se passeggiate a piedi per le strade di Benevento, non potete fare a meno di vedere il Bue Apis: la scultura in granito raffigurante il toro sacro agli Egizi (dio della forza e della fecondità) che Domiziano collocò nel tempio di Iside costruito nel capoluogo sannita nell’88 d.C., rinvenuta nel 1629 in località Casale dei Maccabei e successivamente posta su di un piedistallo davanti alla porta San Lorenzo (una delle otto porte dell’antica città). Al centro di un fervente dibattito politico in merito al posizionamento attuale nella città, la statua ha finito per ottenere ben altra notorietà prestando il suo nome all’etichetta del gioiello della produzione vinicola beneventana.
A circa un mese di distanza dall’emozionante visita al più antico dei vigneti di Bue Apis in compagnia di Filippo Colandrea (enologo e responsabile tecnica della Cantina del Taburno), decisi che il giorno in cui la Chiesa ricordava la Resurrezione del Cristo era l’occasione giusta per gustare il tradizionale agnello al forno pasquale con il Re dell’aglianico amaro, da secoli presente alle pendici della Dormiente del Sannio.
Quattro piccoli appezzamenti di marne argillose calcaree, situati in località Pantanella del Comune di Monte Taburno (BN) ad un’altitudine di circa 300 metri slm ed esposti a sud-est. Viti ultrasecolari scampate alla fillossera, allevate a raggiera libera come era usanza un tempo, quando in vigna si piantava di tutto un po’. Bassa densità d’impianto ed una resa di soltanto 20 quintali per ettaro. Magica atmosfera. è qui che nasce il Bue Apis.
Raccolta manuale delle uve nella prima decade di novembre; attenta selezione dei grappoli, diraspatura e pigiatura soffice, fermentazione con macerazione sulle bucce per 40 giorni ed affinamento per 18 mesi in barriques di rovere di primo passaggio.
Il colore è rosso porpora, impenetrabile; di notevole consistenza. Naso intenso e complesso che ricorda i frutti di bosco (more e ribes nero), le spezie, le caramelle mou e il tabacco. In bocca: intenso, secco e caldo. Di grande equilibrio e sapidità. Finale lungo piacevolmente speziato, con persistenza di tabacco e caffè tostato; tannini vellutati. Ottima rispondenza gusto-olfattiva. Appagante, di straordinario equilibrio; sicuramente armonico. Già pronto, anche in considerazione del particolare andamento climatico dell’annata, caratterizzata da un caldo torrido e con acidità conseguentemente inferiore alla media per un vino robusto destinato ad un lungo invecchiamento. (Alessandro Marra).
Assaggio dell’otto maggio 2006. Insieme a Impeto di Torre del Pagus, il Bue Apis rappresenta la massima espressione raggiunta dall’Aglianico del Taburno che, proprio come nel Vulture e a differenza del Taurasi, ha alle spalle una buona tradizione di qualità media ma pochi picchi capaci veramente di stupire guide e critici specializzate.
Per me, comunque, resta il migliore rosso meridionale nella media aziendale del rapporto tra la qualità e il prezzo: sono ormai una ventina le cantine al lavoro e Torrecuso è destinata a crescere sicuramente insieme a tutta la zona doc del Taburno, a patto che invece che chiamare Gigione alla festa del vino si pensi alla comunicazione nazionale e internazionale. Ma questo è un altro discorso su cui forse avremo modo di tornare per sottolineare, ancora una volta, la spettacolare arretratezza del ceto politico meridionale rispetto alla spettacolare crescita culturale dei produttori costretti a viaggiare su velocità ormai completamente diverse. Diciamo, un po’ come le piccole imprese padane soffrono la burocrazia romana.
Del resto la stessa Cantina del Taburno è un esempio: il qualificato management che, voglio ricordare, ha lanciato il vino campano nei ristoranti all’inizio degli anni ’90 ed ha avuto l’intuizione felice di chiamare Moio, deve fare i conti con gli strascichi amministrativi dovuto al fallimento del Consorzio Agrario che era il proprietario della struttura. Trovo incredibile che la mano pubblica ancora non sia intervenuta per risolvere questa situazione che va avanti grazie alla sensibilità personale dei tre commissari e all’entusiasmo del personale. Così nasce il Bue Apis, ossia il simbolo egizio che sorveglia un incrocio Benevento che nella versione 2001 è sicuramente più nervosa e legnosa. La 2003 è invece già al suo massimo: il colore cupo, impenetrabile, annuncia un vino concentrato, dai sentori intensi e persistenti di frutta e di liquirizia cone un po’ di note balsamiche. La stagione siccitosa ha fatto il suo lavoro in questa direzione e sta regalando buoni rossi in tutto il Sud ma che difficilmente potranno avere lunghissima durata a causa della acidità meno alta del solito come in questo caso: alcol, tannini e struttura sono sicuramente in ottimo equilibrio fra loro grazie alla freschezza che regge la beva, la sorregge spingendo a provare e riprovare un vino che al gusto è pura confettura di amarena.
Moio e Colandrea hanno spolverato l’Aglianico del Taburno dai suoi tipici sentori di tabacco puntando deciso ad una interpretazione senza mediazione con le caratteristiche fruttate dell’annata 2003, davvero molto difficile e al tempo stesso generosa con chi ha saputo lavorare in vigna e in cantina. Per questo stadio di maturazione, ci sarà una maggiore evoluzione del 2001 rispetto al 2003 che invece è sicuramente pronto e stabilizzato per almeno i prossimi due, tre anni a questo livello prima di dirigersi con decisione verso i profumi terziari. Sono sicuro, insomma, che sulla distanza, diciamo da qui a dieci anni, il 2001 si esprimerà alla grande, forse meglio. Una bella prova per la Cantina del Taburno, una delle realtà più belle della Campania, costretta a fare i conti con gravi difficoltà burocratiche dovute al fallimento del Consorzio Agraria che ne aveva la titolarità.
La scelta di chiamare Moio, come quella della Cantina Sociale di Solopaca di chiamare Angelo Pizzi, fa sicuramente bene al vino perché è sulle grandi quantità che si gioca in fondo la partita vera sul piano commerciale e questi giganti hanno l’incredibile capacità di offrire uno strepitoso rapporto tra la qualità e il prezzo. Devo confessare che quando sono di fronte a questi vini così complessi non amo abbinarli a nulla, li bevo assoluti per godere la sapienza che sono capaci di esprimere (l.p.).
Sede a Foglianise, via Sala
Tel. 0824.871338, fax 0824.878898
Sito: http://www.cantinadeltaburno.it
Enologo: Filippo Colandrea con i consigli di Luigi Moio
Bottiglie prodotte: 1.500.000
Ettari: nessuno
Vitigni: aglianico, piedirosso, falanghina, coda di volpe, greco, sangiovese, merlot
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