Via G. de Ruggiero 66/b
Tel. 081.5199633
www.tavernaestia.it
Aperto solo la sera, a pranzo la domenica
Chiuso domenica sera e lunedì. Ferie ad agosto
Stella Michelin dal 2007
Francesco Sposito chef emergente per la guida Gambero Rosso 2010
Si chiude una settimana importante per la Campania. Dopo l‘Espresso, anche il Gambero Rosso ha dedicato grande spazio ai numerosi locali del territorio, punta di diamante del centro sud. Vi riproponiamo due schede su Taverna Estia ove si dimostra Una settimana che conferma la crescita delle enogastronomia campana. Dopo l’Espresso, anche il Gambero Rosso ha dedicato grdi come lo studio, l’aggiornamento, la voglia di muoversi, il non dormire sugli allori, rendono possibile la realizzazione di un obiettivo onirico e impensabile.
Francesco è sicuramente una delle grandi risorse del sapere gastronomico campano. Ci auguriamo che sappia gestire bene il successo e che veda questi risultati come un punto di partenza.
Scheda del 30 aprile. Basta poco, che ce vo’. Così il grande Giobbe Covatta avviò una grande campagna di sensibilizzazione qualche anno fa, potrebbe tranquillamente essere copiato e fatto proprio come slogan per lanciare i nuovi giovani chef campani alla conquista dall’alta ristorazione italiana: suvvia, un po’ di coraggio!
Taverna Estia è a Brusciano, periferia napoletana all’ombra della più grande periferia vesuviana che comprende tra gli altri l’areale di Pomigliano d’Arco, ma è senza ombra di dubbio uno degli indirizzi più centrati per chi desidera una gradevole esperienza gastronomica (a)tipicamente locale. Il Ristorante ha una storia recente, è nato appena dieci anni fa, dalla passione e dalla caparbietà di papà Armando Sposito, ex insegnante di educazione fisica con il pallino dei fornelli e della condivisione, casa sua era letteralmente presa d’assalto da amici e parenti appena si spargeva in giro la voce che “Armando teneva genie e’cucinà” così l’idea di mettersi in gioco, di avviare quello che in appena dieci anni è divenuto un piccolo laboratorio d’avanguardia culinaria napoletana.
Dal 2005, dopo una formazione attenta e mirata sul campo, in cucina il protagonista assoluto è Francesco, figlio di Armando e per tempo pupillo di Igles Corelli alla Locanda della Tamerice, coadiuvato in sala dal fratello Mario, sommelier professionista ed anfitrione garbato e presente. L’ambiente è curato, pochi tavoli ben distanziati, mis en place elegante ed essenziale (ma quanto pesano però le posate!), la cucina in vista lascia trasparire la voglia di spazio ma anche una accurata tempistica e coordinamento del servizio. Scegliamo il menù degustazione di terra, 8 portate (compreso aperitivo e pre dessert) che sicuramente non passano inosservate: simpatico l’aperitivo “mangiamo con le mani”, verdure ed ortaggi disidratati e fritti, polpettina di broccoli e piccoli assaggi di conetti di sfoglia e palamita, come buono il bon bon di latte cagliato con acciuga cruda su passatina cruda (che preferisco al termine gazpacho) di San Marzano; Semplicemente strepitosa invece la creme brulèe di baccalà con divertenti consistenze e forme di fagioli cannellini e peperoni cruschi.
Buono ma non mi ha entusiasmato invece il primo piatto, ovvero “Il grano duro: quattro modi per rivisitare la pasta e le tradizioni”. Piatto sicuramente concettuale, come lo definisce Mario, difficile da gestire nel servizio aggiungo io, data la presenza di quattro paste fresche e quattro differenti condimenti, molto bello a vedersi ma senza particolari guizzi palatali. Decisamente eccelso, per progettazione e più ancora per sapore, il secondo: coniglio al profumo di ginepro, cotto a bassa temperatura, con spiedino di finocchi gratinati e polpettina di coniglio. Molto gradevole il mio pre dessert di gelato vanigliato su confettura di arance, meno il parfait di liquirizia alla crema di zucca confit alla vaniglia e croccante di mandorle, prima del delizioso ed originale “Giòcolato”, variazione sul tema cioccolato. Bonus invece, per la buona millefoglie con crema alla vaniglia, una proposta must, mi dice Mario che in dieci anni difficilmente sbaglia di colpire dritto al cuore. Buona la carta dei vini, ben articolata e scorrevole, molto buono il servizio, puntuale ed attento soprattutto da parte della garbata compagna di Mario che lo aiuta in sala, di cui pardòn, mi sfugge il nome nonostante si fosse presentata per tempo, ma della quale certamente non scorderemo le buone maniere con le quali ci ha condotto sino al caffè senza sbavatura alcuna.
Conto sui 170 euro, in due, compreso il vino. Ho bevuto Lagrein 2006 (22 euro) di Hofstatter, praticamente impossibile da trovare anche nelle carte più attente, perchè molti lo snobbano accecati dalla grandezza dei bianchi e del Pinot Nero di questo nobile produttore alto atesino. Ecco perchè in ogni buon ristorante a fare gli acquisti dovrebbe essere il sommelier, e non come spesso capita il rappresentante, bravo Mario!
Angelo Di Costanzo
Visita del 15 settembre 2008. Le mammolette oddiomadovesiamo e i rompicoglioni questocosasarebbe possono saltare sicuramente questa scheda. Anzi, un consiglio sentito e spero ascoltato, anche se gratis, a chi vive nel giardino dei Semplici: non venite proprio qui, non fa per voi. Già, perché siete in uno degli antri nascosti di ingresso della Campania, questi posti dove non si fanno sconti e non si ricercano mediazioni, nel piatto come nel territorio. Solo chi ha viaggiato molto nei paesi arabi e in Oriente dove questi contrasti sono vissuto quotidiano, oppure ha mangiato davvero in tanti stellati, può capire quanto sia unica e rara questa esperienza, capace di lasciare forti emozioni, coinvolgere, impossibile restare indifferenti. Del resto il Paradiso viene sempre dopo l’Inferno.
Già, l’Inferno: il territorio è devastato, urbanisticamente ha da molti decenni perso il senso estetico del bello, lo stadio cadente di fronte al locale è privo di manutenzione proprio come tutti i campetti di periferia del nostro Mezzogiorno. Non sappiamo neanche se qui qualche campione abbia mai tirato i suoi primi calci al pallone. Certo siamo sul versante nord della piana Vesuviana, una delle più fertili d’Europa, da cui nascono frutta e ortaggi squisiti, dal sapore unico. In questo contesto viene da aspettarsi una cucina radicata alle tradizioni del territorio, esecuzioni tipiche poggiate sulle cotture lente delle zuppe o veloci con il solito sfritto di aglio come base da cui partono tutti i piatti della cucina contadina e campagnola partenopea. Più o meno era iniziata così l’esperienza di Armando Sposito quasi dieci anni fa, professore con la voglia di stare ai fornelli, l’idea di aprire un posto diverso, la spinta a leggere e sperimentare. Per cui da subito, la genialità tipica degli autodidatti che galoppa inseguendo la fantasia, una idea, ecco la palla di latte fritta, esplosione di ruffianeria infantile in bocca da ripetere all’infinito, per sempre, parente della mozzarella fritta che usa a Napoli ma dove il gioco della consistenza è diverso, favoloso. Armando e Margherita si stavano quasi spartendo per colpa di questo cibo, l’hanno dovuto togliere per salvarsi ci raccontano tra il serio e il faceto.
La marcia in più arriva con l’ingresso dei figli nella squadra, come è accaduto con i Fischetti a Vallesaccarda: Francesco gira, sta a bottega da Gorelli, fa esperienza in Francia e Spagna e l’anno scorso, a 25 anni, è Stella Michelin, chapeau alla vecchia rossa sempre bistrattata in Italia ma alla fine capace di questi guizzi. Mario si laurea a Londra in Economia, poi si unisce alla banda familiare, diventa sommelier con Enzo Ricciardi, e ci presenta una carta dei vini robusta, intrigante in Campania, profonda quanto possibile per un nuovo locale a capitalizzazione non infinita, capace di soddisfare comunque le attese di tutti.
Ma eccoci nel piatto, dove troviamo un linguaggio spagnolo che, pur non portando alla disgregazione della materia, rilancia giochi di forme e di consistenze senza rimettersi al sifone, quanto, piuttosto, alla capacità di guardare cose vecchie con occhi nuovi. Leggi, a tal proposito, una burratina a forma di trapezio stesa su creme di peperoni e guarnita con due broccoli nature. Bella la Puglia vista così, anziché con la solita cicoria e fave, no? E che sapore didattico gli ortaggi, i colori salvati dalla tecnica del ghiaccio, niente coperture di olio e sale a confondere le idee. C’è un filo dritto, cari amici, che lega Taverna Estia alle Colonne della nostra cara Rosanna Marziale, trenta chilometri per ritrovare la Spagna a Napoli, la nuova Spagna nella vecchia Napoli. Chè non è un caso se queste esperienze nascono senza cornice condizionante, un po’ come è più facile piantare cabernet dove non c’è tradizione di aglianico. E non è un caso che Francesco e Rosanna sono i campani più assidui a San Sebastian e dintorni.
La cucina di Francesco mi è piaciuta non solo per la forza dei sapori, questo invero è scontato a Sud di Roma, quanto per l’equilibrio, starei per dire la maturità di uno stile virtuoso ma non eccentrico, semplice ma non banale, capace di prenderti la testa e portarla a spasso avanti e indietro nel piatto e poi scoprirti soddisfatto anche di gola. Come nel caso di un gaspacho di mozzarella al San Marzano, ma anche, qui c’è la zampata di Armando, nel cappuccino di manzo e zabaglione che fa tanto Piemonte allegro, il che obiettivamente, non è sempre molto facile da trovare.
La sella di coniglio ci riporta per un istante ai confini del classico, ma le diverse cotture, coniugate alla frittura di finocchietti, alla consistenza della pallina dei suoi fegatini e a quella dell’hamburgher mantengono alta la tensione verso il divertimento e il non scontato. Va bene, adesso gli altri piatti li potete scoprire nel sito perché, anche in questo c’è un po’ di modernità mentale, qui ci sono tutti e aggiornati, cosa difficile da trovare in Italia. Vi trasciniamo però ancora verso la perfezione costituita dal pre dessert, di solito stiamo lontano dai dolci, ma la spuma di zucca abbinata alla non sovrastante liquirizia Amarelli ci porta vicini al dieci pieno, a quella rotondità oltre la quale non c’è altro da fare se non alzarsi e chiudere il pranzo. Mai, mai, provato la liquirizia senza un secondo di fastidio come in questo caso.
La sala è accogliente, dovizia di particolari, la mano femminile è nei fiori e negli oggetti a cui mai l’uomo fa tanto caso, il servizio è professionale, non scantona anche quando il rapporto è amichevolmente solido, atteggiamento che notiamo essere presente solo nei grandi. E allora, che dirvi? Se non avete paura dell’Inferno, venite in Paradiso.
Quanto costa
Tra i 65 e 70 euro senza il vino, quanto un medio ristorante di Roma e un medio/basso di Milano. Migliore rapporto, favorevole a chi si siede, tra quello che esce dalla tasca e quello che vi entra nella testa.
Come si arriva
Non lo so: uscite a Pomigliano sulla Napoli-Bari e usate il navigatore.
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