Brunello di Montalcino 2020: riflessioni sull’annata e i vini da non perdere

Pubblicato in: I vini da non perdere
Benvenuto Brunello 2024

di Raffaele Mosca

La speranza, avendo già assaggiato qualcosa da botte e da bottiglia, era che fosse un’annata facile da decifrare: modesta, ma piacevole, con vini apprezzabili per immediatezza ed equilibrio già all’esordio. E, invece, lo scenario è il più intricato da un po’ di tempo a questa parte: la 2020 per il Brunello di Montalcino è quasi la sintesi delle annate che l’hanno preceduta. I migliori vini reggono il confronto con i 2019, anzi qualche volta li superano per finezza e slancio; i meno compiuti sono a metà strada tra 2017 e 2018.

L’inizio di un quadriennio rovente

Con la 2020 si è aperto un quadriennio in cui il riscaldamento globale ha accelerato in maniera molto evidente il suo passo, senza lasciare nemmeno mezza stagione di tregua all’umanità tutta. Stando alle statistiche riportate da Wine News, si è trattato della quinta annata più calda dal 1955, con temperature medie più alte di quasi un grado rispetto alla norma. Mentre tutti eravamo reclusi in casa, il sole splendeva sulle vigne, i mesi primaverili erano miti e la pioggia scarseggiava. Poi è arrivata l’estate del liberi tutti: leggermente piovosa in apertura, ma calda e siccitosa da inizio luglio in poi, anche se a Montalcino non si sono registrati i picchi folli delle stagione successive. Se non altro la differenza tra notte e giorno è rimasta considerevole: “ Mentre in annate come la 2024 la temperatura in estate non è quasi mai scesa sotto i 22 gradi, nella 2020 l’escursione termica è stata molto importante e ha scongiurato gli arresti vegetativi” spiega Filippo Bellini di Tenuta Buon Tempo. Dopodiché, i racconti dei produttori sono abbastanza difformi, probabilmente per l’andamento a macchia di leopardo tipico di queste stagioni subtropicali. “ Nelle annate calde degli ultimi tempi, si vengono a creare tanti microclimi – aggiunge Iacopo Mori de Il Marroneto – anche tra vigne che distano un chilometro la differenza può essere enorme”. C’è chi riferisce di un settembre mite, con piogge salvifiche che hanno portato un po’ di frescura e interrotto l’andamento siccitoso; altri, invece, parlano di un millesimo asciutto dall’inizio alla fine. La vendemmia è stata generalmente più precoce rispetto al 2019 e meno abbondante.

L’annata 2020 alla prova dell’ assaggio

Il risultato nel bicchiere non può che essere variegato. Difficile tracciare un archetipo preciso di Brunello di Montalcino 2020. Sicuramente prevalgono i tratti tipici delle annate calde: salvo rare eccezioni, i vini oscillano tra i 14 e i 15 gradi e la percezione calorica è più accentuata che nella 2019. La raccolta è stata anche meno generosa e forse questo ha contribuito al senso di pienezza. Ma se in millesimi davvero bollenti come il 2017 l’alcol imponente era spesso abbinato a tannini rugosi o nasi cotti/terziarizzati, l’incidenza di questo tipo di problemi nella 2020 è piú ridotta. I vini meno ambiziosi si avvicinano per prontezza, morbidezza ed equilibrio senza grandi sfaccettature ai 2018, dei quali, però, non hanno la delicatezza che alle volte sfocia nella fragilità. Fare classifiche così presto è un po’ un azzardo, ma la sensazione è che, come qualità media, quest’annata si posizioni subito dietro al terzetto delle meraviglie composto da 2015,2016 e 2019. Il divario rispetto alle prime due è molto importante, mentre con la terza le differenze ci sono, ma un po’ meno accentuate del previsto.

L’importanza dei versanti

A Montalcino non esiste ancora una zonazione precisa: forse la riluttanza a condurne unaderiva anche dal fatto che
moltissimi produttori hanno vigne spezzettate in vari quadranti e storicamente hanno sempre assemblato le uve per fare un solo Brunello, invece di sperticarsi in mille vivisezioni. Ma è innegabile che i vini più eloquenti siano spesso quelli che provengono da zone specifiche e che i Brunello “vigna” siano sempre più popolari, al punto da aver quasi soppiantato le Riserve.

Nessuno ha ancora un’idea chiara di quali siano davvero i potenziali Grand Cru del Brunello. Certo è, però, che questa è la seconda annata di fila in cui la zona Nord/Nord-est della denominazione, che in passato dava risultati altalenanti, esce molto bene dagli assaggi.

Tra i crinali intorno al paese, che sono battuti dal vento anche nelle giornate di caldo africano, e la vigna Montosoli, l’unica su cui più produttori fanno quadrato, si trova la maggiore concentrazione di vini con profili quasi classici, anzi a tratti superiori ai 2019 ai per grazia ed espressività aromatica, ma dotati di acidità adeguate e tannini fitti che garantiscono anche una buona tenuta nel tempo.

Nelle zone a sud, invece, le annate come la ‘20 tendono ad essere più scostanti, ma i produttori hanno fatto enormi progressi negli ultimi anni e, in questo caso, sono riusciti a gestire calore e siccità molto meglio che in passato. Paradossalmente in territori come Castelnuovo dell’Abate e Sant’Angelo in Colle la qualità media sembra addirittura un pizzico superiore che nella 2019, anche se mancano i picchi qualitativi di quel millesimo.

Ci sono un paio di vini quasi classici per dinamica e profondità: per esempio quello di Lisini – che produce da sempre vini da lungo invecchiamento – o Caprili in zona Santa Restituta. Ma gran parte dei campioni del sud spiccano per piacevolezza immediata, data da un frutto succosissimo e tannini già integrati: non scommetterei troppo sulla loro performance a lunghisima gittata, ma sono sicuro che nei prossimi 10-15 anni permetteranno di divertirsi parecchio.

La rivoluzione dei giovani

Se è vero che la gerarchia di Montalcino non varia troppo di anno in anno, e che tra i vini migliori figurano sempre nomi altisonanti, è anche vero che lo scenario della denominazione sta cambiando e che quest’anno ci sono alcune novità. In territori come questi, dove le quotazioni sfiorano il milione di euro l’ettaro, la nascita di nuove aziende condotte da giovani è quasi impossibile. Ma a Montalcino sono ancora diverse le realtà che fino a questo momento non hanno sfruttato appieno il loro potenziale e che, grazie alle nuove leve, stanno recuperando il ritardo accumulato. In più c’è qualche realtà – per esempio La Casaccia di Franceschi – che è nata come costola di una realtà più celebre e la sta eguagliando, se non superando, per qualità nel bicchiere. I Brunelli di tutte queste aziende emergenti li trovate sotto tra i vini da scoprire

Gli aperitivi a Le Logge a fine giornata sono il momento cui si capisce l’aria che tira a Montalcino, e quest’anno l’altra cosa che mi ha fatto piacere è vedere non solo tanti produttori della zona più o meno affermati che condividono bottiglie e scambiano pareri a conclusione della giornata di lavoro, ma anche vignaioli di altri territori venuti a fare una sorta di gemellaggio. Si potrebbe pensare che siano in cerca di una fonte di ispirazione, ma mi è parso vero il contrario. Tra i brunellisti c’è, per esempio, chi ha confessato di essere andato a Radda e dintorni in cerca di soluzioni per il Rosso di Montalcino, quasi a voler suggerire che Montalcino può imparare qualcosa dal Chianti Classico, dove i vini entry-level sono più costanti (mentre i chiantigiani possono trovare a Montalcino spunti per la Gran Selezione). Questa è la dimostrazione di come gli under 40 abbiano il grande pregio di avere più modelli di paragone, perché hanno studiato o lavorato fuori, assaggiano vini diversi dai loro, si muovono molto per piacere o per lavoro. Sono meno campanilisti, più aperti al dialogo con il resto del mondo di chi li ha preceduti. E questa apertura mentale sarà indispensabile per affrontare le sfide degli anni a venire.

 

La top 10 dei migliori Brunello di Montalcino dell’annata 2020 da Benvenuto Brunello:

Sesti

Eleganza soffusa di erbe aromatiche, eucalipto, fiori e qualche accenno ematico; siamo a sud, nella parte più storica della zona di Argiano, ma il profilo relativamente delicato è il riflesso – spiega Elisa Sesti – del micro-clima di un vallone in cui i venti dal mare, incanalandosi, abbassano le temperature. La bocca è molto invitante, succosa e immediatamente fruibile senza essere troppo sempliceRitorni balsamici e un pizzico di arancia sanguinella prolungano il finale tonico.

 

Pietroso

E’ una delle aziende che sono cresciute di più negli ultimi anni e questa 2020 sembra addirittura superiore alla ‘19. La finezza del naso è quasi nebbiolesca: c’è una parte dolce di gelatina di anguria e creme de cassis che si fonde con toni più scuri di radici. Il sorso è “nordico” per austerità, ma straordinariamente preciso; tannini decisi accompagnano il frutto, per poi allentare la presa in un finale di grande finezza.

 

Fuligni

Pochi vini riescono ad essere già ben definiti e allo stesso tempo giovanili come questo che fonde perfettamente spunti terziari, fiore e frutto. La stessa impostazione torna in bocca: non è un peso piuma, ma scorre con leggerezza quasi anomala. Finale sanguigno che invita al sorso successivo.

Caprili

Naso splendido per un vino che, anno dopo anno, si conferma tra i più solidi della denominazione. C’è il frutto tipico dei quadranti a sud – come una gelatina di lamponi – abbinato a toni speziati e terrestri. Entra succoso, suadente, e poi tira fuori tannini vispi e tanta arancia sanguinella a dare energia. Chiusura agile e allo stesso tempo profonda.

 

San Polino – Helycrisum

Un cru della prima azienda biologica di Montalcino che, anno dopo anno, si conferma un benchmark per la denominazione. Il naso trasuda mediterraneità aggraziata: sospeso tra fiori appassiti, erbe officinali, lavanda e gelatina di frutti rossi, caldo e fine allo stesso tempo. La bocca è coerente: salina, balsamica, con un tannino impeccabile a sostegno della struttura piena, rimandi agrumati che bilanciano il finale caldo ma non bruciante.

 

Lisini

Il più classico dei vini della zona di Sesta: terroso sulle prime, poi più fresco ed espansivo. Austero, potente, con un tannino in via d’integrazione che non sovrasta il frutto, anzi lo accompagna. Assaggiato di fianco al 2019, rivela una struttura solo leggermente più esile, ma è addirittura più slanciato e rinfrescante nel finale, potenzialmente eterno come tutti i vini di quest’azienda.

 

Il Marroneto

Un assaggio fuorisalone che rapisce dal primo istante: la potenza terrosa tipica del Sangiovese di Montalcino va a braccetto con un frutto suadente, rarefatto, inglobato in una nube balsamica e floreale, che fa un po’ Borgogna. La bocca non è da meno: attraversata da acidità squillante, ma di rara finezza e leggibilità, con lo stesso frutto di micidiale purezza trovato al naso che sfuma lento. Se non è il miglior Brunello “base” di sempre per quest’azienda di culto, è perlomeno quello più irresistibile da subito.

 

Canalicchio di Sopra – Vigna Montosoli

La Borgogna a Montalcino è il titolo che darei a una dissertazione su Montosoli. C’è qualcosa di tipico dei Grand Cru dei Cote de Nuits nei più grandi vini prodotti in questo vigneto: forse la fusione di frutto fresco e toni floreali, con quel tocco selvatico a completare che dà la terza dimensione. Questo vino incarna perfettamente quell’archetipo e ha anche un respiro floreale di fondo di stampo quasi nebbiolesco. La bocca segue la stessa traccia: aggraziata e giocata sul frutto pieno, ma di purezza adamantina, con tannini incisivi al punto giusto, finale impressionante per spessore e contestuale finezza.Un nuovo benchmark per il versante nord di Montalcino.

 

Salvioni

Il miglior vino assaggiato in sala e uno dei più completi mai sfornati da questa piccola grande azienda di culto: severo e allo stesso tempo elegante, con profumi di erbe balsamiche, liquirizia, tarocco siciliano, ribes, qualche accenno terragno sullo sfondo. Non esuberante, ma ipnotico. Succoso e suadente in apertura, poi più mordente; sicuramente spostato sulle durezze, ma di rara precisione e compostezza, con un finalmente terminabile. L’assaggio di un pazzesco Rosso di Montalcino 2014 dello stesso produttore fa pensare che questo qui, a occhio e croce, andrebbe stappato nel 2054. Ma chi non ha paura del tannino può goderselo da subito.

 

Il Marroneto – Madonna delle Grazie

Per la famiglia Mori potrebbe essere la versione migliore di sempre di questo Cru. E, come tutti i grandi vini all’esordio, gioca sulla profondità più che sull’intensità, con chiaroscuri meravigliosi, tra erbe officinali e fiori rossi, accenti evolutivi ancora sottili. La bocca è magnifica: giovanilmente irruente in questa fase, con un tannino ruggente che, però, è perfettamente inglobato dal frutto ricco e scuro. Meno immediato di Salvioni, ma altrettanto profondo, semplicemente lunghissimo. Ha le credenziali giuste per durare decenni.

 

I vini da scoprire:

Elia Palazzesi – Colleceto

Intenso, “meridionale”, ma dotato di finezza e garbo non trascurabili. Macchia mediterranea e frutti rossi in gelatina anticipato un sorso già perfettamente equilibrato, di media struttura; allettante per fluidità e succosità, il finale è piccante di erbe spontanee.

 

La Casaccia di Franceschi

Le vigne sono tra le più alte della denominazione: arrivano i 580 metri a ridosso del Passo del Lume Spento. Liquirizia, cacao amaro, kirsch e un accenno di tabacco delineano un naso riservato, ma affascinante. Il sorso è agile e dinamico, con un tannino vispo che incalza la struttura di medio peso, acidità acuta e un frutto molto succoso che sfuma nel finale lungo ed equilibrato.

 

Scopetone

Dai pendii intorno al paese, un vino molto compiuto nella sua essenzialità, con un profilo fresco, balsamico e di frutti rossi ancora croccanti, che evoca millesimi meno torridi del ‘20. Non mostruoso per articolazione, ma di splendida finezza, con acidità reattiva e tanto frutto succoso, finale agile e perfettamente coerente. Perfetto per chi non è amante dei pesi massimi.

 

Tenuta Buon Tempo – Oliveto P. 56

Suadente di fragolina, pot-pourri, con accenti di macchia mediterranea e una sottile vena di salamoia che fanno molto Castelnuovo dell’Abate (per inciso la stessa zona dove si trova Poggio di Sotto). C’è dolcezza di frutto, ma anche una presa tannica classicamente imponente che dà profondità e lascia presagire un’evoluzione felice. Conseguimento notevole per un’azienda in costante crescita.

 

Vasco Sassetti

Scuro ed essenziale: terra bagnata, legno arso, drupe selvatiche. Anche meglio al sorso, con un frutto ben profilato, tannino deciso ma ben estratto, accenni salini che danno finezza ed energia alla chiusura. E’ la prima volta che lo proviamo e ci ha convinto da subito.

 

Villa Le Prata – Vigna Le Prata

Liquirizia, erbe botaniche, giuggiole e un accenno di caffè preannunciano una progressione di notevole finezza, con tannini impeccabili a sostegno della struttura di medio peso, rintocchi salini e di agrume che ravvivano un finale che brilla per dinamismo e leggerezza. Una sorpresa dall’azienda di soli 2.8 ettari intorno all’antica Villa del Vescovo. Assaggiata fuorisalone.

 

Gli altri vini eccellenti:

Caparzo – La Casa

E’ il più gentile di tutti i Montosoli: forte di una profusione ammiccante di frutti rossi in gelatina, fiori ed erbe officinali. Più immediato di altri, il tannino è ben fuso nella struttura, ritorni balsamici danno distensione al finale lungo. Pronto da subito.

 

Casanova di Neri – Tenuta Nuova

Esplosivo, possente, con accenni vegetali che incorniciano il frutto, un pizzico di legno a dare spessore. Coerente, moderno, ma dotato di più delicatezza e soavità fruttata rispetto al quasi monolitico Tenuta Nuova 19’. Salinità e tannini precisi ritmano il finale lungo, sorprendentemente aggraziato.

Cupano

Ciliegie dolci e sfumature terrose, un accenno di tostatura dai legni piccoli. Pieno, avvolgente, goloso, con un giusto po’ di rovere da digerire, ma carnoso e immediatamente soddisfacente, lungo nei rimandi balsamici. Moderno ma con stile!

 

Gianni Brunelli – Le Chiuse di Sotto

Un po’ chiuso sulle prime, lascia intuire progressivamente ciliegia candita, fiori appassiti, tracce boschive e balsamiche. Succoso, elegante e già perfettamente bilanciato; non ha la stoffa e la profondità del ‘19 dello stesso produttore, ma è comunque molto raffinato e godibile
sia ora, che tra qualche decennio. Classico.

Franco Pacenti

Sottile ma elegante, con un frutto molto delicato abbinato ad erbe officinali, arancia candita, un pizzico di pepe bianco. Ha slancio e allo stesso tempo pienezza, succosità di frutto frammista a complessità terragna nel finale di ottima distensione. Perfetto da subito.

 

Gorelli

Accenni selvatici e terrosi s’impongono sul frutto, disegnando un naso classico, che preannuncia un sorso allettante per equilibrio tra freschezza, frutto e leggere tracce evolutive, con un finale appena asciugato dal tannino giovanilmente irruente. C’è molto hype intorno a quest’etichetta di recente lancio e non si può dire che non sia intrigante. Ma per ora manca il fattore “wow”.

 

Giodo

Il Brunello di Bianca Ferrini, figlia del super-consulente Carlo, è meno esplosivo del solito, anzi sottile di anice stellato, incenso e pot-pourri, con lampi fruttati sul fondo. Delicato, aggraziato, con frutto ultra-succoso e tannino shiatsu, senso di armonia complessiva non trascurabile. Non travolgente come il 2019, ma sempre preciso, goloso, un po’ borgognone.

 

Il Paradiso di Manfredi

Meno scapigliato del solito, anzi intrigantemente boschivo, ematico e addirittura floreale. Dritto, austero, freschissimo. Tutto giocato sull’energia, con finale in divenire, ritmato da rimandi all’arancia sanguinella. Un’edizione particolarmente riuscita di un vino solitamente divisivo.

 

Le Ragnaie – V.V.

Esplosivo, stra-sfaccettato, con toni esuberanti di origano, incenso, pepe rosa e un tocco animale a corollario del frutto rosso. Il tannino è vigoroso, possente, incalza il frutto e rende un senso di austerità intrigante. Da aspettare.

 

Poggio Antico – Vigna I Poggi

Soffuso, balsamico e floreale, con qualche accenno più scuro sul fondo. Più che la bocca, a conquistare è il sorso: materico ma tutto meno che pesante, anzi slanciato e vigoroso , con tannini fitti che sfumano lenti e un guizzo sapido a stemperare. Vino molto promettente da una delle vigne più alte di Montalcino.


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