Brucellosi delle bufale a Caserta, caso nazionale dopo Report
Uno spettro si aggira per Caserta, ma nessuno si è sinora veramente coalizzato per combatterlo (cit.), al punto che è un tema esistente fin dal 2007 quando scoppiò la crisi e la Regione intervenne con decisione grazie all’allora assessore all’Agricoltura Cozzolino. Un tema che da Campano ormai è tutto Casertano, purtroppo.
Prima di proseguire bisogna chiarire che mangiare mozzarella da latte di bufala (dop e non dop) non comporta il minimo rischio per noi consumatori perché il latte nel corso della lavorazione viene portato ad una temperatura abbondantemente molto più alta della soglia di sopravvivenza del batterio.
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Dunque mangiare mozzarella è sicuro anche se è in corso una epidemia di brucellosi
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Perché allora bisogna debellare la brucellosi? Per la salute degli operatori del settore che si trovano a contatto con gli animali malati e per gli stessi animali che non sono più utili dopo aver contratto la malattia.
Allo stato dei fatti, secondo le norme in vigore, numerose regioni hanno acquisito lo status previsto dalla normativa europea di Provincia Ufficialmente Indenne, ritardo per cui la Regione Campania fu sanzionata dalla stessa Ue nel 2019.
Nel 2020 questo obiettivo, di Provincia Ufficialmente Indenne, è stato raggiunto dalle province di Napoli, Avellino e Benevento mentre la Provincia di Salerno, la seconda per dimensione degli allevamenti dopo Caserta, sta per tagliare finalmente questo ambito traguardo.
Il problema è dunque la provincia di Caserta con i suoi storici cluster mai veramente debellati.
Il tema non è secondario per la produzione, basta considerare le dimensioni della dop secondo i dati forniti dallo stesso consorzio che registrano ancora incrementi di quantità e di export nonostante il Covid.
A Caserta ci sono l’80% dei 200mila capi bufalini allevati in Italia e il 15% di questi ha la brucellosi secondo i rilievi regionali.
L’areale maggiormente coinvolto è quello di Grazzanise con i comuni confinanti Castel Volturno, Cancello e Arnone e Santa Maria la Fossa, dove si contano circa 400 allevamenti. Nel Casertano ormai si contano decine di focolai: San Marcellino con 31 focolai in 80 aziende, Capua con 18 focolai in 133 aziende, Cancello e Arnone con 19 focolai in 68 aziende
Come è stato possibile non riuscire a risolvere la brucellosi in 14 anni?
A differenza del 2007, quando la Regione era in condizione di effettuare i controlli su poco più del 30% delle aziende, oggi la situazione è perfettamente monitorata e si ha un quadro completo della situazione.
In alcune aziende è stato accertato dalla stessa Regione Campania, congiuntamente con la Procura di Napoli per il tramite del NAS, l’uso fraudolento del vaccino RB51, con una modalità di utilizzo tale da non consentire il rilevamento della malattia e del vaccino stesso durante i controlli ufficiali.
Ma non basta: nonostante i ripetuti solleciti da parte della Task Force Regionale al rispetto di tutto quanto disposto dalla norma (DGRC 207/2019), non sono ancora perfettamente garantiti alcuni punti strategici individuati dalla delibera necessari a limitare il rischio di diffusione della Brucellosi, tra cui la gestione delle aziende, in alcuni territori critici, come un unicum epidemiologico.
Molte aziende infatti derivano dalla divisione di precedenti aziende senza però aver garantito una reale separazione aziendale che assicuri corrette condizioni di biosicurezza. Il motivo è sempre lo stesso: spingere sulla produttività, anche in modo non compatibile con la sostenibilità ambientale.
Secondo un rapporto riservato dell’autorità, “ci si trova di fronte ad aziende multiple che dovrebbero essere consorziate e considerate unica unità epidemiologica. Si intuisce, quindi, che ci troviamo di fronte a gravi problematiche di biosicurezza ambientale che scaturiscono da una non congrua gestione zootecnica territoriale che si è protratta negli anni”.
Tradotto in parole povere, la brucellosi si diffonde là dove non è stata combattuta con decisione e là dove ci sono condizioni di vita pessime degli animali, costretti al sovraffollamento e le cui carcasse non sempre vengono smaltite a norma di legge.
Si registrano episodi, denunciati alla Procura della Repubblica, di spandimento illecito di reflui su terreni e in canali comuni, che hanno contribuito, e tuttora, seppur in maniera puntuale, contribuiscono alla ulteriore diffusione della malattia nella zona cluster. Inoltre, a fronte di aziende eccellenti, ancora si evidenziano aziende con carenze, alcune definite gravissime, di biosicurezza aziendale, sia strutturali che gestionali.
Ebbene, la brucellosi non si ferma, ma avanza.
E la situazione sta diventando pesante. Sinora sono stati abbattuti 40mila capi, ma non è stato sufficiente. La regione oggi presenta un nuovo piano ma che pare sia stato già bocciato fagli allevatori
Gi allevatori sono sempre stati restii, ovviamente, ad abbattere i capi, anche perché la mattanza riguarda tutto il cluster e anche quelli sani ne fanno le spese.
Tra dibattiti infuocati e timori per il futuro, è nata anche l’Associazione Amici della Bufala benedetta dal presidente del Consiglio Regionale Gennaro Oliviero (Partito democratico) che si oppone agli abbattimenti e invoca il vaccino come unico strumento per risolvere radicalmente il problema.
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