Bros’ a Lecce
Via Acaja, 2
Tel 0832.092601
www.brosrestaurant.it
Chiuso il martedì
Il lampo, a scoppio ritardato, mi è venuto leggendo il report di Guido Barendson su Repubblica Sapori e di Margo Schachter sulla Cucina Italiana. Con Guido condividiamo insieme tante avventure gastronomiche sulla scia di un rapporto antichissimo:fu il padre Marino a firmare la prefazione al mio primo libro di gastrononomia nel 1998. Margo Schachter non ho il piacere di conoscerla ma seguo quello che scrive con interesse perché non è mai banale.
Entrambi sono giunti alle stesse conclusioni esprimendo perplessità sulla esperienza dai Bros
Perplessità che io, andato con tutti gli entusiasmi del caso, avevo cominciato a maturare durante l’ultima cena e che non volevo raccontare neanche a me stesso.
Già, perché, per chi non lo sapesse, questo blog è stato il primo a raccontare dei fratelli Pellegrino grazie alle visite di Tommaso Esposito e di Enrico Malgi in Salento dove risiedono, beati loro, una ventina di giorni in estate. Entrambi li hanno seguiti con passione nelle cucine europee sin dal 2014 e poi nel dicembre 2015 con l’articolo di apertura dei Bros di Tommaso Esposito, li abbiamo poi seguiti dall’apertura con passione, ammirazione per il coraggio giovanile attraverso numerose recensioni a dir poco entusiastiche a più firme. L’ultima quella a gennaio di Maria Pranzo.
E non dimentichiamo che fu Floriano Pellegrino, ancora sconosciuto ai più, su invito di Barbara Guerra e Albert Sapere, ad aprire il congresso Lsdm nel 2017 insieme ad altri cinque giovani
Per dirla tutta, tanto non è il terzo segreto di Fatima, fui proprio io, da coordinatore del Sud, a sollecitare, d’intesa con Guido , un ingresso forte nella guida 2017 Ristoranti Espresso che fu quella di un cappello per poi passare a tre in quella del 2018 e infine rientrare su due nell’ultima dopo le mie dimissioni dalla Guida e dopo che il coordinamento delle regioni del Sud è passato a Francesco Aiello, il quale probabilmente non c’è mai stato di persona. Per fortuna è arrivata in soccorso la Michelin (ma un po’ in tutto il Sud quest’anno dove sono stati distribuiti cappelli a ristoranti già chiusi o in chiusura) che ha riconosciuto la stella a Floriano Pellegrino e Isabella Potì rimasti soli nell’avventura dopo che gli altri due fratelli hanno lasciato.
Tutta questa premessa è necessaria in un paese come l’Italia in cui si può insultare il Papa, il Governo, la Magistratura, le forze del’ordine, gli immigranti che fuggono dalla guerra, allenatori e calciatori, cantanti e attori, i capi di Stato stranieri ma non si possono toccare i cuochi, l’unica vera casta mediatica che ha subito un branco di botoli pronti a mordere le caviglie di chi solleva il minimo dubbio anche sulla cottura di un piatto. Premessa necessaria per dire che non solo non c’è alcuna prevenzione, ma c’è solo entusiasmo per l’avventura umana di Floriano Pellegrino e Isabella Potì.
Ora veniamo a via Acaja.
Primo flash. Francesco abbandona subito i Bros. Giovanni resta in campo per un anno ma poi a sua volta lascia. I Bros non sono più tali ma resta il marchio, i Bros. Segno dei tempi in cui il nome deve avere musicalità ma non necessariamente corrispondere a qualcosa. Il rasoio di Occam in versione 2.0 per social e tv.
Secondo Flash. “Floriano, ma la stella Michelin vi ha riempito il ristorante?” Risposta: “Ci ha fatto piacere e ci ha ricaricato, ma il ristorante è pieno da quando Isa è in tv”.
Terzo Flash. La cena di cui hanno scritto Guido e Margo, non è stata una serie di colpi di scena come le altre volte, ma avuto solo veri due acuti (il timballo e l’anatra) e due cadute pesanti (la trippa e le linguine). In una parola, ed è questo il primo commento che ho fatto a caldo, come se non ci fosse la concentrazione dei primi tempi sui piatti. Un calo di tensione proprio sulla cucina mentre in sala tutto ruota bene.
Come tutte le generazioni giovani Floriano e Isa non vogliono fare sconti al tempo e a chi non li capisce subito. E il Tempo si presenta oggi con un bivio: diventare ricchi e famosi o fare da traino a tutta la cucina salentina e meridionale? In una parola, essere cuochi influcer per social e tv ricercati dagli sponsor con il rischio di essere oscurati da qualcuno più figo di loro tra uno o due anni o essere avanguardia del proprio territorio ed entrare nella storia gastronomica come Alfonso Iaccarino, Gennaro Esposito, Cuttaia e Ciccio Sutano?
Come non comprendere il sentimento di rabbia quando i propri sforzi non sono compresi proprio da chi ci aspettiamo? Beh, è la provincia italiana, tutta uguale. Massimo Bottura raccontava la prima volta che ci andai con Licia Granello quindici anni fa che il pubblico modenese cercava solo tortelli con la zucca.
Certo in aiuto alla generazione di Bottura c’è il senso politico, del sociale, del collettivo che i millennials non hanno avuto la fortuna di vivere nella loro adolescenza e si trovano dunque a correre senza mai prima aver fatto allenamento su quanto sia difficile e complesso costruire il consenso su quello che si fa, e che non basta fare bene per essere riconosciuti bravi.
Cuochi veri o influenzer. Le due cose possono coincidere?
Per noi è difficile.
Prendiamo l’esempio della Campania che ha le stesse problematiche della Puglia per quanto riguarda il rapporto con la tradizione. Qui i due grandi innovatori, Don Alfonso e Gennaro Esposito, non hanno mai perso il rapporto con il proprio territorio, hanno alleggerito la cucina classica, ne hanno anche corretto gli errori tecnici grazie ad una conoscenza aggiornata, e l’hanno resa leggibile anche fuori dal contesto territoriale in cui è nata creando una cucina d’orto-mare unica al mondo e assolutamente moderna secondo i principi della dieta Mediterranea. Oggi entrambi i ristoranti sono diventati classici.
Perché avanguardia non è essere incomprensibili o seguiti da pochi, ma fare per primi ciò che alla fine tutti faranno.
In gastronomia il concetto negli ultimi tre anni è stato completamente stravolto e per avanguardia si sono intese cucine slegate dal territorio ma legate alle mode introettate, direi orecchiate, da altri paesi che, come ha più volte ribadito Ferran Adrià, non sono un movimento. Si è creato un corto circuito in cui i cuochi pensano che la critica ami i ristoranti con pochi posti, preferibilmente vuoti perché tanto la massa non capisce niente, slegati dal contesto territoriale e che per risalire la corrente della notorietà non debbano vincere la sfida del mercato ma affidarsi a buoni uffici stampa, raccogliere critiche favorevoli, partecipare a congressi e diventare brandizzati come un pilota di formula uno.
Ma un cuoco brandizzato è ancora un artigiano libero? Lavora per dare il meglio al cliente o a chi lo paga?
Ve la ricordate tutti la frase di Berton a Report, “Scelgo il grana e non il parmigiano per questioni di gusto?”.
RIVEDI IL VIDEO DI REPORT SU CUOCHI E GRANA PADANO
In poche parole portando avanti fino in fondo questa visione si passa dal teorizzare la libertà dal mercato, dalla clientela e dal territorio alla schiavitù dei prodotti che bisogna usare e pubblicizzare sulle giacche e negli spot tv. E’ questo il modello di cucina del futuro?
Non stiamo parlando contro la pubblicità, sia chiaro, ma di quella pubblicità che confonde comunicazione e informazione e in cui i ruoli non sono ben definiti e chiari a chi legge e a chi ascolta.
Queste bellissime parole le trovate nella prima pagina del menu dei Bros. E in questa cucina di prodotti non omologati la premessa viene mantenuta. C’è tanta energia in Floriana e Isabella che non si può negare loro ogni augurio di successo e di fama a cui anche noi abbiamo contribuito nel nostro piccolo con lo 0,00000001%.
A patto che questo risultato non venga realizzato CONTRO il territorio da cui si è stati generati. Vero, non c’è voglia di essere martiri, e le sirene sono tante, ma è necessaria una grande pazienza perché per essere credibili bisogna essere anzitutto forti e amati a casa propria.
In finale.
Bisogna andare dai Bros anche se sta diventando un brand?
Si assolutamente, è una cucina colta, vera e e non caricaturale, ricca di riferimenti non imparati a memoria ma vissuti e appresi in lunghi stage e con tanta esperienza nonostante la giovane età. Una cucina anche poco furba e ingenua, proprio perché ha verità da esprimere.
E’ questo il futuro della cucina? Sicuramente no. Ne sarà solo una espressione, quella più estrema, quell’avanguardia che va avanti senza preoccuparsi dei collegamenti logistici. L’importante è non pensare che questa sia l’unica strada percorribile e che tutto il resto è inutile.
Sarebbe dire che l’unica realtà dei vini italiani è costituita da quelli “naturali” che Ornellaia, Sassicaia, Tignanello non abbiano più niente da dire. Eppure anche loro sono stati avanguardia in un mondo di vini puzzolenti e pieni di solfiti. Ma soprattutto, se vai a vedere i dati capisci che per il mondo sono loro la realtà.
Tutti palati d’asino o grande presunzione di qualche figlio di papà che pensa che il mondo sia nato con lui?
Ristorante Bros a Lecce
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