di Raffaele Mosca
Esplorare la Borgogna in lungo e in largo attraverso la gamma onnicomprensiva di uno dei giganti del vino francese. Ecco cos’è che abbiamo fatto da Santovino a Roma.
Dopo la prima edizione italiana di Bordeaux En Primeur, Les Grands Chais di France continua la sua avanzata sul mercato italiano con dei rendez-vous dedicati alla Borgogna, terra promessa del vino mondiale che, nonostante i prezzi medi molto alti, continua ad avere un certo appeal dalle nostre parti. Insieme a Romina Romano, country manager del colosso della famiglia Helfrich, abbiamo assaggiato i vini di punta dei quattro brand borgognoni di GCF.
Le Grands Chais de France in breve
Con un giro d’affari che supera il miliardo d’euro e decine di milioni di bottiglie vendute ogni anno, Le Grand Chais De France, gigante del vino fondato della Famiglia Hellfrich nel 1978, è il primo esportatore di vino francese al mondo: si pensi che circa un quarto delle bottiglie di vino francese destinate ai mercati esteri sono commercializzate dal gruppo. Il colosso ha filiali in oltre 170 paesi: “ ogni settimana riceviamo dalla direzione e-mail con cui ci comunicano che abbiamo raggiunto un nuovo paese” ci spiega Romina Romano. Le vigne di proprietà ammontano a 3.300 ettari, di cui circa un quarto in Alsazia e il resto tra Borgogna, Bordeaux, Linguadoca, Sud Ovest, Ungheria e Spagna. Se ne ricavano vini per tutte le fasce: da quelli dedicati alla GDO come J.P. Chenet, uno dei brand più conosciuti del midì francese, al lusso accessibile di Clos Beauregard e Bastor Lamontagne nel bordolese, passando per gli effervescenti di Arthur Metz, il più grande produttore di Cremant d’Alsace.
In Borgogna gli ettari di proprietà della famiglia Helfrich sono 330 tra Chablis, Cote de Beaune, Cote de Nuits e Pouilly Fuissè nel Maconnais, per un totale di circa 600.000 bottiglie commercializzate ogni anno con i marchi Chartron et Trebuchet, Marguerite Carillon, Eugenie Carrion e Maldant-Pauvelot. Tra questi è il primo, fondato da Jean Renè Chartron e Louis Trebuchet nel 1984 e e rilevato dalla famiglia Helfrich nel 2017, a fare la parte del leone con una gamma che spazia da Chablis al Maconnais e volumi produttivi che permettono di annoverarlo tra le dieci più realtà più grandi della regione. Alle quattro realtà di proprietà si aggiungono, inoltre, i vini dalle botti acquistate alla famosa asta di beneficenza dell’Hospice de Beaune.
Facciamo il punto sulla situazione in Italia e Romina ci dice subito che non si tratta di un mercato particolarmente importante in termini di volumi assoluti, ma è tra quelli che più sono cresciuti negli ultimi anni (+9% nel triennio). “ È inevitabile che in Italia si dia la priorità ai vini e ai terroir domestici – spiega – ma una clientela che apprezza il vino francese c’è sempre stata e quindi i margini per crescere ci sono. Il nostro obiettivo non è tanto aumentare le vendite, quanto riuscire a detenere una quota importante dell’export francese in Italia.” Sul fronte della Borgogna, le bottiglie vendute nel nostro paese da GCF sono circa 89.000, per un valore di 510.000 euro, con una crescita del 36% rispetto all’anno precedente.
I vini
Si parte dalle bollicine, anche perché sono una delle specialità della Famiglia Helfrich.
Cremant Blanc de Blancs Extra Brut
Trascorre 24 mesi sui lieviti – 6 in più del minimo consentito dal disciplinare – e offre un perlage d’indubbia finezza, qualche tratto più dolce di frutta estiva a bilanciare l’acidità dritta, sferzante e una mineralità più chiara, più delicata di quella champenoise nel finale preciso, coerente.
Cremant Rosè Brut
Più morbido e polputo: sa di fragola, ribes, nocciola tostata. L’effervescenza è sempre fine e un lampo minerale va a bilanciare il frutto rosso appena candito. Sta bene sulla tartare di manzo con cialda di parmigiano, ma il dosaggio lo rende un po’ meno incisivo della versione bianca.
Passiamo ai bianchi fermi e si comincia con un quartetto da Chablis, l’enclave a Nord della regione, non lontano da Parigi, dove purtroppo, nel 2021, si produrrà pochissimo vino, perché le gelate hanno martoriato i vigneti. La linea aziendale è fare acciaio su tutti i vini tranne il Grand Cru, in modo tale da preservare la freschezza e renderli più beverini.
Eugenie Carrion – Chablis 2019
Didattico, lineare, centrato nella sua essenzialità. Sa di guscio d’ostrica, lemon curd, pesca noce e mandorla bianca. Scorre in bocca senza intoppi, leggero e salivante, come una limonata con un pizzico di sale.
Eugene Carrion – Chablis 1er Cru Montmains 2019
Un filo di spezie in più rispetto allo Chablis base, ma il profilo rimane fresco, citrino, leggermente crudo. C’è più morbidezza in bocca, con un ritorno di frutta estiva matura e un che di burroso, ma in chiusura torna la sapidità travolgente a condurre un epilogo di discreta durata.
Chartron Trebuchet – Chablis 1er Cru Beauroy 2020
Giovanissimo e pimpante, più floreale dei precedenti, con un solido impianto minerale-marino, un tocco di pietra focaia e un’idea lattica. L’acidità sferzante camuffa una buona struttura, che emerge più chiara in un finale burroso, non profondissimo, ma di bella pulizia.
Chablis Grand Cru Bougros 2016
È l’unico a fare legno – per la precisione piece borgognone nuove per 1/3 – ed evidenzia subito una materia esaltante, con le tostatura a fare da cornice a un bel mix di frutta secca e zafferano, ananas, la solita nota marina e un lieve accenno di sottobosco. E’ esplosivo, avvenente: parte morbido e burroso, ma poi esce fuori una sontuosa spinta acida che calibra la massa. Sul finale riecheggia una verve minerale da capogiro che spazza via i ravioli con pesto, mozzarella e guanciale e lo fa rientrare a pieno dritto tra i migliori tre vini della serata!
Chartron et Trebuchet – Pouilly Fuissè 2018
L’intruso nella batteria chablisienne: rivendica la provenienza da un territorio più soleggiato e meridionale, mandando avanti aromi di ananas e pesca gialla, limone candito e canella, con un bacio di tostatura derivante dal passaggio in legno di parte della massa. Sorprende in bocca con un guizzo di freschezza tagliente che smorza l’incipiente morbidezza dei ritorni fruttati e boisè. E’ la dimostrazione che i vini del Maconnais possono regalare grandi soddisfazioni a prezzi relativamente contenuti.
Procediamo con i pezzi da novanta della Cote de Beaune, la mecca dei grandi bianchi che spuntano cifre da capogiro. La selezione si concentra su Meursault e la montagna di Corton, che segna il confine nord della striscia di terra, ed è l’unico Cru ad ospitare vigneti esposti completamente a Sud.
Chartron et Trebuchet – Meursault 2017
Una versione agile e delicata di un vino generalmente noto per la ricchezza, l’opulenza burrosa dello Chardonnay nella sua veste più grassa. L’esordio è su toni affumicati e di nocciola tostata, seguiti da zafferano, lieviti in lisi, un’idea verde che non stona. Il sorso è preciso e dinamico: la massa c’è, il legno pure, ma tutto è messo a bada da una verve acida che regala un senso di pulizia non da poco.
Marguerite Carillon – Meursault 2018
Qui torniamo su di uno stile più classico: noce moscata, cannella, cioccolato bianco la fanno da padrone in un quadro di decisa ricchezza. Il sorso è soffice, cremoso, comunque ritmato da una discreta acidità, ma più segnato dal rovere d’affinamento.
Hospice de Beaune – Meursault 1er Cru Perrieres 2017
La particolarità dei vini dell’Hospice de Beaune è che fanno affinamento in legno completamente nuovo. La materia del 1er Cru, però, regge alla grande il rovere ed emerge chiaramente con toni affascinanti di erbe officinali, che fanno da preludio a cedro e lime, pietra focaia, zenzero candito e burro demi-sel. La tensione nervosa sostiene uno sviluppo comunque cremoso, avvolgente, che culmina in uno splendido finale balsamico e fumè.
Marguerite Carillon – Corton Charlemagne Grand Cru 2017
La finezza del Grand Cru subito a Nord della città di Beaune emerge chiara e forte e va a delineare un quadro ben diverso dai precedenti, con toni puri, adamantini di pera matura e papaya, menta, pietra focaia, un tocco di noce moscata. L’acidità sostiene un corpo pieno, che, però, si muove in bocca con straordinaria leggiadra, arricchito da un ritorno mentolato che rinfresca un finale lungo e aristocratico.
Si chiude con un percorso in rosso che va dalla Cote de Beaune alle grandi denominazioni della Cote de Nuits.
Chartron et Trebuchet – Volnay 1er Cru Clos de Chenes
Fuliggine e pot-pourri di fiori rossi, un accento boschivo e un frutto succoso, puro e cremoso, che ritorna centrale nello sviluppo aggraziato, floreale e agrumato sul fondo, con qualche lampo di spezia orientale a dare un carattere più “flamboyant”. Non ha la stoffa dei grandi campioni, ma la facilità di beva è straordinaria.
Hospice de Beaune – Volnay 1er Cru Santenots 2016
Stesso comune, ma il legno d’affinamento è tutto nuovo e la differenza si sente chiara e forte: emerge una parte speziata impetuosa – incenso, chiodo di garofano, noce moscata – che fa il paio con tratti più delicati di mirtilli schiacciati, violetta, sottobosco e caffè in grani. Il tannino è più incisivo e, insieme a una spinta ematica, smorza la cornice dolce del rovere e accompagna un finale riccamente speziato che lo rende più complesso, più profondo del precedente, ma anche meno immediato, più impegnativo da bere e abbinare.
Maldant-Pauvelot – Beaune 1er Cru Aigrots 2017
Grande fascino di una zona – quella attorno al capoluogo ella Cote d’Or– che è tra le poche dove si possono ancora trovare grandi vini che non costano un occhio della testa. Questo in particolare svela profumi soavi di kir royal e ginseng, tè nero, arancia rossa e pot-pourri. E’ fluido e aggraziato, con un tannino di raso e ritorni balsamici d’immensa piacevolezza. Splendido.
Maldant-Pauvelot – Alox Corton 2016
Timbro più scuro rispetto al precedente: è il primo della batteria in cui emerge la famosa nota “foxy” dei Borgogna vecchio stile insieme al frutto scuro e a un tono affumicato. Il sorso è più massiccio, un pelino più rustico, ma sempre di buona gradevolezza. Il tannino tosto allenta la presa nel finale carico di ritorni fruttati e minerali.
Chartron et Trebuchet – Chambolle Musigny 2017
Si va Cote de Nuits con gli ultimi due vini il primo è lo Chambolle Musigny, che solitamente è sinonimo di eleganza, leggerezza, ma, in questo caso, mostra una profondità tutt’altro che scontata, con la parte floreale e speziata – wasabi, incenso, sandalo – a farla da padrone e una verve sanguigna, ferruginosa che dà slancio alla progressione. C’è un anche tocco di dolcezza da rovere sul fondo, ma, nonostante questo, il sorso è molto scorrevole.
Chartron et Trebuchet – Gevrey Chambertin 1er Cru Champeaux 2017
Chiusura con un 1er cru dal village dove, circa un millennio fa, i monaci cominciarono a creare la prima gerarchia dei vigneti. Chambolle è a pochi chilometri, ma qui siamo in una galassia totalmente diversa, fatta di sensazioni scure, di bosco e di drupe, che sposano una mineralità profonda, scura e una cornice balsamica. Il tannino pulsa, l’acidità scalpita e il sorso, nel suo complesso, è un po’ indietro nella curva evolutiva, ma in prospettiva questo è il vino che può dare più soddisfazioni.
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