Blue Hill a New York, capire perché nell’11° ristorante del mondo la upper class in Usa preferisce mangiare come i nostri nonni

Pubblicato in: New York
Blue Hill, insegna

Blue Hill
75 Washington Place, New York 10011

Telefono +12125391776
www.bluehillfarm.com

Blue Hill. Avete due possibilità per provare la cucina di Dan Barber a New York.
La prima, una volta essere riusciti a prenotare (difficilissimo) è farvi un viaggio fino a Pocantico Hill, 45 minuti di auto da New York per raggiungere il Blue Hill at Stone Barns, il ristorante che ha fatto molto parlare di sé per essere balzato, in un solo anno, dal 48mo all’11mo posto della 50Best Restaurants del 2017.

La seconda possibilità, molto più comoda (anche se pure qui un pizzico di fortuna nella prenotazione aiuta) è la sede dove il Blue Hill è nato, nel 2000, a Greenwich Village, vicino a Washington Square (sì, proprio la piazza del celebre romanzo di Henry James).

E’ qui che Dan Barber ha cominciato a proporre la sua cucina fortemente orientata ai prodotti naturali e alla sostenibilità, fino ad avvicinarsi, oggi, ad un quasi totale autoconsumo. Siamo al principio del «good farming directly to the table», il buono della propria azienda agricola direttamente sulla tavola. Ben oltre la cucina dell’orto, insomma.
Da un lato una fattoria nel Massachusetts, dall’altra il centro alimentare agricolo di Stone Barns, laboratorio sperimentale di agricoltura sostenibile nato nel 1990: tranne il pesce, tutto ciò che viene cucinato proviene da questi due presidi. La filosofia (politica) alla base di questa nuova concezione di cucina è quella della «food citizenship», che vede nel cittadino responsabile ed informato su come un alimento nasce e cresce il protagonista del cambiamento del pianeta.
In attesa della rivoluzione, però, nei suoi ristoranti ci va l’upper class newyorkese, che sembra masticare foglie,  tuberi e radici con una certa soddisfazione.

Una sala elegante e raffinata dove tutto, dall’arredo all’atmosfera, è contrassegnato dall’understatement. Luci molto soffuse (e di conseguenza foto sofferenti, ahinoi), acustica perfetta, colori neutri. Solito super fornito banco bar all’ingresso, una sessantina di coperti un po’ stipati, a mo’ di bistrot, tra sedute ai tavoli e panche imbottite a muro. Candele bianche, peonie al loro meglio in questa stagione, un servizio giovane in grande equilibrio tra informalità e mestiere.

Ci sono due menu degustazione fissi, uno di 6 portate, che celebra i prodotti dell’azienda agricola del ristorante, a 108 dollari e l’altro, giornaliero, di 4 portate a 95 dollari (entrambi, vale la pena notarlo, riportati sul sito web del locale, fatto bene, completo di tutte le informazioni e continuamente aggiornato). La carta dei vini è adeguata allo stile e alla filosofia del locale, con una bella proposta anche alla mescita.

E veniamo ai piatti. Il biglietto da visita con il quale si comincia al Blue Hill di Greenwich non potrebbe essere più esplicito. Zucchini e piccole rape crude. Anzi. Nude e crude, così come vengono raccolte, da intingere in una salsa verde solo vegetale. Un ritorno al futuro, alla Terra. Pinzimonio 3.0.
I due starter provati sono entrambi di grande freschezza. Le fave solo accarezzate da fiori e frutta, soprattutto fragole, con la croccantezza data dai semi di girasole e la robustezza dal cheddar.

Grande spinta acidula al palato, con il cetriolo protagonista insieme alle amarene in una salsa fresca e pungente di rafano e pomodoro verde.

Il piatto di zucchini è tra i più indovinati, ancora una volta per freschezza e consistenza, grande trionfo della materia vegetale nonostante la presentazione in ‘stile carbonara’ con lardo e uova.

E persino un pesce un po’ scemotto come la platessa ritorna in vita con una salsa verde squisita fatta con i baccelli dei piselli, mandorle e portulaca.

Bella esecuzione delle carni nei main dishes. Il pollo, allevato all’aperto, libero e felice nella fattoria del ristorante, ovviamente sa di pollo. Accompagnato da foglie di cavolo cinese, basilico e mostarda di mele.

Squisito il maiale, leggero e tenero, ruspante solo nei bocconi con la crosticina che ricordano il boccone grasso della porchetta. Servito con spugnole, su una base di polenta di grano.

Chiusura con un dessert alle fragole e mandorle, dove la menta che si scopre solo con il cucchiaio è il vero cuore terragno che vince su tutto.

CONCLUSIONE
In conclusione un’esperienza che suggeriamo vivamente di fare. Per l’atmosfera autenticamente newyorchese, che si avverte quando più della metà delle persone ai tavoli potrebbero stare benissimo in un film di Woody Allen; per la concezione – e i sapori – di una cucina prevalentemente vegetale che guarda consapevolmente al futuro; per la sollecitazione curiosa di piatti che danno un colpo al palato e uno alla coscienza collettiva. Che di certo male non fa.

Conto sui 150 dollari.


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