Bianco, grazie. E non credo di essere l’unico a pensarla in questo modo sul tema. Per carità non che Haut Brion rouge sia un vino di secondo piano, questo assolutamente no, se penso a quel 1961 bevuto da Georges Blanc nel 1992 ancora mi vengono i brividi, e non solo perchè il giorno dopo tutte le mie certezze effimere furono di nuovo annullate, però la gamma di rossi bordolesi considerati di altissimo livello sono molti ( anche se non molto diversi quando il blend è simile) mentre i bianchi secchi fuori classe si contano sulle dita di una mano. Anzi, a me ne vengono in mente solo altri due oltre a questo. Gli altri due si chiamano Laville Haut Brion e Domaine de Chevalier. Fine e punto. Intorno tanti tentativi di assemblaggio tra semillon e sauvignon spesso fulminati da dosi eccessive di anidride solforosa che farebbe venire il mal di testa ad un cavallo o compromessi da pesantissimi elevage in barrique più o meno nuove .
Tra le emozioni più sorprendenti che si possono provare andando per Chateau nel Bordolese, ci sarà proprio quella di trovarsi di fronte una proprietà dalle caratteristiche diversissime da quelle tipiche del Medoc o del Libournais dove il paesaggio, la natura, i vigneti, i muretti, i piccoli villaggi , contribuiranno a comporre un puzzle di grande piacevolezza visiva prima ancora di ogni aspetto relativo alla qualità del vino. Insomma, in Medoc ci si può andare a fare una bella gita turistica tra vigne, castelli, scorci di Gironde o di Atlantico, appagandosi di ciò anche senza dover per forza entrare in cantina a bere un goccio di assemblaggi vari.
Quindi, andando a cercare Haut Brion con quelle aspettative si rimarrà per lo meno delusi se non avviliti nel vedere che la non smagliante periferia della non meravigliosa città di Bordeaux si sia quasi mangiata Chateau Haut Brion inglobandolo nel quartiere di Pessac, così come è accaduto per altri nobili vicini quali La Mission Haut Brion, Laville Haut Brion ecc…
Proprio la parte più a nord dell’appellation Pessac Leognan è rimasta dentro nella Banlieue bordolese, in un paesaggio urbano colmo di centri commerciali, immobili residenziali, officine, negozi e tutto ciò che al primo sguardo può sembrare assai incongruente con la fama giustamente riconosciuta alla denominazione. E’ vero il contrario, e cioè che l’espansione della città provocò la scomparsa di altri meravigliosi terroir, compromettendo una più larga diffusione della coltivazione della vite in quella zona, dove pare si potessero avere quasi ovunque buone o ottime possibilità di fare un vino d’eccezione.
Anche il clima è chiaramente condizionato relativamente dall’allargamento della città e del conseguente riscaldamento del microclima, pensiamo solo che Haut Brion e gli altri Chateau di Pessac stanno all’interno della Tangenziale di Bordeaux.
Tuttavia la vicinanza dell’Atlantico , la protezione della foresta delle Landes, la collocazione prossima sul 45° parallelo e un vicino corso d’acqua contribuiscono al cocktail di condizioni comunque favorevoli alla produzione di grandi vini.
Certo, quando si leggono commenti relativi a degustazioni di Haut Brion che individuano tra le specifiche caratteristiche il tipico gusto di fumè viene istintivo sorridere, come quando il solito spiritoso che affronta un bicchiere di Chateau Musar, proveniente dalla Valle della Bekaa in Libano, ci sente il chiaro sentore di polvere da sparo.
Un’altra curiosità è rappresentata dal comune limite geo-climatico simile a Barsac e Sauternes, e quindi favorevole allo sviluppo comportamentale del fungo Botrytis Cinerea che anche qui potrebbe attaccare gli acini come nelle zone più vocate per la produzione dei vini moelleux.
Ovviamente qui questa possibilità è combattuta perché comprometterebbe la riuscita di vini secchi, rossi o bianchi .
Il sottosuolo della denominazione conferma che qui la Garonna depositò in era terziaria una vasta varietà di sabbie, pietre e minerali che contraddistinguono un terreno tutto sommato “povero” , sul quale sopravvivono quasi unicamente la vite o la foresta.
Quanto ai vini di Chateau Haut Brion, ovviamente il più noto è il rosso, anche perché prodotto nel discreto numero di circa 130-140.000 bottiglie annue, affiancato dal secondo vino , il Clarence, già ben recensito dagli esperti che hanno avuto modo di apprezzarlo, mentre il mio favorito, il bianco, essendo ricavato da meno di 3 ettari di sauvignon e semillon è molto più raro e prezioso, ma vale la pena di tanto in tanto di osare, attendendo però qualche anno perché l’affinamento gli consenta di delinearsi e distendersi a lungo e mettersi nella condizioni di gareggiare su binari paralleli con i più grandi Montrachet.
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