di Tommaso Esposito
Nella cucina napoletana ci sono piatti a base di latte che hanno fatto storia, ma oggi sono pressoché dimenticati. Vincenzo Corrado, il gastronomo che fu cuoco del Principe di Francavilla sul finire del Settecento in una Napoli pervasa dallo spirito delle rivoluzioni europee, propone, ad esempio, una ricetta di Latte arrostito allo spiedo che, nonostante fosse di non facile fattura, doveva essere saporita e stimolante per il suo gusto molto speziato.
Così pure descrive creme e budini rustici di latte, addensato con amido, da mangiare come antipasti o veri e propri secondi: Verde alla Salvia, alla bieta o agli Spinaci; al Sangue di Maiale o di Agnello; all’Imperiale con i petti o i fegatini di cappone. Era una cucina di corte, insomma, pensata per i nobili palati e ispirata alla moda dei Francesi.
Ad essa guardarono anche i tanti monzù che governavano i fornelli nelle case non soltanto dei napoletani aristocratici. Essi dovettero prima o poi fare i conti con i maccheroni abbandonando gli gnocchi, cosiddetti alla milanese, ricavati dal semolino calato nel latte e conditi con burro, parmigiano, ricotta, uova, noce moscata timo e prezzemolo.
Nacquero così il Timpano di Maccheroni al Latte: un piatto sontuoso, di grande effetto visivo e dal sapore succulento per la copiosa quantità di formaggio della sua farcitura, e la Pizza di Tagliarielli lasciata ‘ndorare e arruscare al forno per far filare il ripieno di mozzarella e salame.
Poi con il riso di Salerno, decantato già nel 1500 da Giambattista del Tufo e che fino alla venuta dei Piemontesi si coltivava anche nel Regno delle Due Sicilie, è fatto il Sortù con il lattarulo, cioè le animelle. Sur tout, tutto su e quindi Sortù o Sartù dicevano, sintetizzando, i cuochi monsieur-monzù nel preparare questo riso bollito nel latte e poi tutto ricoperto del condimento prima di essere adagiato nella casseruola da infornare.
Nel grande ricettario storico partenopeo non manca la carne al latte. Jeanne Caròla tramanda la colardella di manzo steccata con prosciutto e il filetto di maiale lasciati sobollire con cipolla, sedano, carota, pepe e poi serviti con la crema ricavata.
Anche il baccalà ammollato trova spazio e si presenta come una pietanza sapida e saporita. Stupefacente infine è la quantità di semplici dessert e dolci al cucchiaio presenti nella pasticceria domestica. Si comincia con il Latte Mele del Corrado per guarnire i biscotti di pan di Spagna o con il Latte Bianco del Cavalcanti profumato di cedro, arance, limone. E si continua con le tante creme ai petali di rosa o alle spezie.
Ma si finisce in bellezza con il mitico Jancomagnare, il Biancomangiare, confezionato già dai pasticceri rinascimentali toscani, il quale nella cucina partenopea assume grande rilevanza al punto che, descrive il Vottiero nel suo Specchio della Cevertà del 1789, l’astuziuso, cioè l’astuto: «comme vedeva passà o jancomagnà, jev’ appriesso ‘nsì addò jeva».
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