di Fabrizio Scarpato
“Cavoli, siamo nei Colli di Luni o dove siamo?”
Certamente l’affermazione non è ortodossa dal punto di vista tecnico, tuttavia assolutamente efficace quando non è la scuola a prevalere, ma la passione e la competenza. E di fronte alla consapevolezza di uno scarto barbarico, lo smarrimento emotivo dello straordinario degustatore disegna con assoluta franchezza un mondo nuovo, traccia la suggestione definitiva. Sogno o son desto? D’altra parte non sappiamo esattamente cosa disse Newton quando gli cadde in testa un imprecisato numero di mele: forse smoccolò, certamente nell’immediato non si mise a strologare tra sé e sé dei massimi sistemi.
Qui nella mattina nuvolosa di Castelnuovo Magra non è caduta alcuna mela, forse qualche ananas, forse si sono spiaccicate le pesche bianche e gialle, sicuramente qualche fiore troppo profumato, ma certamente nel naso, in bocca, tra le ciglia e i capelli dello straordinario degustatore era improvvisamente arrivato il tanto sospirato vento salato del mare.
Eppure dal paese il mare lo vedi, è laggiù a pochi chilometri e lo straniamento è assoluto: tu sei lì nel piccolo Parco dell’Enoteca Regionale, tutt’intorno uno stormir di fronde dei boschi, lo sbrilluccicamento degli olivi, il rigore geometrico dei vigneti; ampliando il grandangolo tutto questo verde si va a confondere col blu del fiume e del mare, con la piana coltivata e la roccia, e potendo vedere attraverso le colline scorgeremmo le amiche pietre, il limo e il sale, il mescolarsi delle acque dolci e salate, il confrontarsi per escursione delle correnti fredde del nord con i venti provenienti dal Mediterraneo. E tu sei lì, piccolino, seduto di fronte ai tuoi quattro bicchieri, hai assaggiato una ventina di Vermentino, Colli di Luni of course, dell’annata 2011: hai saputo che è stata difficile, ma ti manca quella sacrosanta sensazione di beva, di sapidità, di scontrosità, ti manca una qualche venatura di amaricante, ti manca il contropiede gustativo, cerchi una qualche traccia di personalità.
Sono venuti da tutte le parti al Vermentino Wine Tasting, primo evento della due giorni dedicata al vino e all’olio dei Colli di Luni e in particolare al Vermentino come espressione di contiguità culturale nell’area mediterranea: giornalisti, degustatori, venditori, blogger, vignaioli, da circa un’ora mettono il naso in questi giovanissimi vini che sono belli, gentili, profumati, in qualche caso, giovandosi dell’altitudine o di una favorevole geografia, anche con accenti di sapidità e note amarognole, a dare equilibrio e lunghezza, per quanto possibile, non proprio quanto desiderabile. Qualcuno teme l’infanticidio, qualcuno, quorum ego, scalpita sfiorato dal dubbio di una filosofia galestreggiante, di una visione del Vermentino limitata alla fritturina, al pesciolino nemmen tanto salsato, secondo una linea di pensiero che potremmo rassegnatamente definire versiliesismo.
Il mio naso e il mio palato, che valgon ben poco, erano riusciti a memorizzare negli anni quella lama metallica, fredda e amara come l’acciaio, che ti trafiggeva nel Vermentino piu scapestrato, più disarticolato, difficile da governare ma vero. Gli ultimi tempi, per non dire di parole e storie raccolte nei giorni immediatamente precedenti, mi avevano mostrato che da quelle parti si cammina e si coltiva sul sasso e sul sale, e che sapendo aspettare, e sapendo coltivare, quella spada tagliente avrebbe potuto trovare il suo bilanciamento morbido e aromatico, senza disperdere la prontezza e la piacevolezza del sorso.
Saper aspettare. Le batterie della vendemmia 2010 sono lucide e brillanti e finalmente spolverate in superficie dal vento di mare. Lo senti, lo vedi. Il vino si stira nei calici, s’allunga indefinitamente in un finale dritto, la faccia al vento che porta con sé tutti gli aromi della macchia mediterranea, delle ginestre che punteggiano i sentieri. In un caso, laggiù, dove forse una breve macerazione ha rafforzato l’idea di territorio, per la prima volta s’avvertono inopinate esalazioni idrocarburiche. Saper aspettare, ancora. Scendere negli anni è come risalire alla fonte, alla sorgente, che è acqua di roccia che lava via il minerale, di una freschezza che fa salivare: esiti forse pericolosi per ricchezza si giovano del contrappunto di note balsamiche, di una pienezza mai opulenta, grassa ma non crassa, elegante e profonda, un carotaggio petroso nella terra della Luna, nella nostra cultura, nella nostra anima, nel saper fare di vignaioli attenti e partecipi. Si può fare, si può considerare con una visione illuminata, anche la possibilità di un’uscita a uno o due anni dalla vendemmia, il vino regge e dice molto di sé, racconta molto di noi.
Duemilanove, duemilaotto, sette, sei, duemilacinque: lo straordinario degustatore ora si commuove ma il cerchio della sua esclamazione provocatoria sembra essersi chiuso in una sorta di liberatoria consapevolezza collettiva, da coltivare, da comunicare, da sviluppare.
Sul mio taccuino rosso scrivo “tempo uguale diversità”. Tra le nuvole s’affaccia un timido raggio di sole. Salato.
Nota: lo straordinario degustatore è Marco Rezzano, delegato provinciale dell’Associazione Italiana Sommelier. Al termine di un’ impegnativa due giorni, qualcuno ha notato che le millanta bottiglie di Vermentino provenienti da tutto l’alto Mediterraneo terracqueo, dopo aver offerto il meglio di sè, si sono alzate in piedi in una riconoscente e vibrante standing ovation.
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