di Aldo Zilli*
In questi giorni il Guardian sta spiegando agli inglesi come vivono gli italiani. Purtroppo con il passare del tempo le differenze fra i popoli, dunque la ricchezza espressiva dell’umanità, vanno sempre più affievolendosi. E nonostante questo ci sono ancora curiosità da spulciare, diversità da registrare. Il giornale ha chiesto a un famoso chef italiano trapiantato a Londra di spiegare i suoi connazionali. Abbiamo pensato di farvi cosa gradita offrirvi la traduzione. L’originale lo trovate qui.
Dopo due osservazioni.
Quando venni in questo paese dall’Italia 30 anni fa non era proprio la lingua che mi scoraggiava. Era come se camminassi in un mondo completamente diverso. Nessuna delle cose a cui ero abituato era in vendita qui.
I macellai non avevano la carne che conoscevo, come il cinghiale, e i pescivendoli non avevano i tipi di pesce da me preferiti come la spigola, la rana pescatrice o le vongole.
All’inizio spesi molto tempo in costose ghiottonerie cercando di trovare gli ingredienti di cui avevo bisogno per ricreare pasti che avrei mangiato a casa, come la leggendaria pasta di mia mamma con il ragù di anatra.
Mi sentivo come se fossi in un paese che non aveva una
cultura del cibo – dovevo contare su prodotti italiani d’importazione come oli di tartufo, pecorino, cipolle di Tropea, peperoncino calabrese del Sud Italia e bottarga, un rotolo di pesce affumicato che viene grattugiato sulla pasta.
In Italia ogni pasto è una celebrazione. Gli italiani non mangiano qualsiasi cosa: sono così pignoli con quello che mettono sulla tavola da usare solo la pasta della migliore qualità. E noi non siamo solo esperti nell’ambito delle nostre quattro mura: gli italiani sono clienti meticolosi nei ristoranti poiché conoscono il loro cibo. Noi ricordiamo cosa va in ogni pasta a partire dall’andare al mercato come ragazzini.
La dieta italiana media è salutare: usiamo olio extra vergine di oliva piuttosto che burro, così è meglio per il cuore. Quando usiamo la salsa, non affoghiamo il cibo dentro: ho mangiato degli spaghetti con le vongole in Italia la scorsa settimana, e la salsa era così leggera che si poteva sentire il mare.
Naturalmente ci sono differenze da regione a regione. Nel nord mangiano più pizza, pane e carne bollita e a loro piace poca salsa nella pasta. A sud, d’altra parte, la dieta media consiste per lo più in verdure e pesce. Si mangia ciò che si trova sotto casa.
Ma una cosa è cruciale in tutto il paese. Quando mangiamo ci prendiamo il tempo necessario. La colazione, certamente, è veloce, spesso consiste in poco più di un espresso (sebbene le abitudini stiano cambiando e iniziano a includere frutta e yogurt). Comunque il pranzo viene consumato categoricamente seduti: nessuno si affretta o mangia in movimento.
Quando il mese scorso mi trovai a casa di mio fratello in Italia, questi tornò a casa per pranzo, si sedette, mangiò un antipasto misto, poi con comodo mangiò la pasta e infine della frutta e bevve un caffè. Dopo andammo a letto per un pisolino. Questo è il modo di fare italiano.
Nel mio paese natio nessuno porta a termine del lavoro tra mezzogiorno e le 15: gli uffici chiudono per pranzo. Il dessert è costituito di solito di frutta e/o gelato, sebbene ogni famiglia e ristorante abbia la sua versione di pan di Spagna. Il mio piatto preferito è l’affogato, gelato misto con caffè espresso: quando vado a casa ne mangio uno non appena atterro (nel mio viaggio di ritorno sono sempre un po’ più pesante).
Non tutti gli stereotipi sulle abitudini degli Italiani verso il cibo vanno seguite pedissequamente. Nel mio ristorante mi piace usare ricette tradizionali ma preferisco dare loro una piega moderna, come il maialino da latte. In passato lo avrebbero riempito di salsicce ma io lo taglio soltanto a metà e lo farcisco con rosmarino e aglio, così è più leggero.
Il cibo costituisce l’identità dell’Italia. Cibo, moda e caffè: questi ingredienti, in quest’ordine, per me sintetizzeranno sempre ciò che significa essere italiano.
*Aldo Zilli si trasferì dall’Abruzzo in Inghilterra nel 1976. Gestisce una catena di ristoranti italiani a Londra.
Traduzione di Novella Talamo
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L’articolo è molto carino e gradevole, ma facciamo un paio di notarelle a margine
Come tutti gli emigranti il nostro Aldo Zilli fotografa spesso una realtà un po’ immobile, tipo l’italiano dialettale di inizio Nocevento parlato dagli italo-americani
Come tutti sapete, soprattutto nelle grandi città, le cose sono nettamente peggiorate: è sempre meno il tempo che si dedica al pranzo e soprattutto si sa sempre meno quel che mangiamo perché non consumiamo più cibo di prossimità come avviene nella società rurali.
Resta vero comunque che in media gli italiani tengono al cibo e conoscono il prodotto in modo sicuramente più pignolo degli altri europei.
Infine Zilli marca un po’ troppo le sue origini abbruzzesi, perchè se è vero che nel Sud non si mangia(va) pasta, a Napoli era l’esatto opposto sin dall’inizio dell’800, con l’arrivo dei maccheroni dalla Sicilia. Ed è stato questo, come il riso per i cinesi, una delle cause dello sviluppo demografico che in quel secolo ne hanno fatto una delle città più popolose del mondo. Pasta e pasta cresciuta, ossia lievitata (pizze, pani). Questo c’era e questo c’è, sostanzialmente, ancora. Mentre è vero che nel resto del Sud è arrivata dopo e non a caso intere regioni, e tutto l’interno, hanno solo tradizione di pasta fresca, quella fatta in casa per la domenica. (l.p.)
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