di Raffaele Mosca
“Un’ora di buon porto fa scordare cento ore sfortunate”. Una perla di saggezza di Giovan Battista Basile, il padre di tutte le fiabe, che calza a pennello in un momento di contemplazione davanti allo scenario mozzafiato che si ammira dalla cantina dei suoi discendenti. Non siamo in Campania come si potrebbe pensare, ma nella terra d’adozione di questa famiglia che, dopo secoli trascorsi tra la corte borbonica e il palazzo di Giugliano in Campania, ha deciso di trasferirsi più a nord. “ Dopo aver vissuto infanzia e giovinezza in un centro urbano caotico e trafficato, abbiamo scelto di andare a vivere in campagna – spiega Giovan Battista Basile, omonimo del suo illustre antenato – mia sorella è venuta qui in Toscana in vacanza, ha girato un po’ e, proprio l’ultimo giorno, prima di ripartire, ha trovato questo vecchio casolare ai piedi di Monticello Amiata (comune di Cinigiano, ndr) e se n’ è innamorata. Così è cominciata la nostra avventura in Maremma.”
Un’impresa pionieristica, partita negli anni 90’ con l’apertura di una delle prime strutture agrituristiche della Maremma, Le Pianore, in tempi in cui il turismo green era considerato una roba per “figli dei fiori”. Poi la svolta vitivinicola di Giovan Battista, avvenuta qualche anno dopo sull’onda del grande successo di Montalcino, che si trova dall’altro lato dell’Orcia, a pochi chilometri in linea d’aria. Giovan Battista ha rilevato una tenuta che guarda le vigne del Brunello aldilà del confine di Cinigiano, con il castello di Poggio alle Mura (anche detto Castello Banfi) che s’intravede sullo sfondo; ha piantato vigne di Sangiovese, Vermentino e qualche filare di vitigni internazionali, dalle quali ha ricavato, pochi anni dopo, i primi vini afferenti alla DOCG Montecucco, istituita nel 1998.
L’occasione di visitare l’azienda Basile l’abbiamo con la presentazione di un progetto pensato per riallacciare i legami con la tradizione famigliare, legata alla memoria di questo intellettuale vissuto tra le fine del 500’ e l’inizio del 600’, il primo ad aver messo su carta le favole della tradizione orale napoletana. Si tratta della produzione di 24 bottiglie di vino da 1 litro e mezzo con un’etichetta speciale dedicata a Petrosinella, la fiaba che è stata fonte d’ispirazione per la Raperonzolo dei fratelli Grimm (protagonista dell’omonimo racconto pubblicato duecento anni più tardi). Un’idea che segue di pochi mesi un altro progetto di Pasquale Basile, fratello di Giovan Battista. Pasquale ha realizzato insieme a Treccani una versione a tiratura limitatissima dell’opera somma di Basile, “Lo cunto de li cunti, ovvero lo trattenemiento de piccirelle”, con illustrazioni di artisti di rilievo internazionale come Mimmo Paladino, Miquel Barceló e il collettivo russo AES+F.
Petrosinella, la ragazza dalla lunga chioma rinchiusa in una torre da un’ orca, dopo che la madre gravida aveva rubato del petrosino (prezzemolo) da un campo di proprietà della stessa, è il volto “alternativo” dato alle magnum dell’ Ad Adagio 2007, il vino più importante di Basile: 100% Sangiovese da vigne condotte in regime biologico, affinato quattro anni in tonneaux di rovere. Una delle punte di diamante di questo territorio che si estende su sette comuni ai piedi all’Amiata, dove oggi i produttori sono 70 e gli ettari vitati circa 800, per un totale circa un milione e mezzo di bottiglie a marchio Docg rivendicate ogni anno.
Un’interpretazione solare, carnosa del vitigno toscano par excellence, non troppo lontana nelle sfumature aromatiche dai Brunelli delle zone più meridionali di Montalcino – come Poggio alle Mura e Sant’Angelo in Colle – ma più austera, più mordente in bocca, soprattutto nelle annate fresche. Lo assaggiamo in verticale, alla presenza dell’ enologo Maurizio Saettini, pisano di nascita e senese d’adozione, che da diversi anni affianca Giovan Battista in cantina. Partiamo da una 2016 potente, con tannini giovanilmente irruenti, per arrivare alla prima annata, la 2006, ancora in perfetta forma, passando per una una 2009 di splendida finezza e una 2010 ricca, avvolgente. La 2007, contenuta nelle magnum di Adagio con Petrosinella, si trova, invece, nel suo plateau di massima godibilità.
Facciamo un giro anche a Le Pianore, struttura di green hospitality proprio ai piedi dell’Amiata. Un agriturismo aperto da maggio a novembre, con cucina e diverse camere, di cui due ospitate in una casa costruita esclusivamente con calce e paglia. E’ circondato da un bosco attraversato dal torrente Zancona, sulle sponde del quale si trova un volto scolpito da Emily Young, una delle più importanti scultrici contemporanee. “ É un monito ambientalista – ci spiega Filippo, nipote di Giovan Battista – una multinazionale voleva costruire delle centrali elettriche nella zona dell’Amiata, basandosi su di progetti obsoleti, non compatibili con l’ecosistema, che avrebbero depauperato le risorse senza portare nulla. Per fortuna, siamo riusciti a fermare il progetto con un ricorso al tar”.
Da qualche anno si produce vino anche a Le Pianore: Filippo vinifica le uve dei tre ettari di vigneto vicino alla casa, che si trovano a 500 metri sul mare – ovvero 120 metri in più delle vigne dell’Ad Adagio – e sono coltivate in regime biodinamico. Ne vengono fuori tre etichette: un bianco da blend di Vermentino e uve internazionali, un Sangiovese con taglio di Merlot e un 100% Merlot. Il più interessante della triade è proprio il Maremma Toscana Periodico, Merlot in purezza che travalica gli stereotipi sul vitigno con il suo profilo da vino d’altura, giocato su toni di mirtilli e giuggiole, lavanda, violette e cacao in polvere. Ha un sorso fuori dagli schemi: si fruttato, si vellutato, ma con acidità “montana” a dare slancio al sorso e un finale leggiadro, accattivante su toni balsamici e di erbe aromatiche. E’ un vino che racconta un’altra Maremma, meno mediterranea e più montuosa, che al momento fa poco rumore, ma potrebbe emergere come nuova frontiera in tempi di cambiamento climatico. Ha dato il meglio di sé nel corso del pranzo e della cena a base di gattò di patate, gnocchi con la provola, pizza di scarole, casatiello, accompagnata da brani di artisti venuti da Napoli che hanno reinterpretato in musica le favole di Basile. Un evento all’insegna della contaminazione tra due delle culture più “forti” del nostro stivale: un banchetto partenopeo alle falde della montagna che fu sacra per gli Etruschi.
La verticale di Montecucco Sangiovese Ad Agio di Cantina Basile:
2016
E’ l’annata più giovane in degustazione, ma mette ben in chiaro i connotati da Sangiovese da razza di questa etichetta con i suoi profumi di ciliegia nera e sottobosco, legno arso, qualche accento mentolato e tostato derivante dal passaggio in rovere. Ha un sorso largo e allo stesso tempo austero, con polpa e calore che riportano ai vini del sud di Montalcino, bilanciati da acidità salivante e tannini mordenti che hanno bisogno di un po’ di tempo in più per assestarsi. Mette insieme concentrazione e freschezza come i Brunelli dello stesso millesimo, che secondo molti è stato “il più grande da inizio millennio”.
2015
Timbro completamente diverso: molto più caldo e maturo, con aromi di liquirizia e terra bagnata che s’intrecciano a visciola, cacao in polvere, un cenno di caffè. Decisamente più disteso del 2016 e un po’ meno sfaccettato, ma rimpolpato da bei ritorni fruttati che lo rendono molto più facile da bere adesso. Ideale da stappare anche subito in abbinamento a delle costine di cinta senese o, scendendo o più a sud, a una braciola di maiale al sugo.
2014
Più sottile e leggermente evoluta: aromi terrosi ed ematici lasciano spazio a lavanda essiccata, composta di mirtilli, pot-pourri di fiori rossi e un tocco di conserva di pomodoro. Ha un sorso teso e longilineo, giocato sull’acidità squillante più che sul frutto, con tannini molto delicati e un finale balsamico di buona persistenza. Non male, se si considera che è stata l’annata più difficile del decennio.
2012
Forse il vino meno convincente della batteria: cupo e boschivo, tabaccoso e affumicato. Ha una bocca corrugata da un tannino un po’ asciutto, con finale ampio e caloroso, scandito da rimandi terragni e di frutta in composta. Da stappare seduta stante con una costata di chianina.
2011
Ritorno ad un profilo più integro, esuberante se vogliamo, scandito da rimandi alla marasca e al finocchietto selvatico, alla paprika e all’ origano. E’ più vitale e reattivo del 2012, con un tannino più tosto e freschezza adeguata a supporto, erbe balsamiche e spezie nel finale di buona profondità. Tra i migliori del line-up, sia ora che in prospettiva.
2010
Simile al precedente, con una parte fruttata anche più matura che ricorda marasca e susina nera, e poi chinotto, fiori appassiti, cenni di erbe disidratate. In bocca il tannino scalpita e dà grinta a una progressione rinvigorita anche da un refolo alcolico che amplifica i rimandi finali di erbe aromatiche e sottobosco. Un vino che, come da canone per l’annata, ha tanta polpa e tanta materia, ma la 2011 sembra un po’ più equilibrata in questa fase.
2009
Intensamente balsamico in apertura: eucalipto, tabacco mentolato, bastoncino alla liquirizia e legni aromatici. Coerente in bocca, quasi giovanile nei rimandi ai mirtilli freschi e all’arancia rossa, con tannini vivaci e acidità integra, frutto che emerge nitido e croccante a dar volume a un finale energico e raffinato. Anche qui, come a Montalcino, la 2009 è un’annata che riserva grandi sorprese.
2007
Apertura intensamente terragna e animale: sottobosco, tartufo, cuoio e pelliccia; poi cenni fruttati e di macchia mediterranea che tornano sul fondo di un sorso equilibrato, rilassato, ancora calibrato da buona acidità di fondo e da tannini levigati, con finale che insiste di nuovo su toni di erbe disidratate e humus. E’ il vino delle magnum di Petrosinella, classificato IGT perché allora Giovan Battista non era ancora entrato nella DOCG Montecucco; perfetto da bere adesso o nei prossimi cinque anni.
2006
Confettura di mirtilli e cuoio, terra bagnata e qualche cenno ematico. A un naso abbastanza evoluto corrisponde un sorso ancora molto energico, con acidità quasi giovanile e tannini abbastanza grintosi, ritorni più evoluti di tabacco e legno arso nel finale che ha mantenuto comunque una certa integrità. Era la prima annata “vera” – dopo una serie di esperimenti – e ha tenuto particolarmente bene. Francamente non sono tante le aziende che possono tirar fuori dall’archivio un vino dell’esordio così in forma dopo quindici anni.
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