Barolo Monprivato di Mascarello dalla A alla 2004 in sette mosse

Pubblicato in: Verticali e orizzontali

di Marina Ciancaglini

1970-2004, quasi 35 anni condensati in 7 calici contenenti altrettante annate di Barolo Monprivato di Mascarello. L’occasione unica già di per sé, lo è stata ancora di più per la presenza di Mauro Mascarello e per la possibilità di ripercorrere il tempo indietro fino al 1970, la prima annata del Monprivato. La felice congiunzione di circostanze è stata realizzata da Davide Bonucci e Marco Cum, durante la I edizione di “Il Barolo nel cuore”, altro evento a carattere monografico della stessa famiglia di “Sangiovese Purosangue”.

Sul Monprivato è già scritto e detto molto.  Parliamo di uno dei vigneti più famosi al mondo: una felicissima eredità marina che – in un fazzoletto di terra nel comune di Castiglione Falletto – in mano alla famiglia Mascarello, sovverte e scavalcata il concetto di semplice vocazione territoriale.

In sala, Mauro Mascarello, sacerdote della tradizione barolista e attuale guida dell’azienda, sembra emozionato. Una fisionomia particolare, che ricorda un uomo risorgimentale, unita a un modo di fare timido e uno sguardo vivo che lascia solo immaginare il rigore di una vita dedicata a un unico progetto, contribuiscono a lasciare a chi lo ascolta una sensazione di lievità.

2004

La “piccola” della batteria si sente già grande e, a onor del vero, così è. Un naso pulito e dinamico, agrumi, violetta, petali appassiti, liquirizia; in bocca una carambola di frutto, vivacità e freschezza che rimanda a un ricordo infantile di caramella selz.

2001

Serioso e austero, la piccola frutta rossa fa quasi fatica a emergere dalle note carnose e fumé ma poi ci riesce. Il tannino è quasi monolitico, temi di non liberartene fino a quando non arriva una sferzata di agrume che lascia a lungo una bocca che sa di buono.

1999

Cambio di registro. L’annata calda si traduce in maggiore dolcezza, zucchero a velo, tabacco, in muscolo ma non in toni sovra maturi.  Un volto inedito del Monprivato ma non la sua migliore espressione.

1990

Idea platoniana dell’eleganza applicata a un vino. Un Barolo che gioca in sottrazione più degli altri, non si concede subito. Poi, pian piano, compare lieve con petali di rosa appassiti e un frutto piccolo sottospirito, piomba in bocca con un tannino fine e dritto, per riconcedere dolcezza sul finale. Ti fa sentire amante più che amato, escluso più che accolto: tutti i presupposti per perdere la testa.

1985

Si presenta un po’ incerto, il primo impatto di lieve ossidazione abbandona il palco rapidamente. Una volta sgranchitosi le gambe e ossigenati i polmoni, si colora con un tono di arancio: agrumi, zenzero candito, un tannino vibrante ma sereno, caldo e accogliente.

1978

Nessuno è perfetto, questa annata (non parlerei di bottiglia, ne sono state stappate tre, assimilabili), a distanza di 36 primavere, non ce la fa. Un naso poco invitante, seppur in movimento, con guizzi di carne e agrume candito. In bocca si siede, a rianimarlo un tannino che rimane, comunque, di prima categoria.

1970

L’inizio di tutto, l’Uno. Come se fosse conscio del peso di questo ruolo, non poteva deludere e non l’ha fatto. Qui si capisce che con il Nebbiolo non ce n’è per nessuno, quando fa sul serio. I profumi sono nitidi, delle spennellate che danno vita a un quadro con i toni di liquirizia, di potpourri, di scorza di arancia candita. Il palato viene monopolizzato da un tannino che va su un binario unico con una freschezza sorprendente.  L’unico sforzo è cercare di fotografarlo nella memoria, all’inno del “chissà quando mi ricapita”.


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