di Pasquale Porcelli
Lasciando perdere la querelle se è una ricetta di riciclo oppure una preparazione ex novo, cosa di cui nessuno può averne certezza, ma probabilmente con un fondo di verità in entrambe le tesi, eccoci sui luoghi del delitto. In sostanza, origine a parte, questi Spaghetti all’assassina sono buoni o no?
Per saperlo siamo andati nella cucina di Pierino Lonigro al Sorso Preferito, là dove tutto è nato, perlomeno nella sua versione ristorante. E’ uno dei posti molto amati dai baresi, dove tra una battuta e l’altra , su richiesta, si può assaggiare il piatto “originale” quello creato dal suo inventore negli anni settanta che anche se con più anni ancora si aggira tra i tavoli del suo ristorante. Pierino appartiene a quella generazione di cuochi, gli chef non c’erano ancora, che hanno letteralmente costruito la cucina barese a fine anni 60 inizio settanta, con lui Francesco Vincenti della Pignata e Filippo Carella della Taberna a Carbonara, nomi storici ancora in attività.
Ma allora questi spaghetti?
Lonigro svela qualche segreto in occasione della presentazione del libro di Gabriella Genisi intitolato proprio al suo piatto e lo fa con grande semplicità e naturalezza aggiungendo che quella sera, siamo ad Eataly, avrebbe seguito personalmente la preparazione. Intanto, dice Lonigro; “gli spaghetti vanno calati nell’acqua bollente sino a quando perdono la loro rigidità altrimenti come fai a girarli” e poi subito in padella di ferro con sugo preventivamente preparato con soffritto di aglio e peperoncino e qui fate soffriggere aggiungendoci altro sugo diluito. Seguite rimestando il meno possibile sin quando la pasta non avrà assorbito tutto il sugo. A questo punto alzate la fiamma e lasciate abbrustolire leggermente. E’ un piatto solo in apparenza semplice, ogni esecuzione è una storia a sé, giocato sulla combinazione delle due consistenze dello spaghetto (fondamentale la sua qualità) abbrustolito ed al dente.
Nella versione del Sorso preferito aglio e peperoncino erano perfettamente equilibrati, il sugo completamente assorbito sino a formare una camicia qual e là abbrustolita con cottura perfettamente al dente. Un piatto dai sapori forti, che richiede molta attenzione e tempo nella sua esecuzione e forse questo spiega perché non ve n’è traccia nei menù ufficiali dei ristoranti più noti della città.
Un piatto underground lo potremmo definire, noto solo a pochi e che il giallo della Genisi ha portato alla ribalta.
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