Tavola Calda Da Umberto dal 1959
Via di Pozzuoli 16 – 18
Bagnoli – Napoli
Tel.081.5707040
Aperto: dal lunedì al venerdì 7,00 – 18,00 non stop
Sabato: 7,00 – 24,00 non stop
Chiuso: domenica
Ferie: settimana di Ferragosto
Carte credito: no – ticket restaurant: si
Siamo nel cuore di Bagnoli, ampio quartiere a nord ovest di Napoli, confinante con Fuorigrotta e Posillipo da un lato e con il comune di Pozzuoli dall’altro. È dunque, a pieno titolo parte dei Campi Flegrei. L’etimologia della parola Bagnoli è “luogo di bagni”. Bagnoli ha sempre avuto una vocazione balneare, poi venne l’Ilva (industria lavorazione vergella e affini, ovvero di barre di acciaio semilavorato, comunemente a sezione circolare, avvolta in matasse ottenuta per laminatura a caldo) e in seguito, nasce l’Italsider (Italia siderurgica).
Credo che valga la pena ricordare almeno la prima tappa di un piano che ha trasformato l’apparente leva di un sano sviluppo economico, in un micidiale susseguirsi di accadimenti volti alla distruzione socio – ambientale di un intero quartiere. Gli abitanti di Bagnoli non potranno più dimenticare gli anni in cui la sirena dell’ILVA scandiva la loro vita, la luce della colata pomeridiana arrivava di riflesso sin sopra la collina di Posillipo e l’acciaieria distruggeva la vita di tanti operai.
Era il 1904 la data del PECCATO ORIGINALE, “EVVIVA L’ACCIAO”, IL GOVERNO GIOLITTI DECISE CHE SI DOVEVA MODERNIZZARE UN PAESE CHE ERA ANCORA PREVALENTEMENTE AGRICOLO, INIZIA LA COSTRUZIONE DELL’IMPIANTO ILVA DI BAGNOLI, UN’AREA AGRICOLA VICINA AL MARE. Dopo oltre cent’anni, lo smantellamento degli impianti, la distruzione di un intero quartiere a vocazione turistica e condannato all’industrializzazione, nel 2002 nasce Bagnolifutura S.p.A. una Società di Trasformazione Urbana, nata per iniziativa del Comune di Napoli, con l’obiettivo di realizzare gli interventi di trasformazione e miglioramento. Nel 2006 viene restaurato ed aperto al pubblico il pontile nord dell’ex Italsider, lungo oltre 900 metri, la passeggiata a mare più lunga d’Europa,
davvero una bella soddisfazione per le migliaia di operai rimasti senza lavoro o, morti per incidenti.
La “vocazione” della zona, che nei primi decenni del secolo sembrava ancora avviata verso un futuro di stazione balneare e di villeggiatura, si è così trasformata nel destino di un anonimo quartiere di periferia industriale. Questo mio racconto socio- gastronomico del quartiere di Bagnoli, è stato preceduto da diverse chiacchierate con persone residenti qui da decenni , la storia è perciò, per la maggior parte, frutto delle testimonianze orali di Giuseppe Scepi , bagnolese d’adozione, classe 1935, Umberto Monaco titolare della Tavola Calda in Via Di Pozzuoli e dei componenti del Comitato Bagnoli Punto e a Capo , oltre che di un bagnolese doc, che vuol essere chiamato Samlet. Torniamo alla Bagnoli dei tempi di Umberto Monaco, i magnifici anni ’60, la sabbia di qui, essendo di origine vulcanica (come ad Ischia), aveva un grande potere curativo, specialmente in ortopedia, oggi purtroppo i “poteri” sono diventati ben altri, polveri sottili…
soltanto sul piccolo litorale Nord, quello verso Pozzuoli, si può almeno prendere il sole. Il mare è ancora inquinato, ma la sabbia è stata sostituita con quella pulita proveniente dalla Puglia ed è stata completata la bonifica anche in profondità: i lidi non contengono più idrocarburi e vi si può passeggiare o fare elioterapia senza timore di contrarre malattie. Il collegamento con la zona balneare del litorale bagnolese era garantito dalla fine dell’800, dallo storico tram, n.1,
che collegava la città, da Poggioreale a Fuorigrotta, passando per le Terme Apollo di Agnano, fino a Bagnoli dove stazionava alla cd. fermata “Dazio”, (dove ancora oggi c’è un deposito di autobus) per poi proseguire verso il litorale “La Pietra” e Pozzuoli. Ormai, i binari sono stati coperti da circa 40 anni. Dal 1997, il n. 1 non arriva più a Bagnoli e la sopravissuta tratta da Piazzale Tecchio viene smantellata dopo pochi anni. I primi ricordi degli intervistati, compreso Umberto Monaco, sono quelli degli anni ’40, i ricoveri per proteggersi dalle bombe: quello abituale era in via Acate, la parte alta di Bagnoli, nel seminterrato del palazzo della Famiglia Tarallo, poi, quando le bombe cadevano a pioggia si correva sotto il tunnel che portava da Bagnoli a Pozzuoli. Verso la fine della guerra, i tedeschi s’insediarono nella base Nato, le loro abitazioni erano tutte dipinte di verde, a forma di alberi, per evitare di essere individuate, ma un ricognitore inglese riuscì nell’impresa e dette l’ordine di “bombardare a tappeto sulla linea ferroviaria”. Purtroppo gli americani sbagliarono ferrovia e il 24 agosto del 1943 ci furono molti morti a Bagnoli. I tedeschi andarono via spontaneamente, a Bagnoli non ci furono gli episodi di rivolta che videro Napoli protagonista delle Quattro Giornate. I primi americani arrivarono qui nel ’45 e con loro anche un po’ di benessere.
Fino alla fine degli anni ’60, esclusi gli anni della guerra, Bagnoli brulicava di stabilimenti e sorgenti termali, meta del popolino, se e quando poteva, e della Napoli nobile e borghese che frequentava l’hotel – Lido Tricarico, oggi sede dell’Istituto Alberghiero Gioacchino Rossini.
Nelle vicinanze c’èra il “Lido delle Sirene” e in piazza Bagnoli, c’erano i bagni termali. Don Amedeo Masullo era il proprietario dello storico Lido Fortuna di Bagnoli, che insieme al Lido Nettuno era il più economico per le famiglie, quello dove i ragazzini, finita la scuola, si calavano dai pali lungo la spiaggia per entrare alla chetichella, poi, in agosto le famiglie affittavano la cabina per la villeggiatura che raggiungevano in tram, gli “scugnizzi”, invece, arrivavano al mare “appise ‘o tramm”.
Sempre in piazza Bagnoli c’èra un piccolo lido con pensione e terme: la Pensione Cotroneo. Curiosando negli archivi dei quotidiani di città, ho trovato la storia di una donna che, qui a Bagnoli, evirò l’amante, colpevole di averla abbandonata all’indomani del matrimonio con un’altra. La pensione Cotroneo, teatro della vendetta, non esiste più, ma all’epoca, fine anni ’60, Napoli divorò ogni briciola della vicenda :)).
Viceversa, le famiglie più ricche prendevano in affitto, oltre alla cabina negli stabilimenti più eleganti, anche le eleganti villette stile liberty per trascorrervi i mesi estivi. Qualche esemplare di queste costruzioni, sopravvissute allo scempio edilizio del dopoguerra, si può ancora ammirare nel cuore di Bagnoli.
Erano gli anni in cui si cominciava a leggere i giornali: il Risorgimento, il Corriere di Napoli, il Roma, Napoli Notte, Il Mattino e Sport Sud, il cui direttore, Gino Palumbo se ne andò a Milano a lavorare per il Corriere della Sera. Bagnoli era dunque un vero e proprio centro di villeggiatura, chi poteva si permetteva svaghi e cinema: proprio in piazza, a pochi metri dal locale della famiglia Monaco, c’èra il “Ferropoli”,
in Via Giusso vicino l’odierna metropolitana c’era il “Cabiria” che d’estate diventava cinema all’aperto e, su Viale Campi Flegrei, c’èra il “Roma”. Ancora, il “Terme” in via Nuova Bagnoli e il Cinema Teatro La Perla che ancora resiste. I ragazzini di Bagnoli degli anni ’45 – 50, giocavano per strada, al mitico “ mazza ‘e piveze”: consistente nel lancio e nella respinta per mezzo della mazza, di un legnetto dalle estremità appuntite (‘o pivezo).
Quest’ultimo, adagiato per terra, veniva battuto con la mazza e così saltando doveva essere colpito a volo (mazzecato) per inviarlo al compagno il quale, ribattendolo con la propria mazza, lo rispediva al lanciatore. Il gioco, ancora oggi praticato nella Napoli popolare, o, insegnato da qualche saggio genitore ai propri figli, vanta origini remotissime, sue tracce sono state ravvisate in affreschi di epoca etrusca e romana, mentre lo stesso nome con cui è chiamato in lingua – la lippa – sembra discendere dal caldeo halip che significa lancio. L’altro gioco era naturalmente il pallone, prima di carta, poi di pezza e, con l’arrivo degli americani, di gomma piuma. Gli allievi del magistrale Virgilio di Pozzuoli, classe ’47 – ’48, tra questi Giuseppe Scepi e, una classe avanti a lui, Sophia Loren, si riunivano nelle case di chi possedeva il mitico giradischi con i 45 e 33 giri, si ballava con i genitori sulla porta che facevano da “cani da guardia”. Ad una delle feste del sabato, a casa di Scepi arrivò anche Sophia Loren con la sorella.
Il bar di riferimento era La Fonte del Gelo, oggi San Domingo in Viale Campi Flegrei, qui ogni tanto, tra un palazzo e l’altro, veniva ad esibirsi “Arturo sul filo” un equilibrista che dava spettacolo per pochi spiccioli.I negozi e le attività commerciali storiche sono praticamente scomparse, resistono il Ferramenta Correale che vende ogni sorta di utensile dal 1958, Umberto Monaco con la sua tavola calda – trattoria dal 1959
e gli accattivanti profumi che salgono da Via di Niso, sede della panetteria Rescigno. E’ scomparso invece il mitico uomo che, nel 1965 si metteva a metà di Viale Campi Flegrei con il suo pianino e vendeva ai ragazzi caramelle, fumetti, cianfrusaglie varie e qualche disco. Intorno al 1968, aggirandosi per Bagnoli, si poteva ascoltare della musica proveniente da uno scantinato: qualche anno dopo l’autore di quella musica divenne famoso in tutt’Italia: Edoardo Bennato. La Tavola Calda Umberto dal 1959 si trova ad un centinaio di metri dalla zona del cd. Dazio,
confine tra Napoli e il comune di Pozzuoli e di fronte al Museo del Mare di Napoli, all’interno dell’Istituto Nautico Duca degli Abruzzi, una volta sede de La Ravaschieri, una struttura parasanitaria, dove i bambini disabili respiravano aria buona e si esponevano al sole, accuditi dalle monache. Il Dazio è stato per anni la fermata dei tram, oggi stazionamento degli autobus, ma, storicamente era il luogo, dove tutti i carretti trainati da asini e cavalli i che entravano in città per vendere merci, dovevano fermarsi per pagare la “bolletta”. Queste casupole erano posizionate presso tutte le porte d’ingresso a Napoli, nel Regno di Napoli esistevano ben 245 posti di pedaggio. Fino al 1809 sul vino che si importava nella città di Napoli si riscuotevano due dazi, uno detto di consumo che andava nelle casse comunali e un altro d’immissione che costituiva tariffa doganale e accresceva la rendita dello stato.
L’Istituto Tecnico Nautico “Duca degli Abruzzi” vanta una storia pluricentenaria. Nel 1904 acquista una sede propria in via Tarsia, fino al 1983 quando si trasferisce a Bagnoli. Qui, dieci anni dopo, viene istituito, per merito del direttore
Prof. Antonio Mussari, (cliente abituale di Umberto) Il Museo del Mare di Napoli, che nel 2008 viene riconosciuto come Museo di interesse regionale. “In un museo come questo, ognuno può dare ali alla fantasia ed entrare nell’immenso universo del mare; poiché il mare è la più antica fonte di vita, è un orizzonte esteso sul mistero, è una porta aperta sui sogni che si concretizzano sull’acqua.
“Gli oggetti che esso contiene si animano e per incanto l’avventuroso diventa Capitan Nemo, il navigatore Colombo, il pescatore Achab, il bambino Peter Pan, il concreto ingegnere e gli ospiti di questo Museo diventano tutti Capitani”. Praticamente sconosciuto alla maggior parte dei napoletani, il Museo del Mare è aperto tutti i giorni ad ingresso libero e vuole essere il punto di riferimento e strumento di valorizzazione del patrimonio culturale marinaro diffuso in molta parte del tessuto sociale e territoriale della Campania. La conservazione e la trasmissione della memoria storica della marineria della Campania costituiscono la principale mission. Il patrimonio che il Museo intende recuperare e salvaguardare è rappresentato dalla più varia documentazione marittima: fotografie, libretti di navigazione, diari di bordo e quant’altro legato alla vita della Gente di Mare.
Oh, finalmente torniamo a parlare della famiglia Monaco, ovvero di cibo.
Umberto, Concetta, Pasquale e Giuseppe Monaco, in Via di Pozzuoli a Bagnoli, quartiere “operaio” della periferia napoletana, ci sono praticamente nati, a poche centinaia di metri dal loro locale. Il capo famiglia, in divisa immacolata, cominciò a lavorare da ragazzo, come garzone della storica rosticceria – tavola calda Pizzicato, che si trovava in Via Medina all’angolo con piazza Municipio a Napoli. Il grande negozio era un punto di riferimento per i ragazzi degli anni ’50, dove per pizza fritta con la ricotta e birra in 2 si spendevano 50 lire, in pratica, il fast food di oggi, ma altro che hamburger e patatine. Poi, quasi 50 anni fa, il matrimonio con Concetta, la famiglia si accrebbe e, a Bagnoli, una delle poche opportunità fu accettare di lavorare in mensa per una delle ditte all’interno del complesso Italsider. Alla fine degli anni ’50 la ditta andò via da Napoli e Umberto decise di restare. Complice la stagione del boom economico, dei lidi balneari e della Bagnoli luogo di villeggiatura e relax per i napoletani, Umberto decise di aprire la rosticceria con qualche tavolo e tanto asporto, al bancone tutti i pezzi classici del fritto napoletano: pizza fritta, crocchè, arancini, scagnozzi e paste cresciute. Si lavorava tanto e la sera si aspettava la fine del secondo spettacolo per vendere l’ultima frittura da prendere al volo, “frjenno, magnanno”.
Dopo qualche anno, nel 1963, visto che le cose andavano piuttosto bene, la famiglia decide di aggiungere anche l’insegna “Tavola calda – Cibi Cotti”, associando alla rosticceria, i piatti tradizionali della cucina napoletana. La sera, prima di chiudere, Umberto attraversava la strada e portava tutto il cucinato non venduto ai ragazzi disabili della “Ravaschieri”. Umberto, Concetta e sua sorella Antonietta hanno lavorato a pieno regime fino all’inizio degli anni ’80, poi sono stati affiancati dai figli Pasquale, per tutti Lino, e Giuseppe, detto Pippo. Oggi Umberto comincia alle 7,00 di mattina e rimane fino al primo pomeriggio, Concetta invece, scende il pomeriggio per dare una mano nella scelta del menù, la lista della spesa e la pulizia di montagne di verdure fresche.
Frutta e ortaggi arrivano da un noto fruttivendolo di Bagnoli, il pane è di un forno a legna della vicina Quarto, i latticini sono dell’aversano, la carne è della zona, il pesce arriva fresco dal mercato di Pozzuoli che è a due passi, il baccalà è del baccalaiuolo di fiducia del mercatino rionale. Formaggi e salumi vengono ordinati ad un distributore specializzato, il vino è del beneventano. Piacevoli aglianico e falanghina da bere rigorosamente nel vecchio, caro, bicchiere da osteria.
La scelta del menù è praticamente interminabile. Ogni giorno ci sono quattro primi piatti pronti, il resto se possibile, folla permettendo, si cucina al momento. Gli antipasti spaziano dalle bruschette, al misto mare, alici marinate, prosciutto e mozzarella e gli immancabili sfizi di fritto napoletano. I primi piatti del giorno comprendono sempre uno al forno,
tipo fusilli con melanzane al forno e poi orecchiette con i broccoli, pasta e cavoli e gnocchi alla sorrentina. Naturalmente è sempre possibile ordinare la pasta al pomodoro.
L’elenco dei primi che si alternano durante la settimana è notevole: pasta al forno, penne alla siciliana, sartù di riso, rigatoni con ricotta o al grattè, cannelloni, lasagne, riso e carciofi, genovese, timballo di maccheroni, fagioli e scarole, pasta e patate con provola, pasta e lenticchie, ceci, o fagioli con o senza cozze, in estate, insalata di riso o, di pasta. La scelta dei secondi di carne è altrettanto tradizionale: carne arrosto, salsicce alla piastra, carne alla “pizzaiola”, scaloppine, cotolette di pollo o, di carne, polpette al ragù.
L’offerta di pesce è semplice, si limita a piatti semplici, poco costosi ma molto buoni: polipetti alla Luciana, seppioline in cassuola, alici fritte o in tortiera, baccalà fritto, stocco lesso con le olive, frittura di calamari, insalata di polpo, merluzzo lesso, dentice al forno con patate.
Sconfinato l’assortimento dei contorni. Peperoni in padella, peperoncini verdi fritti, melanzane al filetto di pomodoro, funghi trifolati, carciofi alla Giudea, parmigiana di melanzane, parmigiana di carciofi, friarielli, frittata di cipolle o di melanzane, zucchine alla scapece o sott’olio (fatte in casa) patate al forno o fritte, insalate miste di ogni tipo, con aggiunta di polpo, o provola, prosciutto e formaggi.
Poi le verdure per chi è a dieta: carote, zucchine, cavolo, broccoli, carote rosse, spinaci e fagiolini lessi, peperoni all’insalata e verdure grigliate.
Il menù si completa con la proposta dei piatti sempre pronti e dei piatti unici, ovviamente a seconda della stagione: Insalata caprese, provola alla piastra, cotolette di pollo e contorno, polpette parmigiana di melanzane, salsicce e friarielli, porchetta di Ariccia e contorno, hamburger e patate al forno, insalata tonno e pomodorini, freselle al pomodoro in vari modi. C’è poi il cibo da strada napoletano: crocchè, arancini, montanara, focacce e le cd. “marenne”: sfilatini o pane cafone con ripieno a scelta, salsicce e friarielli, carne alla pizzaiola, carciofi o melanzane e provola,
e persino, l’aberrante wurstel e patatine per qualcuno dei ragazzi delle scuole vicino, fortunatamente, mi dice Lino, stanno imparando a mangiare i nostri piatti tradizionali e, allo stile “Mac Zaia” preferiscono un sano sfilatino “sasicce e friariell”. I dessert sono di casa o arrivano dalla nota pasticceria San Domingo. Si chiude con frutta fresca di stagione del vicino mercato rionale e un fantastico caffè, al vetro rigorosamente amaro.
Il quid € è strabiliante: dall’antipasto al dessert con vino della casa da 13 a 15 euro, un esempio? Bruschette miste, prosciutto e mozzarella, cannelloni, salsicce e friarielli e vino della casa = 13 euro. Come fossero in pensione i clienti abituali si fanno mettere da parte il vino non consumato per il giorno dopo.
Il sabato sera Lino offre un menù “fisso” a 15 euro: antipasto di bruschette miste, medaglioni di melanzane, sfizi misti e tris di mare; un primo a scelta tra paccheri alla pescatora o trofie melanzane e provola; per secondo frittura di gamberi e calamari o alici fritte con insalata mista; vino della casa, dessert e digestivo. Uscite da Napoli e non ci mangiate neanche una pizza.:) La sala è accogliente e luminosa, un ampio banco vetrina e per l’asporto, una decina di tavoli ricoperti da pratiche cerate a fiori. I clienti sono per la maggior parte abituali, per loro è come tornare a casa ad ora di pranzo, magari la mattina prima di andare al lavoro, si fermano per un caffè e chiedono cosa si mangia.
Verso le 13 e 30 arriva l’esercito delle “marenne”, è l’orario di uscita da scuola. In cucina papà Umberto da il “la” dalla mattina, è molto ordinato, pulisce e mette al suo posto ogni cosa, ha ereditato la passione per la cucina da sua madre, Maria Grieco, figlia di proprietari di “paranze” ( barche da pesca) di Pozzuoli.
Intanto, Donna Concetta con una “santa pacienza”, ingrediente fondamentale in cucina, come nel matrimonio, (ha sposato Umberto quasi 50 anni fa) monda una montagna di freschissimi friarielli. Verso le 16 Umberto e Concetta “levano mano”, lasciano il campo ai figli Lino e Pippo e a Giovanni che lavora con la famiglia da quindici anni. Vanno a casa tranquilli: “ ‘e uagliune sanne faticà”, hanno imparato da quel vecchio detto napoletano: ” ‘o sparagno nun è mai guragno” ( il risparmio non è mai guadagno).
Di Giulia Cannada Bartoli
Dai un'occhiata anche a:
- Da Marino al St. Remy a Cagliari e la cucina di mare di Silvana Sardu
- Oltremare Rooftop: il ristorante dell’ Hotel Due Torri di Maiori. Chef Alfonso Crisci
- Buatta a Catania, il ristorante orientato al binomio comfort food – influenze internazionali
- Botania Relais & Spa, un’oasi di gusto e benessere, in un’atmosfera bucolica ischitana
- Ristorante Da Antimo a Porto Cesareo: la certezza nel Salento jonico dal 1957
- Magnolia, dove mangiare e bere bene a Chiaia
- Le terrazze di Calamosca cucina sarda futuribile
- I love Tartare Fish Bar, Pescato d’Amare