Qualche giorno fa tornava sul palco di Madrid Fusion, per la prima volta dopo la chiusura di El Bulli, Ferran Adrià. Come ha ben raccontato Antonella De Santis, nel suo articolo, questo intervento ha avuto l’effetto di una scossa tellurica sulla sonnolenza di certa gastronomia rinchiusa su se stessa. Proprio da un palco di un altro congresso, quello che allora si chiamava Lo Mejor de la Gastronomía, organizzato da Rafael García Santos, il cuoco catalano, sanciva al grande pubblico, quello che era un movimento gastronomico partito una decina d’anni prima: “L’Avanguardia gastronomica”.
Da congresso a congresso sono passati poco più di vent’anni. In questo ventennio, che in effetti ha rivoluzionato il mondo della cucina, si sono imparate nuove tecniche, il sifone, la sferificazione, le cotture sottovuoto e a bassa temperura etc. ma soprattutto lo stesso Ferran ha avuto il merito di far ragionare i cuochi in una maniera diversa, lonatano dal modello imposto dall’alta cucina francese. Dal Palco di Madrid, probabilmente, Ferran Adrià ha aperto una nuova fase della gastronomia.
“L’avanguardia non dura 25 anni!”. La nuova tappa è la conoscenza.
Per essere franchi, pur restando dei grandi ristoranti, posti come Diverxo, del talentuoso chef spagnolo David Muñoz, divenuto famoso al grande pubblico per un video che recitava “Avanguardia o Muerte”, ci sembrano più dei musei d’arte contemporanea, dove si cristallizza il movimento, più che un laboratorio di nuove idee, o meglio ancora un laboratorio che indica il futuro prossimo del cibo.
Non è del cuoco il fin la meraviglia, no. Ci può divertire, stupire. Ma la gastronomia è soprattutto conoscenza del prodotto, della visione d’insieme, del saper collegare passato e futuro.
Tranni alcuni casi, che confermano l’eccezione, la cucina d’autore in Italia non vive un momento esaltante. Non ci sono molte idee in giro, peggio ancora non ci sono molti clienti disposti a spendere senza motivo. Le cause sono molteplici.
Allora a stupirmi è Salvatore Tassa, anzi il rivoluzionario Salvatore Tassa. Un pranzo alla Colline Ciociare, che mi ha fatto riflettere e pensare molto, soprattutto dopo aver provato le pappardelle con cipolla e zafferano. Uno dei piatti storici di Salvatore. Un piatto che ho mangiato varie volte. Dopo il primo boccone dico a Salvatore: “Sono più buoni del solito! Una delle cose più buone provate negli ultimi tempi”. Il gusto era preciso, si sentiva la pasta, il gusto delle cipolle era intensissimo, lo zafferano appena accennato allungava il gusto, una grattata di formaggio, forniva la sapidità. Salvatore sorridendo mi risponde: “Non c’è burro, la cremosita è data dagli zuccheri della cipolla, perchè è trattata in crioestrazione”.
Da qui le riflessioni e il collegamento con le parole di Adrià. Conoscenza. La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenute attraverso l’esperienza o l’apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l’introspezione. Per usare il pensiero del più grande giornalista del Novecento italiano Indro Montanelli: “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”. In questi due concetti, secondo me, c’è la strada che porta al futuro.
In questo piatto c’è la sapienza antica e la tradizione di saper fare le pappardelle, tagliate al momento, una cultura tutta italiana, quella cultura che le nostre nonne ci hanno tramandato. C’è il legame con il proprio territorio, segno distintivo di tutte le grandi cucine del mondo, da Maido in Perù al Geranium a Copenaghen, quell’appartenza e diversità, che hanno rivoluzionato al pari della tecnica, la cucina mondiale.
C’è l’avanguardia più spinta, la crioestrazione della cipolla, fino a ricavarne gli zuccheri, che poi serviranno a dare un gusto “pulito” e intenso al piatto e soprattutto, zuccheri che serviranno a formare quella cremina, senza aggiungere grassi. Perchè nel futuro dei cuochi non c’è solo fare un buon piatto, ma temi come la salute a tavola, l’etica, la sostenibilità ambientale ed economica, sono temi sempre più centrali nel mondo della gastronomia.
Mi è sembrato di vedere il futuro della cucina italiana, mangiando questo piatto. Un futuro fatto delle nostre tradizioni. Un futuro fatto dove i grassi saranno sempre di meno. Un futuro che conosce perfettamente il proprio passato e le proprie tradizioni, che non le rinnega, ma le aggiorna, usando la tecnica. Un futuro fatto di golosità e di godibilità del piatto, perchè il cibo, deve sempre parlare alla pancia.
Il futuro è figlio della contiminazione, senza dubbio, ma anche del proprio passato. Vedo sempre di più nelle cucine dei giovani cuochi, yuzu, salsa di soia, wasabi, rape rosse, per carità che ben vengano, ma senza rinnegare aglio e cipolle, da sempre le basi della nostra cucina, ed è propio questo forse il padosso della cucina italiana in questo momento. Un futuro in cucina più umanistico e meno ingegneristico.
Lunga vita al rivoluzionario Salvatore Tassa, lunga vita alla cucina italiana d’autore.
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