Via Teodoro Mommsen 11
(per il Tomtom ex Via Appia III Traversa 7)
tel. 0825.622564
www.laviadelletaverne.it
Aperto Sempre
Chiuso lunedì a pranzo; domenica a cena
Sui 35 euro.
di Tommaso Esposito
Una bella idea ha avuto Franco Pedace quando ha preso su di sé il carico del ristorante che ormai languiva.
Tutto giù, pareti e cucina.
E ha fatto rinascere un pezzo di Napoli che fu.
Quella delle taverne e delle osterie descritte dai viaggiatori stranieri tra Settecento e Ottocento e finanche da Di Giacomo.
Via la sala grande: soltanto piccoli spazi raccolti intorno ai tavoli dove un po’ la Tabella, un po’ le stampe o i quadri riprodotti ti fanno immaginare di essere al Cerriglio oppure alla Fontanella.
Tra i fornelli c’è Rosaria Canò, una cuoca di solida esperienza.
Perciò si poteva tentare quello che si è fatto: proporre la tavola imbandita al tempo dei Borboni.
Ricettario alla mano: quello di Vincenzo Corrado che fu cuoco del Principe di Francavilla in una Napoli pervasa dallo spirito delle rivoluzioni europee, ma poi a lungo governata da Ferdinando e Maria Carolina.
Corrado fu grande giacché per primo guardò al territorio: compilò infatti, insieme ai manuali, la prima rassegna delle coltivazioni e dei prodotti del Regno delle Due Sicilie.
Or dunque qui volendo si mangia come allora.
La carta in verità è amplissima e in credenza ci sono i migliori prodotti irpini.
Così pure la cantina è curata e piena.
Stasera abbiamo provato a tornare indietro nel tempo.
La mano di Rosaria subito si avverte.
Ricette e nomi antichi, ma gusto contemporaneo.
Rapida escursione su e giù, di qua e di là tra i testi corradini.
Una lettura affatto rigorosa, ma ispiratrice e suggeritrice.
Così sarà tutta la cena.
E non poteva essere che così.
Per antipasto.
Peparolo alla purè di ceci
Petonciana farsita di ricotta e mandorle.
Involtini per antipasto di peperoni e di melanzane.
Saporito il primo, equilibrato il secondo per nulla dolce e di cannella lievissimo.
Accompagnavano una succulenta parmigiana, dei pomodorini ripieni, una polpetta di merluzzo, un’alice imbottita e praline di cacio e pane.
Poi il Trionfo di pasta lunga saltata in padella con condimento di acciughe, pinoli, olive e pan grattato presentato con scaglie di pecorino e buccia di limone.
Gustoso e saporito, sapido per il formaggio, fresco per l’agrume e con il crunch della mollica abbrustolita.
Distante, per fortuna, mille miglia dai maccheroni di don Vincenzo bolliti nel latte con zuccaro e spezie.
Ricorda lo scammaro popolare.
Foglia di cavolo verza cotte in casseruola ripiene di riso, cervellate e sedano,
Sospese in un brodo che da tempo non gustavo così buono.
Fatto con gallina, manzo e maiale.
Grasso ma non untuoso.
Di sostanza.
Maccheroni alla Pompadour.
Timballo famoso con maccheroncini raccolti nello scrigno di pasta frolla dalla cuoca e più semplicemente ricoperti dal Corrado con gialli d’uova, butirro e panna di latte condita di cannella assodati nel forno.
Buoni.
Coviglie al caffè in finale.
Il Credenziere del Buon Gusto elogiava il caffè e ne descrisse virtù.
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