Atripalda (Av), Ristorante Valleverde

di Lello Tornatore – Tenuta Montelaura

… E dire che la favola che gira sul web nostrano rispetto al rapporto del sottoscritto con il lavoro, quasi quasi stava convincendo anche me, ma da oggi ho avuto la netta percezione di non essere del tutto inutile avendo svolto un immane lavoro : ho aiutato il Pigna a disintossicarsi dalle orge enogastronomiche delle feste appena passate, e non solo. Ci siamo ritrovati in Irpinia, come al solito per scorribande enoiche, e fattasi ora di pranzo, la solita domanda : dove andiamo? Dopo tanti “abboffamienti” a base di piatti complicati, e non dimentichiamocelo, soprattutto dopo la trasferta parigina del “nostro”, durante la quale ha viaggiato alla media di diecimila calorie ingollate al giorno, esce naturale il nome semplice semplice di “Zia Pasqualina” ad Atripalda. Ad accoglierci con grande amicizia, nonchè consumata perizia, quella bella “faccia di Pasqua” di Sabino Alvino.

Nipote della compianta Zia Pasqualina, Sabino impersonifica la figura dell’Oste con la o maiuscola : mette a proprio agio gli avventori, ha per tutti una parola allegra, confidenziale ma mai invadente, insomma sa abbinare i momenti giusti alle parole giuste, un pò come riesce negli abbinamenti cibo-vino, di cui è un grande professionista essendo stato anche responsabile dei sommelier professionisti A.I.S. di Avellino, nonchè figura storica dell’associazione. ” Solo un primo, magari una zuppa – tuona imperioso il Pigna, ben sapendo di essere in debito verso il proprio organismo. Ma a dispetto dei buoni propositi capitola letteralmente quando Sabino ci annuncia che è disponibile anche dell’ottima carne alla brace. E per di più ci mette pure alla scelta : podolica o marchigiana? Domanda retorica, podolica, of course!!!

Di fibra un tantinello più resistente ma…tutta un’altra storia in termini organolettici. Nemmeno il tempo di ammirare i delizioni pani locali selezionati dal grande Oste, quello bianco proveniente da Lapio, mentre quello scuro (misto integrale) da Altavilla Irpina, che ci arriva un delizioso sformatino di ricotta di Montella.

Ecco, se fossimo a Parigi potremmo chiamarlo “amuse bouche”, ma siamo ad Atripalda ed allora ci è concesso solo chiamarlo stuzzichino…vero Giancarlo?

Intanto la ricotta, quella “vera”esplode in bocca in un turbinio di sensazioni erbacee invernali, più decise rispetto a quelle floreali-aromatiche di primavera. Inganniamo qualche minutino, aspettando che l’Aglianico di Sabino, da vigneto di Montemarano atto a produrre Taurasi (per essere precisi rispetto alla normativa in merito), si apra, testando il blend di olio (60% Ravece e 40% Ogliarola) con il pane scuro di Altavilla.

Ed ecco che ci arrivano le fumanti zuppe : ceci di Scampitella per me e fagioli di Volturara per Luciano.

Ecchèvelodicoaffare…ci siamo fiondati sopra e in un batter d’occhio abbiamo lasciato nel piatto solo il boccone della “creanza”.

E’ straordinario come piatti così semplici come queste due zuppe, aromatizzate solo con aglio, olio e origano facciano andare in estasi le papille gustative!!! Il segreto, senza nulla togliere alla grande professionalità di Sabino e del suo staff, risiede, a mio avviso, nella qualità stratosferica delle materie prime, selezionate con grande competenza, e … scusate se è poco!!! Attendendo che la podolica “salga sul tavolo” incominciamo ad approcciare il nettare rosso : ci specchiamo in un lago rosso rubino pieno, “centrifugando” il vino nel bicchiere ci rendiamo conto che è “tosto”, potente ma nello stesso tempo elegante.

Giuro, ce l’ha detto dopo aver espresso il nostro commento, che le uve provenivano da Montemarano…Bei sentori di visciola, more e liquerizia, nessuna sinuosità, diretto, prende possesso del centro della lingua e successivamente, a mò di pennello, la copre in lunghezza e larghezza. Ma…ecco la podolica!!! per la precisione filetto e controfiletto alti due dita. E per fortuna che era quella meno frollata!!! …Tenera al punto giusto(non amo la carne che si scioglie in bocca, è sinonimo di allevamento intensivo…), marezzata q.b. per dare quel sapore alla parte magra che senza il grasso se lo sognerebbe.

Ovviamente abbiamo ingurgitato tutt’e cinque o sei etti di peso della bisteccona, mentre tra un boccone e l’altro, un sorso e un altro, dicevamo basta così!!! Presi a tradimento, approfittando di un momento di compiacente distrazione, Sabino ha lasciato sul tavolo alcuni pezzi di pecorino canestrato di Lioni, da egli stesso affinato nelle vinacce di aglianico per diciotto mesi.

Era proprio quello che “NON ci voleva”per NON dar fondo alla bottiglia!!!. Che fine abbia fatto il formaggio…è pleonastico descriverlo!!! E a questo punto, un pò per distrarre l’Oste, onde evitare altri “arrivi”ai quali probabilmente non avremmo saputo dire di no, un pò perchè effettivamente eravamo curiosi (soprattutto io) di visitare la sua dispensa-cantina, ci siamo inoltrati nei meandri dei piani bassi…e quel che abbiamo contemplato è tutto documentato in foto!!!

“Abbiamo fatto proprio ben a venire da Sabino, mi sento rigenerato”- chiosa il Pigna all’uscita – …e ti credo, dopo tutti quei fuagrà e burri e burreti vari, per i quali i trigliceridi facevano oltre all’applauso, anche la “ola”…non ti è parso vero di “gustare”…l’Irpinia!!! Oggi ho fatto proprio un bel “lavoro”…


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