Robuchon è stato un grande innovatore nel panorama francese, nella presentazione dei piatti che subiscono chiaramente l’influenza orientale, nella capacità di gestione manageriale e per aver dato la possibilità di assaggiare piatti d’autore senza necessariamente subire il pesante rituale del ristorante classico, ma semplicemente stando seduti attorno alla cucina.
Non più cucina da vedere, ma da vivere, una dimensione tridimensionale in cui il piano di appoggio costringe il cliente ad aiutare chi porge o ritira il piatto proprio come può capitare tra amici o in famiglia a casa.
All’Atelier Etoile aperto nel 2010 mancavamo ormai dal 2011, quando ancora era in sala il mitico Hernandez proveniente da La Table che aveva appena chiuso. Diciamo subito che la cucina di fronte agli sviluppi mondiali appare addirittura rassicurante e confortevole, molto più affine al neoclassicismo che alle ondate spagnola e danese. Forse per questo Robuchon è poco coccolato dal mondo web: non cerca di stupire, la ricerca è tutta in percorsi sicuri e ben studiati, mai fuori le righe.
Beh, allora diciamola tutta: è un posto dove poter andare con chiunque e non solo con i gourmet strippati e assetati di cose nuove. La successione dei piatti è semplicemente perfetta e ogni portata è un mondo compiuto in perfetto equilibrio.
Ci si siede attorno alla cucina come a un bancone di un bar e si ordina ad un personale competente, professionale, attento. E state sicuri che la giovane chef Mèlanie Serre prima o poi farà capolino per venirvi a salutare.
Si parte con le certezze: pane bianco, prosciutto iberico e, pensate un po’, un grande pane e pomodoro. Un bell’esempio per tutti i giovani cuochi italiani che camminano con le mani per stupire il cliente, no?
Non è una declinazione populista, no no no. Provi un paio di cose buone, sei già rilassato e ti arriva una variazione dello storico amouse bouche.
Poi è un crescendo di proposte collaudate che ti accompagnano dal bianco al rosso.
Da manuale i due piatti principali, ossia la portata di pesce e quella della carne, con il mitico puree più buono del mondo.
Chiusura in semplicità, un simbolo proprio come il prosciutto: la madaleine.
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CONCLUSIONE
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La visita qui o all’altro Atelier è semplicemente obbligatoria per chi ama la cucina. Per un cifra contenuta mangerete buoni piatti d’autore in una atmosfera informale e non oppressiva. Forse mancano la personalizzazione del rapporto, l’emozione. Ma in compenso avrete solidità collaudata e grande capacità di centrare i sapori. Una colazione di lavoro, una pausa mentre bighellonate nel cuore della città. Insomma un punto fermo dal quale non si può prescindere. Se poi vi piace bere bene, allora il discorso diventa ancora più interessante, la carta apre a tutti e, se volete, potete lasciarvi andare. Un monumento della cucina francese alla portata di tutti.
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